Un testo non nuovo tuttora attualissimo, un classico nel suo genere. (S.L.L.)
Hobos |
Ogni sfiga porta
attaccata a sé una parola. La parola diventa slogan, e si ripete
incessantemente finché perde ogni significato reale. Nel giro di
pochi mesi diventa un mantra ipnotico. Nel giro di qualche anno
diventa un segno dei tempi. Negli anni Novanta si cominciò a
pronunciare incessantemente la parola "flessibilità" e a
ripetere che il lavoro era troppo rigido. Ora, vent'anni dopo, le
condizioni dei lavoratori flessibili ricordano vagamente quelle dei
raccoglitori di cotone dell'Alabama di un pedo di secoli fa, con la
beffa che i precari dei call center, dovendo correre a fare un altro
lavoro, non hanno tempo per cantare il blues.
Altra parola che ci
accompagna (ci segue con un randello, si direbbe) è
“liberalizzazioni". Ciascuno, preso da furore liberalizzatore,
indica indignato questa o quella casta colpevole di bloccare il
paese. Così come la flessibilità avrebbe dovuto farci spiccare un
grande salto (e s'è visto), allo stesso modo le liberalizzazioni
dovrebbero aprire davanti ai nostri occhi un futuro luminoso. E s'è
già visto pure questo. Felicemente liberalizzate, le assicurazioni
auto hanno quasi triplicato il prezzo delle polizze. I servizi
bancari sono schizzati alle stelle, i trasporti ferroviari pure, i
pedaggi auto-stradali peggio mi sento, i viaggi aerei sono più cari,
i trasporti urbani hanno aumentato le tariffe (molto più della
qualità dei servizi) e
il gas costa di più. Tutto molto oltre l'inflazione.
Si saluta come un
miracolo di modernizzazione che treni di nuovi operatori solchino i
nostri binari e sfreccino sulle nostre tratte, ma si tratta di treni
per ceti alti e altissimi, mentre i pendolari viaggiano nelle
condizioni degli hobos della Grande Depressione, senza nemmeno
un Woody Ghutrie che gli suoni la chitarra. Probabilmente, peraltro,
lo lincerebbero per esasperazione in sala d'aspetto, mentre sul
binario 1 sfreccia uno scintillante convoglio griffato, rivestito in
pelle e popolato da managers dinamici ed eleganti. Tutti presi a
discettare di quanto siano importanti, per il paese, le famose
liberalizzazioni.
Il manifesto 18 dicembre
2011
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