Ogni volta che vedo salire su una jeep o un piccolo furgone i minatori che vanno verso la galleria e mi salutano dai finestrini, mi chiedo se staranno nell’arca. La chiamano così quella sorta di scatola bunker dove si rifugiano i lavoratori mentre fuori salta l’esplosivo per far avanzare lo scavo in galleria. Come nell’arca di Noè del racconto biblico, ogni giorno una sfida al diluvio universale, alla vita quotidiana.Simona Baldanzi
Una tesi di laurea nel
territorio. Sociologia sul campo. Ricerca in presa diretta. I
cantieri delle Grandi Opere («investimento strutturale» che
accomuna berlusconiani e sinistra nell’ideologia del cemento»). E
gli operai in carne e ossa che si guadagnano il salario e
sopravvivono negli interstizi del territorio. Un raro esempio di
«lavoro intellettuale» votato alla comprensione della realtà (che
sembra non interessare più a nessuno). Lo offre con intatta passione
la studentessa del Mugello, che nel frattempo ha pubblicato romanzi e
assaggiato il dolore della «morte bianca». Simona Baldanzi con
Mugello sottosopra. Tute arancioni nei cantieri delle grandi opere
(Ediesse, pp. 275, euro 10) si mette sulla scia di Luciano
Bianciardi: come i minatori maremmani «inchiestati» nel dopoguerra,
ecco i trasferiti calabresi nel tunnel dell’edilizia formato
gigante. Un libro nella collana «Carta Bianca» diretta da Angelo
Ferracuti che fa imparare la lezione sulla «Toscana rossa» e
insieme racconta l’umanità messa ai margini.
Simona distribuisce
questionari, dialoga con gli emigranti e si documenta. La laurea
arriverà insieme all’indissolubile legame con Petilia Policastro,
il paese . E il viaggio nell’arca dei minatori continuerà senza
sosta. «Da quando sono piccola non ho passato un giorno in Mugello
senza un cantiere. Ho visto il grigio del cemento mescolarsi al verde
con sempre più insistenza. Mentre sono cresciuta è arrivata l’Alta
velocità e poi la Variante di valico e la terza corsia e sono anni
che parlano dell’autostrada Barberino-Incisa e chissà cos’altro
ancora». Sono le storie mobili di un’irriducibile cronista di
fenomeni, con il vizio di ficcare il naso dentro la realtà nuda e
cruda e la presunzione di innocenza per l’altra faccia della
medaglia. Si parte il 10 luglio 1996 nel cantiere Carlone e si
attraversano tre lustri di Grandi Opere e piccole meschinità
politiche. Come la Tav «democratica» incarnata da Vannino Chiti e
dai sindaci del Mugello: a Roma firmano la resa preventiva ognuno in
una stanza, anche se soltanto il Comune di Fiorenzuola aveva il
mandato per farlo. E comunque alle tute arancioni pochi hanno voglia
di dedicare tempo e attenzione.
Parlano da sole, nel
libro-inchiesta di Simona, le fotografie delle baracche quanto le
facce dei lavoratori. Come al campo base Btp della variante di
valico, a Buttoli, con 200 dipendenti del cantiere che hanno a
disposizione un’unica lavatrice. I volti combaciano con interviste:
domande semplici con risposte che restituiscono nitidamente la
condizione dei minatori postmoderni. Nelle pieghe della vita
quotidiana dell’arancione che ipnotizza, si moltiplica un
purgatorio di rinunce, sacrifici, rischi e nostalgie. Ma Simona
incontra anche un personaggio come Pietro Mirabelli, il nume tutelare
dei minatori di Pagliarelle che invita inutilmente per due volte il
presidente Ciampi alla cerimonia per i caduti sul lavoro (e non
riceve risposta nemmeno da Cofferati). Grazie a lui, si schiude la
dimensione più profonda dei pendolari «invisibili» che accendono
la luce dentro il tunnel in costruzione. Ma il 22 settembre 2010
dalla Svizzera arriva la notizia che Pietro ci ha rimesso la vita nel
suo lavoro di lancista del jumbo: un masso di 400 chili si stacca da
sette metri e lo travolge nel cantiere alptransit di Sigirino.
L’inchiesta della
magistratura elvetica è un’altra pagina da mandare a memoria. Le
tute arancioni, dovunque, non hanno il diritto di capovolgere le
leggi dell’economia a senso unico.
“il manifesto, 8
dicembre 2011
Nessun commento:
Posta un commento