Leo Huberman, nato negli
USA (Newark, New Jersey, 1903) morì nel novembre 1968 a Parigi.
Aveva fondato con Paul Sweezy nel 1949 la “Montly Rewiew”, la più
importante rivista marxista nordamericana. Gli ultimi suoi articoli
riguardavano il maggio francese. A proposito del Pcf, che agli
studenti in lotta raccomandava moderazione visto che la situazione
non era rivoluzionaria, scrisse che quel partito gli ricordava un
ragazzo il quale, dopo aver ucciso entrambi i genitori, chiese
clemenza al giudice perché era orfano.
Dedicò un particolare impegno alla teoria economica e alla divulgazione. Testimonianza di codesta peculiare vocazione “pedagogica” sono due sue opere, una Storia popolare degli Stati Uniti edita in Italia da Einaudi (1977) e, pubblicata da Savelli, una Storia popolare del mondo moderno (1978), che va dalla nascita del capitalismo alle sue crisi novecentesche. Negli Usa la pubblicazione di questo testo in volume con il titolo Man's Wordly Goods risale al 1936. Il libro, secondo la prefazione dello stesso Huberman, aveva “due scopi: spiegare la storia attraverso la teoria economica e spiegare la teoria economica attraverso la storia”; il tutto senza lungaggini e rivolgendosi a un lettore non specialista, allo studente come al militante politico.
La lettura, a mio modo di vedere, rivela un grande insegnante, un vero e proprio maestro dell'insegnare. A mo' di esempio suggerisco questa paginetta in cui spiega la differenza tra “denaro” e “capitale”. (S.L.L.)
Dedicò un particolare impegno alla teoria economica e alla divulgazione. Testimonianza di codesta peculiare vocazione “pedagogica” sono due sue opere, una Storia popolare degli Stati Uniti edita in Italia da Einaudi (1977) e, pubblicata da Savelli, una Storia popolare del mondo moderno (1978), che va dalla nascita del capitalismo alle sue crisi novecentesche. Negli Usa la pubblicazione di questo testo in volume con il titolo Man's Wordly Goods risale al 1936. Il libro, secondo la prefazione dello stesso Huberman, aveva “due scopi: spiegare la storia attraverso la teoria economica e spiegare la teoria economica attraverso la storia”; il tutto senza lungaggini e rivolgendosi a un lettore non specialista, allo studente come al militante politico.
La lettura, a mio modo di vedere, rivela un grande insegnante, un vero e proprio maestro dell'insegnare. A mo' di esempio suggerisco questa paginetta in cui spiega la differenza tra “denaro” e “capitale”. (S.L.L.)
Due uomini aspettano in
fila davanti al botteghino per comprare i biglietti dello spettacolo.
Ognuno di loro paga $ 9,90 per tre posti in prima fila da $ 3,30
l'uno. Quando il primo ha finito, si allontana ed è raggiunto da due
suoi amici. Insieme entrano nel teatro, si siedono e aspettano che si
alzi il sipario. L'altro, invece, dopo aver finito al botteghino,
attraversa la strada, va sul marciapiede opposto e, tenendo in mano i
biglietti, si rivolge ai passanti. «Vuole tre biglietti di prima
fila per stasera?» chiede. Può darsi che alla fine riesca a
venderli (a $ 4,40 l'uno), può darsi di no. Non importa.
C'è qualche differenza
tra i suoi $ 9.90 e quelli del primo uomo? Sì. Il denaro del signor
Speculatore è capitale, quello del signor Spettatore non lo è. Ma
in che cosa consiste la differenza?
Il denaro diventa
capitale solo quando viene usato per acquistare merci, o forza
lavoro, al fine di rivenderle e trarne un profitto. Il signor
Speculatore non voleva vedere lo spettacolo. Ha speso i $ 9,90 con la
speranza di riprenderseli con qualcosa in più. Il suo denaro
pertanto ha svolto la funzione di capitale. Il signor Spettatore,
invece, ha speso i suoi $ 9,90 senza nemmeno pensare di averli
indietro — gli interessava soltanto vedere lo spettacolo. Il suo
denaro non ha svolto la funzione di capitale.
Allo stesso modo, quando
il pastore vendeva la sua lana in cambio di una certa somma di
denaro, con l'intenzione di comprare il pane per poter mangiare, non
usava quel denaro come capitale. Ma quando il commerciante gli dava
il denaro in cambio della lana, sperando di rivenderla a un prezzo
più alto, egli usava il suo denaro come capitale. Quando il denaro è
destinato a un'impresa o a uno scambio che rende (o promette di
rendere) un profitto, quel denaro diventa capitale. Questa è la
differenza che esiste tra il vendere per poter comprare, per l'uso
(precapitalistico), e il comprare per poter vendere, per il profitto
(capitalistico).
Ma qual è la cosa che il
tipico capitalista industriale compra al fine di rivendere e
ricavarne un profitto? I biglietti del teatro? la lana? le
automobili? i cappelli? le case? No, nessuna di queste cose; eppure
qualcosa che è parte di tutte queste cose. Parlate con un operaio
che lavora in un'industria. Vi dirà che ciò per cui il suo padrone
gli paga un salario è la sua capacità di lavorare. E' la
forza-lavoro dell'operaio che il capitalista compra per rivenderla e
trarne un profitto, ma è ovvio che il capitalista non rivende la
forza-lavoro del suo operaio. Ciò che egli vende — traendone un
profitto — sono le merci che la forza-lavoro dell'operaio ha
trasformato da materia prima in prodotto ultimato. Il profitto deriva
dal fatto che il lavoratore percepisce sotto forma di salario meno
del valore di ciò che egli ha prodotto. Il capitalista possiede i
mezzi di produzione — gli stabilimenti, i macchinari, le materie
prime, ecc.; compra la forza-lavoro. Ed è dall'unione di queste cose
che scaturisce la produzione capitalistica.
Osservate che il denaro
non è l'unica forma di capitale. Un industriale dei nostri giorni
può aver poco o niente denaro, eppure possedere un enorme capitale:
può possedere i mezzi di produzione. Questo, il suo capitale, cresce
allorché egli compra forza-lavoro.
da Storia popolare del
mondo moderno, Savelli, 1978
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