Secondo Albin Lesky
l'Anabasi è, fra le opere di Senofonte, quella «che per noi
è la più viva». In effetti, questa «spedizione verso l'interno»
(così è la traduzione di «anabasi») possiede una indubbia facies
metamorfica tanto che siamo incerti se definirla resoconto di
viaggio, racconto d'avventura, opera storica, autobiografia, memoria;
l'Anabasi è, sicuramente, tutte queste cose insieme. Oggetto
del racconto è la spedizione dell'esercito di Ciro il Giovane,
insieme a un cospicuo gruppo di mercenari greci (fra i quali si
trovava lo stesso Senofonte con un ruolo di comando), allestita per
spodestare il fratello Artaserse II: un lungo viaggio, iniziato nel
marzo del 401 a. C., da Sardi verso Babilonia, capitale dell'Impero
Persiano. La spedizione verso l'interno si interrompe però a Cunassa
dove, in una battaglia, Ciro viene ucciso da Artaserse; inizia allora
la ritirata, la marcia dell'esercito verso il mare, in un percorso
diverso rispetto a quello dell'andata, attraverso territori
inospitali e popolazioni sconosciute, l'Armenia, la Tracia, fino a
costeggiare il Mar Nero e ritornare in Grecia. L'opera è divisa in
sette libri dei quali solo il primo racconta il viaggio verso
Cunassa; al viaggio di ritorno, invece, sono dedicati tutti gli altri
libri.
L'Anabasi di
Senofonte la possiamo leggere adesso in un'edizione alleggerita da
ogni pesantezza filologica, ma non per questo meno accurata nelle
note e nella traduzione: La spedizione verso l'interno (Anabasi)
(Quodlibet, pp. 446, € 16,50), a cura di Dino Baldi, un classicista
- come leggiamo nella nota biografica - «studioso di storia
dell'antichistica e dell'antifilologia». E in una direzione
antifilologica (nel senso buono del termine) si muove anche questa
versione senofontea, fin dalla copertina (fra le precedenti
traduzioni italiane possiamo ricordare una più ‘filologica', a
cura di Franco Ferrari, per la Bur, 2008, e un'altra sicuramente più
simile a questa nostra, a cura di Valerio Massimo Manfredi,
Mondadori, 2007, il quale ha anche scritto un romanzo, L'armata
perduta ispirato all'Anabasi): su sfondo bianco, infatti,
campeggia un colorato graffito dipinto su un qualche muro della
Facoltà di Lettere di Bologna, figure quasi mostruose, ma di un
mostruoso intessuto di un buffo e irriverente surreale (eccentrica
anche rispetto alle copertine delle due versioni sopra nominate, che
riportano la fotografia di un'armatura).
Si tratta, innanzitutto
di un'edizione che non presenta il testo greco a fronte; non pare,
quindi, tanto destinata allo studente universitario o al filologo
quanto invece all'appassionato, al curioso lettore che intende
avvicinarsi e scoprire un autore antico. Perché, dice Baldi
nell'introduzione, «la sua qualità principale è proprio quella di
lasciarsi leggere come pare a ciascuno, ed è un sollievo poterlo
proporre, anche qui, semplicemente come un libro di avventure
ambientato in paesi lontani e fra popoli dai costumi singolari, pieno
di quel gusto per la vita ingenuo, disperato e intenso che si ritrova
solo nelle storie di giovani uomini in mezzo ad una guerra». Siamo
quindi liberi di leggerlo come un libro di avventure, in una
traduzione piana, semplice e costantemente attenta ai fatti (come si
premura di notare il traduttore), e di scoprire insieme a Senofonte
(che è anche personaggio del libro) tanti popoli sconosciuti, dalle
strane usanze, come i Mossineci, una tribù che abita vicino alle
coste del Mar Nero, «che si comportano in tutto alla rovescia: fanno
l'amore in pubblico e parlano e ridono da soli».
In mezzo a queste
avventure e ai ripetuti scontri o alleanze con le popolazioni
incontrate ci troviamo di fronte - secondo la definizione di Gerald
B. Nussbaum-a una pólis itinerante: una città greca, con tutte le
sue usanze e istituzioni, non più stanziale, ma nomade, avvicinabile
un po' alla macchina da guerra nomadica di cui parlano Deleuze e
Guattari in Mille Piani. E della pólis, il gruppo dei soldati
greci in viaggio conserva anche il potere della parola: Senofonte
spesso intesse lunghi discorsi ai soldati, o per difendersi da accuse
o per semplici esortazioni, trasmettendo al lettore «il potere quasi
soprannaturale della parola». Ma questa pólis itinerante, nel suo
spostamento, ci svela la fine di un'epoca, proprio l'epoca delle
póleis e della grecità classica, un sistema che crolla e collassa
sotto il proprio peso (Alessandro e l'Ellenismo sono dietro
l'angolo).
L'Anabasi è
un'opera che, antifilologicamente, ha goduto di una certa fortuna
anche nella contemporaneità: forse non tutti sanno che il famoso
film I guerrieri della notte, di Walter Hill (1979), è tratto
dall'omonimo romanzo di Sol Yurick (1965) che si ispira direttamente
all'opera seno fontea; come i Greci devono tornare al mare e
difendersi da ogni attacco nemico così i Guerrieri, la gang
newyorchese, deve rientrare a Coney Island (verso il mare)
attraversando i pericolosissimi territori delle bande rivali.
Certo, l'Anabasi
è, forse insieme alla Ciropedia (che racconta la vita di Ciro
il Vecchio), l'opera più nota di Senofonte; non dobbiamo però
dimenticare altre opere come l'Economico, il Simposio, o lo
Ierone, un dialogo che pone di fronte, appunto, Ierone,
tiranno di Siracusa tra il 476 e il 468 a. C. e il poeta Simonide,
amico e consigliere del tiranno. Oggetto della discussione fra i due
è se la condizione di uomo privato sia preferibile a quella di
tiranno. Questo dialogo possiamo ora leggere in una nuova versione a
cura di Federico Zuolo, assegnista di ricerca dell'Università di
Pavia, il quale allestisce un'edizione precisa e (stavolta)
filologica (ma sempre nel senso buono del termine), con tanto di
puntiglioso commento: Senofonte, Ierone o della tirannide
(Carocci, pp. 134, € 13,00). Se l'Anabasi di Baldi ci pareva
più diretta a un pubblico di appassionati e curiosi, lo Ierone
di Zuolo possiede una sicura destinazione accademica; lo studioso
allestisce una rigorosa introduzione in cui viene spiegato il
concetto di tirannide (che, agli inizi, non aveva il valore negativo
che assunse in seguito) presso gli antichi, dedicando ampio spazio
alle interpretazioni di Platone e di Aristotele, fino a un excursus
(senz'altro degno di lode: è importante non rimanere chiusi
nell'involucro filologico delle opere antiche ma, quando sia
possibile, studiarne la fortuna e la ricezione successive) sulla
fortuna del dialogo dal Rinascimento alla Modernità (Bruni,
Machiavelli, Rousseau), fino a due pensatori contemporanei come Leo
Strauss e Alexandre Kojève.
La fortuna del dialogo
attraverso i secoli, secondo Zuolo, «si gioca sui due fattori più
originali dello scritto: l'autocritica della tirannide e la
possibilità di riformarla». Di fronte alle pressanti domande di
Simonide sui privilegi e sulle ricchezze concesse a un tiranno,
Ierone risponde che non si tratta di veri privilegi, ma sono tutti
dominati dalla falsità, perché le persone che lodano o contornano
un tiranno lo fanno solo per paura: un tiranno perciò non conosce né
vera amicizia né vero amore. Tanto che - dice Ierone - così grandi
sono i mali di un tiranno che non gli resta altro da fare che
impiccarsi. Ma, afferma Simonide in conclusione, anche un tiranno può
possedere il bene più bello: essere felice senza essere invidiato.
Basta che spenda più per il bene pubblico piuttosto che per il
privato, che pensi alla salvaguardia e alla cura della città e dei
cittadini più che a se stesso. Si parlava di ricezione
contemporanea; ecco, molte di queste riflessioni, valgono e devono
valere anche ai nostri giorni, e non certo solo per i tiranni.
“alias – il manifesto
la talpa libri”, 29 luglio 2012
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