Il 15 giugno alle 18,30 è
morto Maurizio Mori. Morto e non scomparso, come si recita per
addolcire una perdita.
Non scomparirà almeno
fino a quando usciranno ogni mese, come avviene da venti anni, le
sedici pagine di “micropolis”, il giornale che ha contributo a
fondare e di cui fino all’ultimo è stato attivo redattore e
animatore. Noi, i suoi compagni, siamo impegnati ad impedire che si
affievolisca non solo il suo ricordo, ma soprattutto la sua lezione,
il suo stile di lavoro e di comportamento, quel mix tra impegno
culturale e politico che ha contraddistinto per oltre settanta anni
la sua militanza nel movimento operaio.
Maurizio, come confessava
lui stesso, ha avuto una vita lunga, piena, felice. Ha fatto le cose
che gli piacevano, ha coltivato le sue passioni per tutta la sua
esistenza (il cinema, il calcio, i viaggi, le mostre d’arte, ecc.),
ha svolto il lavoro che voleva fare, ha potuto soddisfare la sua
inesauribile curiosità, essere fino in fondo coinvolto nella
battaglia politica e civile. Su questo terreno è stato impegnato a
Perugia, in Italia, negli scacchieri più tormentati del mondo (il
Nicaragua, il Libano, la Bosnia). In questi luoghi si recò come
organizzatore sanitario e come militante politico. Per lui si
trattava di esercitare una presenza internazionalista, rifiutando
ogni forma di volontariato irenico. La scelta era quella di
schierarsi nettamente con coloro che subivano la violenza e
l’oppressione diretta o indiretta dell’imperialismo: i
sandinisti, i palestinesi, i bosniaci. La sua pratica dell’impegno
si coniugava, peraltro, con un esercizio costante della critica, con
il rifiuto di ogni mito e dei luoghi comuni della sinistra, di cui
censurava in modo spietato e puntiglioso errori e orrori, limiti,
vizi e opportunismi.
Così la sua adesione
alle diverse esperienze politiche e organizzative (in gioventù al
Psiup e a Iniziativa socialista, la corrente di sinistra
antistalinista di quel partito, poi al movimento trotzkista, al
Manifesto e al Pdup per il comunismo e, infine, a Rifondazione
comunista) è stata sempre laica, priva di quel tratto fideistico che
contraddistingue normalmente la militanza di partito. Da tutte si è
distaccato dopo averne constatato e combattuto i limiti culturali, le
derive burocratiche e, specie in Rifondazione, la trasformazione del
partito in veicolo di carriere politiche più o meno durature. Per
Maurizio di politica non si doveva vivere, ma si doveva invece
servirla, salvaguardando la propria autonomia di giudizio e, in
definitiva, la propria libertà.
Dietro tale concezione
c’era una idea di militanza oggi fuori moda, ma che forse resta una
delle chiavi di volta per una ripresa, non si sa quanto possibile, di
una sinistra capace di suscitare speranze e di coltivare ideali. In
tale quadro era implicita una coerenza che era fedeltà ad un corpo
di analisi maturate nel tempo, ad una ipotesi di socialismo diversa
da quelle sperimentate e fallite nel corso del Novecento. Una
coerenza che assumeva come elemento portante la categoria della
totalità come interconnessione tra il contesto internazionale e le
realtà nazionali e locali.
Come altri compagni della
sua generazione la sua fedeltà non è mai stata ad una
organizzazione, considerata sempre come strumento, ma ad un progetto
che traeva le sue origini nella tragedia del fascismo e della guerra,
che da giovane aveva visto e vissuto. Con questo retroterra si poteva
anche restare in minoranza, subire l’isolamento, ma non si poteva
essere minoritari. Era necessario assumere la complessità del
presente, il suo rapporto con il passato, coniugando per quanto lo
permettessero i tempi, analisi e pratica politica. Niente a che
spartire con il settarismo dei piccoli gruppi, con l’estremismo
ideologizzante, quanto piuttosto un’intransigenza che nasceva dalla
consapevolezza che forse una via d’uscita dalle secche del
socialismo contemporaneo potesse essere ricercata nel tentativo di
ricostituire un rapporto tra l’esperienza del passato e la
complessità del presente.
Una lunga vita felice,
come si è già detto, quella di Maurizio a cui è rimasto forse il
rammarico di non poter riuscire a vedere come si chiuderà la
difficile fase politica che stiamo vivendo; lui sempre convinto,
finché ha vissuto, che anche nelle situazioni peggiori ci sia una
via d’uscita, sia possibile fare qualcosa, che fino a quando non ci
si dà per vinti non si è mai definitivamente sconfitti.
A chi lo ha conosciuto e,
soprattutto, ai redattori di “micropolis” - alcuni dei quali
hanno avuto con lui un sodalizio politico e umano di mezzo
secolo resta la fortuna e il privilegio di essere stati, e continuare
ad essere, suoi amici e compagni.
Editoriale di micropolis, anno XX, n.6, giugno 2015
Postilla
Si tratta di un editoriale non firmato, che nasce dal confronto in redazione ed esprime un pensiero collettivo. Ma chi ha scritto l'articolo, secondo me bellissimo, è Renato Covino. E' lui che dobbiamo ringraziare per aver saputo comunicare con tanta efficacia sentimenti e giudizi in cui ci riconosciamo. (S.L.L.)
Postilla
Si tratta di un editoriale non firmato, che nasce dal confronto in redazione ed esprime un pensiero collettivo. Ma chi ha scritto l'articolo, secondo me bellissimo, è Renato Covino. E' lui che dobbiamo ringraziare per aver saputo comunicare con tanta efficacia sentimenti e giudizi in cui ci riconosciamo. (S.L.L.)
Nessun commento:
Posta un commento