In nessuna parte del
mondo abbiamo superato quella che Thorstein Veblen chiamò la "fase
predatoria" dello sviluppo umano. I fatti economici che ci è
dato osservare appartengono a tale fase, e le stesse leggi che
possiamo applicare a tali fatti non sono applicabili ad altre fasi.
Dato che il vero scopo
del socialismo è precisamente quello di superare e di procedere
oltre la fase predatoria dello sviluppo umano, la scienza economica,
al suo stato attuale, può gettare ben poca luce sulla società
socialista del futuro. Dovremmo stare attenti a non sopravvalutare la
scienza e i metodi scientifici quando si tratta di problemi umani; e
non dovremmo ammettere che gli esperti siano gli unici ad avere il
diritto di pronunciarsi su questioni riguardanti l'organizzazione
della società.
Posso indicare brevemente
ciò che secondo me costituisce l’essenza della crisi del nostro
tempo. Si tratta del rapporto dell’individuo con la società.
L’individuo è diventato più consapevole che mai della propria
dipendenza dalla società. Egli però non sperimenta tale dipendenza
come un fatto positivo, come un legame organico, come una forza
protettrice, ma piuttosto come una minaccia ai suoi diritti naturali,
o addirittura alla sua esistenza.
L’anarchia economica
della società capitalista rappresenta secondo me la vera fonte del
male. Vediamo di fronte a noi un’enorme comunità di produttori, i
cui membri lottano incessantemente per spogliarsi a vicenda dei
frutti del loro lavoro collettivo, non con la forza, bensì tutto
sommato in complice ossequio a regole stabilite in forma legale. In
questo senso è importante rendersi conto che i mezzi di produzione
possono essere con pieno crisma legale, e per la maggior parte lo
sono, proprietà privata di singoli individui.
Il proprietario dei mezzi
di produzione è in grado di acquistare la forza lavoro del
lavoratore. Usando i mezzi di produzione, il lavoratore produce nuovi
beni che diventano proprietà del capitalista. Il punto essenziale di
questo processo è la relazione fra quanto il lavoratore produce e
quanto gli è pagato, entrambe le quantità misurate in termini di
valore reale. Fintantoché il contratto di lavoro è ’’libero”,
ciò che il lavoratore riceve è determinato non dal valore reale dei
beni che produce, ma dalle sue necessità di sopravvivenza e dalla
domanda di forza-lavoro da parte del capitalista, rapportata al
numero di lavoratori che sono in concorrenza per i posti di lavoro.
E’ importante comprendere che anche in teoria il salario del
lavoratore non è determinato dal valore del suo prodotto.
Il capitale privato tende
a concentrarsi nelle mani di pochi, in parte a causa della
concorrenza fra capitalisti, in parte perché lo sviluppo tecnologico
e la crescente suddivisione del lavoro incoraggiano la formazione di
più grandi complessi di produzione a spese minori. Il risultato di
questi sviluppi è un’oligarchia del capitale privato il cui potere
enorme non può essere efficacemente controllato neppure da una
società politica democraticamente controllata.
Il lavoratore ha sempre
la paura di perdere il proprio posto di lavoro, dato che i
disoccupati e i lavoratori mal retribuiti non rappresentano per i
beni di consumo un mercato vantaggioso, la produzione di tali beni ne
risulta limitata, con un conseguente grave danno. Il progresso tecnologico si risolve
frequentemente in un aggravamento della disoccupazione piuttosto che
in un alleggerimento della quantità di lavoro per tutti. Il movente
del profitto, congiuntamente alla concorrenza fra capitalisti, è
responsabile di una instabilità nell’accumulazione e nell’impiego
del capitale, che conduce a depressioni sempre più gravi. La
concorrenza illimitata porta ad un enorme spreco di lavoro e a
storture della coscienza sociale nei singoli individui.
Queste storture
nell’individuo sono secondo me la tare peggiore del capitalismo. Un
atteggiamento esageratamente concorrenziale viene inculcato nello
studente, abituandolo ad adorare il successo, come preparazione alla
sua futura carriera. Sono convinto che vi è un solo mezzo per
eliminare questi gravi mali, e cioè la creazione di un’economia
socialista congiunta a un sistema educativo che sia orientato verso
obiettivi sociali.
E’ necessario tuttavia
ricordare che un’economia pianificata non rappresenta ancora il
socialismo. Una tale economia pianificata potrebbe essere
accompagnata dal completo asservimento dell’individuo e ciò non
sarebbe affatto un bene.
Da «Monthly Review», I, 1,
gennaio 1949, in “il manifesto”, 14 marzo 1979. Tradotto e
ridotto da m.d.m.
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