«Parlo delle pietre:
algebra, vertigine e ordine, inni e quinconce, dardi e corolle,
margini del sogno, fermento ed immagine; di una pietra che è lembo
di chioma, opaca e rigida come la ciocca di capelli di un’annegata
(...); di pietre che sono carta liscia, incombustibile e cosparsa di
scintille incerte (...). Parlo delle pietre che c’erano prima della
vita che restano dopo di essa sui pianeti raffreddati. Parlo delle
pietre che non devono neanche attendere la morte e che non hanno
null’altro da fare che lasciar scivolare su di sé la sabbia, la
pioggia o la risacca, la tempesta, il tempo». Era necessaria questa
lunga citazione: intanto per farvi provare il brivido della prosa
incantatrice di Roger Caillois, e poi per farvi introdurre da lui
medesimo in quel regno solidissimo e mistico al tempo stesso che è
stata la sua collezione di pietre. Intellettuale eclettico
quant’altri mai nel secolo scorso, eternamente affascinato dal
“fantastico naturale”, sognatore imperterrito che ha conosciuto
le vertigini dellaletteratura, la rigorosa geometria della scienza,
lo sbilenco mondo del mito - che tutto comprende e tutto capisce -,
Caillois scrive queste righe nel 1966 quando decide di sistematizzare
il suo pensiero intorno a questi frammenti di infinito fattisi
materia e donatici in fortunata visione come abitatori di una remota
e grande pietra sferica nel mezzo del cosmo.
Ha raccolto, nel tempo,
pietre di tutti i tipi e dimensioni e provenienze. Gli fanno
compagnia in casa e lo tengono vicino, nel loro silenzioso
raccontare: così attirarano la sua attenzione e, di più, gli
suggeriscono un’esperienzadi vita - sì, di vita, loro, fredde e
“morte” pietre - superiore. In attesa del tempo immobile, ignare
del nostro essere sulla Terra, lo accompagnano agata e calcedonio,
paesina e diaspro, pietre di ruderi e “pietre di sogno”, come
chiamano i cinesi i ricami involontari di figure nella liscia
superficie: opere d’arte di un nascosto dio che si manifesta in una
bellezza imperturbabile e - magari - non casuale.
Mi è capitato di vederla
- alla (strepitosa) Biennale di Venezia, curata da Massimiliano Gioni
-, la (strepitosa) collezione di pietre di Caillois. E ora la
possiamo rimirare tutti, grazie al volume che lo stesso Gioni cura
per le raffinate edizioni di Xavier Barrai (Roger Caillois, La
lecture des pierres). Pietre che finiscono in un museo di storia
naturale, come ci sembra ovvio, ma che gareggiano, invece, con la
pittura dell’uomo e, talora, la superano, la scavalcano, sempre, in
qualche modo, la profetizzano.
Quello che “vede” Caillois nella pietra è l’essenza stessa della letteratura e, molto di più, del nostro destino e modo di essere umani; esseri sognanti, capaci di immaginare. Di trarre, dalla fredda materia, figlia di compressioni e ribollimenti violenti e ancestrali, occasione di meraviglia e stupore, contemplazione e saggezza.[…] Come d’incanto ecco che nelle sue pietre - opere di grafica purissima o esercizi di sublime “somiglianza” naturale - appaiono qui e là scritture e alfabeti minerali, e, nel tumulto di tratti casuali si configura un’intera enciclopedia lapidaria: «un repertorio sistematico di segni, che non sono forzatamente lettere, ma che costituiscono tuttavia simboli coerenti e associati», scrive in Malversazioni.
Quello che “vede” Caillois nella pietra è l’essenza stessa della letteratura e, molto di più, del nostro destino e modo di essere umani; esseri sognanti, capaci di immaginare. Di trarre, dalla fredda materia, figlia di compressioni e ribollimenti violenti e ancestrali, occasione di meraviglia e stupore, contemplazione e saggezza.[…] Come d’incanto ecco che nelle sue pietre - opere di grafica purissima o esercizi di sublime “somiglianza” naturale - appaiono qui e là scritture e alfabeti minerali, e, nel tumulto di tratti casuali si configura un’intera enciclopedia lapidaria: «un repertorio sistematico di segni, che non sono forzatamente lettere, ma che costituiscono tuttavia simboli coerenti e associati», scrive in Malversazioni.
[…]
«Parlo soltanto delle pietre nude, fascino e gloria, in cui
si dissimula e nel contempo si confida un mistero più lento, più
vasto e più grave di quanto possa esserlo il destino di una specie
effimera».
"Il Sole 24 ore Domenica", 22 marzo 2015
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