29.6.15

La lunga vita felice di Maurizio Mori (micropolis)

Il 15 giugno alle 18,30 è morto Maurizio Mori. Morto e non scomparso, come si recita per addolcire una perdita.
Non scomparirà almeno fino a quando usciranno ogni mese, come avviene da venti anni, le sedici pagine di “micropolis”, il giornale che ha contributo a fondare e di cui fino all’ultimo è stato attivo redattore e animatore. Noi, i suoi compagni, siamo impegnati ad impedire che si affievolisca non solo il suo ricordo, ma soprattutto la sua lezione, il suo stile di lavoro e di comportamento, quel mix tra impegno culturale e politico che ha contraddistinto per oltre settanta anni la sua militanza nel movimento operaio.
Maurizio, come confessava lui stesso, ha avuto una vita lunga, piena, felice. Ha fatto le cose che gli piacevano, ha coltivato le sue passioni per tutta la sua esistenza (il cinema, il calcio, i viaggi, le mostre d’arte, ecc.), ha svolto il lavoro che voleva fare, ha potuto soddisfare la sua inesauribile curiosità, essere fino in fondo coinvolto nella battaglia politica e civile. Su questo terreno è stato impegnato a Perugia, in Italia, negli scacchieri più tormentati del mondo (il Nicaragua, il Libano, la Bosnia). In questi luoghi si recò come organizzatore sanitario e come militante politico. Per lui si trattava di esercitare una presenza internazionalista, rifiutando ogni forma di volontariato irenico. La scelta era quella di schierarsi nettamente con coloro che subivano la violenza e l’oppressione diretta o indiretta dell’imperialismo: i sandinisti, i palestinesi, i bosniaci. La sua pratica dell’impegno si coniugava, peraltro, con un esercizio costante della critica, con il rifiuto di ogni mito e dei luoghi comuni della sinistra, di cui censurava in modo spietato e puntiglioso errori e orrori, limiti, vizi e opportunismi.
Così la sua adesione alle diverse esperienze politiche e organizzative (in gioventù al Psiup e a Iniziativa socialista, la corrente di sinistra antistalinista di quel partito, poi al movimento trotzkista, al Manifesto e al Pdup per il comunismo e, infine, a Rifondazione comunista) è stata sempre laica, priva di quel tratto fideistico che contraddistingue normalmente la militanza di partito. Da tutte si è distaccato dopo averne constatato e combattuto i limiti culturali, le derive burocratiche e, specie in Rifondazione, la trasformazione del partito in veicolo di carriere politiche più o meno durature. Per Maurizio di politica non si doveva vivere, ma si doveva invece servirla, salvaguardando la propria autonomia di giudizio e, in definitiva, la propria libertà.
Dietro tale concezione c’era una idea di militanza oggi fuori moda, ma che forse resta una delle chiavi di volta per una ripresa, non si sa quanto possibile, di una sinistra capace di suscitare speranze e di coltivare ideali. In tale quadro era implicita una coerenza che era fedeltà ad un corpo di analisi maturate nel tempo, ad una ipotesi di socialismo diversa da quelle sperimentate e fallite nel corso del Novecento. Una coerenza che assumeva come elemento portante la categoria della totalità come interconnessione tra il contesto internazionale e le realtà nazionali e locali.
Come altri compagni della sua generazione la sua fedeltà non è mai stata ad una organizzazione, considerata sempre come strumento, ma ad un progetto che traeva le sue origini nella tragedia del fascismo e della guerra, che da giovane aveva visto e vissuto. Con questo retroterra si poteva anche restare in minoranza, subire l’isolamento, ma non si poteva essere minoritari. Era necessario assumere la complessità del presente, il suo rapporto con il passato, coniugando per quanto lo permettessero i tempi, analisi e pratica politica. Niente a che spartire con il settarismo dei piccoli gruppi, con l’estremismo ideologizzante, quanto piuttosto un’intransigenza che nasceva dalla consapevolezza che forse una via d’uscita dalle secche del socialismo contemporaneo potesse essere ricercata nel tentativo di ricostituire un rapporto tra l’esperienza del passato e la complessità del presente.
Una lunga vita felice, come si è già detto, quella di Maurizio a cui è rimasto forse il rammarico di non poter riuscire a vedere come si chiuderà la difficile fase politica che stiamo vivendo; lui sempre convinto, finché ha vissuto, che anche nelle situazioni peggiori ci sia una via d’uscita, sia possibile fare qualcosa, che fino a quando non ci si dà per vinti non si è mai definitivamente sconfitti.
A chi lo ha conosciuto e, soprattutto, ai redattori di “micropolis” - alcuni dei quali hanno avuto con lui un sodalizio politico e umano di mezzo secolo resta la fortuna e il privilegio di essere stati, e continuare ad essere, suoi amici e compagni.

Editoriale di micropolis, anno XX, n.6, giugno 2015

Postilla
Si tratta di un editoriale non firmato, che nasce dal confronto in redazione ed esprime un pensiero collettivo. Ma chi ha scritto l'articolo, secondo me bellissimo, è Renato Covino. E' lui che dobbiamo ringraziare per aver saputo comunicare con tanta efficacia sentimenti e giudizi in cui ci riconosciamo. (S.L.L.)

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