Nel 2012 “alias”, il
magazine del “manifesto”, per commemorare la rivolta antifascista
di Parma nell'estate del 2012, utilizzò stralci da un articolo
rievocativo scritto da Guido Picelli, il capo degli “Arditi del
Popolo”, per “Lo Stato Operaio”, la rivista teorica che il PCI
dell'emigrazione pubblicava a Parigi negli anni Trenta. Riprendo i
brani eliminando l'indicazione delle parti saltate, quelle parentesi
(…), che appesantisce la lettura, benché qualche scarto qua e là
s'avverta. (S.L.L.)
Parma fa circa
settantamila abitanti ed è attraversata dal torrente omonimo che
divide la città in due parti: l'una di maggiore estensione detta
«Parma nuova», ed abitata particolarmente dalla borghesia; l'altra
«Parma vecchia», o anche «Oltretorrente» con maggioranza operaia.
Il proletariato parmense
ha una tradizione di lotte barricadiere che risale alla rivolta del
1898 e prima ancora. Lo sciopero agricolo del 1908, durato per dei
mesi in tutta la provincia, fu una delle agitazioni più importanti
dei contadini in Italia.
Il fascismo locale non è
mai riuscito, né con la propaganda né con l'azione a svilupparsi e
a dominare come nelle altre province. Gli «Arditi del Popolo»,
sorti anche a Parma sin dal 1921 per iniziativa di un gruppo di
operai di tendenze diverse, contro la volontà dei capi degli
organismi politici e sindacali, tennero testa per più di un anno, in
città e nella campagna, alle camicie nere con una continua ed
incessante attività difensiva ed offensiva. Qui il movimento si
differenziò un poco da quello delle altre province per la sua
maggiore disciplina e per l'applicazione tecnica nella tattica delle
operazioni armate di strada.
L'Alleanza del Lavoro,
costituitasi sotto la pressione delle masse, aveva il 31 luglio (1922
n.d.r.) proclamato lo sciopero generale nazionale; ma il Comitato
centrale dell'Alleanza stessa, influenzato dai capi
socialdemocratici, che vi rappresentavano i massimi organismi,
all'intimazione di Mussolini e alle minacce di rappresaglie, lo
fecero subito cessare, ordinando la ripresa del lavoro.
La situazione
precipitava. Gli «Arditi del Popolo», senza il partito che
indicasse la linea politica e gli obbiettivi rivoluzionari da
raggiungere, avevano esaurito lo slancio offensivo nella pura e
semplice contro azione squadrista. Nell'Emilia, nel Veneto, nella
Liguria, nella Toscana, ove maggiore fu la resistenza del
proletariato, nelle file operaie si erano prodotti dei vuoti per le
numerose perdite subite, rotti i legami fra le azioni difensive,
località battute ripetutamente dalle bande armate nemiche; le masse,
nuovamente costrette alla ritirata. La vittoria del fascismo, non era
però ancora completa. C'era ancora una posizione nell'Emilia che
resiste: Parma.
Nella notte dall'uno al
due agosto, giunsero i primi reparti di camicie nere con autocarri
provenienti dalle province emiliane, dal Veneto, dalla Toscana e
dalle Marche, equipaggiati ed armati di moschetti nuovissimi,
rivoltelle, bombe e pugnali, e provvisti di una gran quantità di
munizioni; squadristi scelti, provati ed esperti nella tattica della
spedizione punitiva.
Alla testa delle colonne
erano i consoli: Moschini, Farinacci, Raineri, Arrivabene,
Barbiellini, Ponzi ed altri minori. Comandante in capo della
spedizione, che in breve raggiunse la cifra di ventimila uomini,
Italo Balbo. Il questore di Parma, commendator Signorile, dopo aver
dichiarato ai membri del Comitato locale dell'Alleanza del Lavoro,
che nulla avrebbe potuto fare per impedire il concentramento, fece
ritirare dalle due caserme situate nell'Oltretorrente i carabinieri e
le guardie regie per lasciare alle camicie nere maggiore libertà
d'azione.
Il Comando degli «Arditi
del Popolo» appena ebbe notizia dell'arrivo del fascisti, convocò
d'urgenza capisquadra e capigruppo e dette loro disposizioni per la
costruzione immediata di sbarramenti, trincee, reticolati, con
l'impiego di tutto il materiale disponibile. All'alba, all'ordine di
prendere le armi e di insorgere, la popolazione operaia scese per le
strade, impetuosa come le acque di un fiume che straripi, con
picconi, badili, spranghe ed ogni sorta di arnesi, per dar mano agli
«Arditi del Popolo» a divellere pietre, selciato, rotaie del
tramway, scavare fossati, erigere barricate con carri, banchi, travi,
lastre di ferro e tutto quanto era a portata di mano. Uomini, donne,
vecchi, giovani di tutti i partiti e senza partito furono là,
compatti, fusi in una sola volontà di ferro: resistere e combattere.
In poche ore, i rioni
popolari della città presentarono l'aspetto di un campo trincerato.
La zona occupata dagli insorti fu divisa in quattro settori: Nino
Bixio e Massimo D'Azeglio nell'Oltretorrente; Naviglio e Aurelio
Saffi in Parma Nuova.
Ad ogni settore
corrispose un numero di squadre in proporzione alla sua estensione:
ventidue nei settori dell'Oltretorrente, sei nel rione Naviglio,
quattro nel rione Aurelio Saffi. Ogni squadra era composta di
otto-dieci uomini, e l'armamento costituito da fucili modello1891,
moschetti, pistole d'ordinanza, rivoltelle automatiche, bombe
S.I.P.E. Soltanto una metà degli uomini poterono essere armati di
fucile o di moschetto. Tutte le imboccature delle piazze, delle
strade, dei vicoli, vennero sbarrate da costruzioni difensive. Nei
punti ritenuti tatticamente più importanti i trinceramenti furono
rafforzati da vari ordini di reticolato e il sottosuolo venne minato.
I campanili, trasformati inosservatori numerati. Verso le nove i
fascisti aprirono il fuoco. Per l'intera giornata si susseguirono
attacchi e contrattacchi lungo la linea di resistenza ma che non
produssero notevoli modificazioni alla situazione. Nella notte
qualche fucilata e piccole azioni da parte di pattuglie nemiche,
segnalate dal settore Naviglio con razzi luminosi.
Un reparto di camicie
nere, venendo dal piazzale della Pilotta, attraversò il ponte
Giuseppe Verdi per tentare un'irruzione nelle linee degli «Arditi
del Popolo»; ma appena giunse in vista dei primi sbarramenti, resosi
conto della serietà del pericolo cui sarebbe andato incontro se
avesse ancora avanzato di un passo, rinunciò all'impresa e si
ritirò.
Contemporaneamente in
Parma Nuova, vennero danneggiati studi ed uffici di professionisti,
noti come socialisti, da parte di gruppi di camicie nere. Ma gli
attacchi più accaniti si svolsero attorno al Naviglio, che per la
sue particolare posizione topografica, presentava maggiori difficoltà
di resistenza. Dopo parecchie ore di combattimento, il settore fu
quasi accerchiato. Da via Venti Settembre le camicie nere avanzarono
in colonna serrata, risolute al definitivo assalto. In quel momento
decisivo non rimase che un solo ed unico mezzo: uscire e
contrattaccare. Infatti gli «Arditi del Popolo», balzarono dagli
appostamenti e al canto di Bandiera rossa si lanciarono a gran corsa
contro il nemico. Furono pochi contro molti; uno di essi, l'operaio
Mussini Giuseppe, cadde colpito mortalmente. Ma gli «Arditi del
Popolo», non si arrestarono. Più alto si levò il loro
canto e più rapido si
fece il tiro dei fucili che già bruciavano nelle loro mani. Di
fronte a quel pugno di eroi i fascisti presi da sgomento, ed
immaginando che dietro le barricate, nelle trincee e nelle case, si
nascondessero chissà quante forze e quali armi, indietreggiarono da
tutti i punti fino oltre Barriera Garibaldi.
Al terzo giorno, la
situazione del Naviglio si aggravò nuovamente. I fascisti bloccarono
i passaggi obbligatori che conducevano all'Oltretorrente. Il
collegamento venne perduto. I colombi viaggiatori impiegati anch'essi
come mezzo di comunicazione, furono lanciati tutti. Finalmente, una
donna, un'operaia, con molte difficoltà riuscì a portarsi nella
sede del Comando degli «Arditi del Popolo», in Parma Vecchia e
consegnare un biglietto che teneva nascosto fra i capelli, così
concepito: «Altri due morti: Nino Gazzola e Avanzini Ugo. Il
portaordini ferito. Munizioni quasi esaurite; mancano i viveri. Si
chiede l'invio immediato di pallottole da fucile e da rivoltella,
diversamente saremo costretti di ripiegare, nella notte,
sull'Oltretorrente. Si attendono disposizioni. - Il comandante del
settore».
La donna ritornò con
quanti caricatori poté portare celati nelle vesti e recò la
risposta seguente: «L'ordine è resistere e morire sul posto. Voi ne
siete capaci. Troveremo il modo di farvi pervenire munizioni e viveri
al più presto possibile. - Il Comando della difesa operaia».
Nel frattempo l'autorità
militare, a cui il Prefetto cedette i poteri, si mise in
comunicazione coi membri del Comitato locale dell'Alleanza del
Lavoro, capi socialisti, sindacalisti interventisti e confederali, i
quali non avendo potuto impedire apertamente alle masse di insorgere,
per tema di essere smascherati, vedendosi, in quei giorni, esautorati
e messi in disparte, accettarono di trattare il compromesso
impegnandosi di far opera di persuasione fra gli operai per indurli a
cessare la resistenza.
Il giorno cinque, a
conclusione di tutta questa manovra, l'autorità militare, credendo
che anche in quel momento i capi socialisti e confederali
rappresentassero la volontà delle masse o comunque potessero
influire su di loro, inviò un battaglione di soldati
nell'Oltretorrente per disfare le trincee e le barricate e facendo
sapere che i fascisti si sarebbero allontanati dalla città, a patto
che la popolazione deponesse le armi.
«Le trincee non si
toccano, esse costituiscono la legittima difesa della vita degli
operai e dei loro quartieri, contro ventimila camicie nere armate,
venute da tutte le parti». Questa fu la risposta.
Nelle prime ore del
giorno sei, notizie certe informarono che lo stato maggiore fascista
aveva deciso di sferrare un'offensiva in forze contro l'Oltretorrente
per le ore tre pomeridiane.
Dopo aver riuniti i capi
squadra per dar loro gli ordini necessari, il Comando degli «Arditi
del Popolo» fece una rapida ispezione per tutto il settore. Il
morale della massa si dimostrò elevatissimo. Un elemento molto
importante del successo, nella lotta armata è la certezza di
vincere. È interessante osservare come questa certezza fosse in
ognuno assoluta; nessuno ebbe il più piccolo dubbio. Nelle case si
attese alla fabbricazione di ordigni «esplodenti», di pugnali fatti
con lime, pezzi di ferro, coltelli, e alla preparazione di acidi.
Dalle finestre di una delle casupole di Borgo Minelli, una ragazza di
diciassette anni, tenendo levata in alto una scure ed agitandola,
gridò ai compagni sulla via: «Se vengono, io sono pronta!». Alle
donne vennero distribuiti recipienti pieni di petrolio e di benzina,
poiché in base al piano difensivo, nel caso in cui i fascisti
fossero riusciti ad entrare in Oltretorrente, il combattimento si
sarebbe svolto strada per strada, vicolo per vicolo, casa per casa,
senza risparmio di sangue, con lancio di liquidi infiammabili, contro
le camicie nere e sino alla distruzione completa delle posizioni.
Alle due circa, dalla
destra del torrente, furono sparati i primi colpi contro il settore
Nino Bixio e presi d'infilata Borgo della Carra e Borgo Salici.
Ulisse Corazza, artigiano, consigliere comunale del Partito popolare
(il Partito dei cattolici) che qualche ora prima si era presentato
col proprio moschetto a un caposquadra, per chiedere di partecipare
al combattimento a fianco degli Arditi del Popolo, fu ferito
gravemente alla testa da pallottola di fucile e morì pochi minuti
dopo. Si trattò di un'azione dimostrativa tendente a trarre in
inganno i difensori sugli obbiettivi reali del piano d'attacco,
mentre alla sinistra dell'Oltretorrente reparti di camicie nere,
penetrati nei giardini pubblici, avanzarono in direzione del muro di
cinta. Non fu una sorpresa; prevista la manovra, gli «Arditi del
Popolo», dai posti di guardia, iniziarono immediatamente il fuoco di
fucileria con tiro regolato, in base agli ordini impartiti, in modo
da causare all'avversario le maggiori perdite possibili con il minor
consumo di munizioni.
A nulla valsero gli
incitamenti dei comandanti. Di fronte alla precisione dei fucilieri
proletari, non più possibile avanzare. Lentamente, al riparo delle
piante, le camicie nere ripiegarono sulle posizioni di prima. Alla
mattina del sette, dagli osservatori si notarono movimenti confusi e
disordinati di colonne spostantesi da un punto all'altro della
periferia della città.
I fascisti non più
inquadrati e alla rinfusa, si riversarono in tutte le direzioni; coi
treni in partenza, con autocarri, biciclette, a piedi,
frettolosamente, senza comando. Non fu una ritirata, ma addirittura
lo sbandamento di una massa di uomini che prese d'assalto tutti i
mezzi di trasporto che incontrò, che si gettò per le strade e fuori
delle strade, per la campagna, come se temesse di essere inseguita.
Al di qua e al di là del
torrente, tutta la popolazione operaia all'annuncio della partenza
dei fascisti, si gettò per le vie della città con armi e senza
armi, in un'indescrivibile esplosione di entusiasmo, e improvvisando
imponenti cortei; mentre dalle finestre delle case di Parma Vecchia,
vennero esposti drappi rossi. La notizia della vittoria operaia si
diffuse rapidamente anche in provincia. Molti proprietari di terre,
presi da spavento perchè sentirono dire che sarebbero arrivati gli
«Arditi del Popolo», abbandonarono le abitazioni, fuggendo verso il
Cremonese.
Le schiere di Balbo,
ormai disperse vennero perdute di vista. La spedizione punitiva in
grande stile contro il proletariato parmense si trasformò in un
disastro. Le camicie nere ebbero trentanove morti e centocinquanta
feriti. Dalla parte dei difensori vi furono cinque morti e qualche
ferito.
- Da Lo Stato Operaio, anno VIII, n. 10, ottobre 1934, Parigi.
- In “alias il manifesto”, 28 luglio 2012
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