Carolina Cristofori Piva |
La zampata arriva
inattesa. «Sto male, è un caldo orribile, e bevo troppo vino... mi
annoio e ruggisco e vorrei ritrovare la mia pantera». Colui che
spalanca le fauci e ingolla una pinta di rosso non è mai stato un
mite e tranquillo amante. Però il vate che all'animale più mansueto
ha dedicato alcuni dei suoi versi più ispirati («t'amo, o pio bove,
e mite un sentimento / di vigore e di pace al cor m'infondi») ora si
scopre parente del re della foresta.
A stimolare in Giosuè
Carducci, alle soglie dei 37 anni, l'atteggiamento più sanguigno,
grintoso e belluino, è la 34 enne Carolina Cristofori Piva. Non a
caso l'irsuto poeta sale e pepe la chiama affettuosamente la sua
pantera. Ha incontrato per la prima volta Lina-Lidia, come l'ha
ribattezzata, il 9 aprile 1872 in un caffè di Bologna, in una serata
nebbiosa. Circa dieci anni prima Lidia è convolata a nozze con uno
dei Mille, il generale di brigata Domenico Piva, ha vissuto a Palermo
e Trapani e poi si è trasferita a Milano, frequentando i salotti
dell'intellighentia meneghina, come quello della contessa Clara
Maffei.
Intelligente, colta,
capace di esprimersi in fluente inglese e tedesco, Lina, con tutte le
sue arti, soprattutto con quelle amatorie, attira tante attenzioni,
non solo dell'autore di Pianto antico che peraltro ha
corteggiato con lettere e regalini alle sue bambine. La morbida ed
enigmatica pantera finisce, dopo l'avvio della turbolenta liaison,
per condurre il poeta in un'altalena di stati d'animo tra
esaltazione, entusiasmo, disperazione, attizzati da frequenti
libagioni (cognac, aleatico e marsala, i preferiti).
Lo testimoniano le circa
seicento lettere scritte da Giosuè a Lidia nell'arco di sei anni: di
cui adesso esce Il leone e la pantera. Lettere d'amore a Lidia,
una selezione di 90 epistole. Questa scelta, a cura di Guido Davico
Bonino, che accompagna il testo con un'acuta e documentata
prefazione, rivela un Carducci assolutamente inedito: per la prima
volta ricontrollate sugli originali conservati nel Museo-biblioteca
Casa Carducci di Bologna, le lettere a volte censurate nella Edizione
Nazionale del carteggio (uno dei più fascinosi epistolari dell'800,
secondo Davico Bonino), ora sono state reintegrate nella versione
originaria e riservano una sorpresa: Carducci appare nella
insospettata veste di papà adulterino di Gino Piva (che prese il
cognome dal marito di Lidia).
In un complicato
intreccio, il futuro premio Nobel si trova così a fronteggiare
numerosi ostacoli ai suoi incontri con Lina, peraltro molto fugaci e
sporadici (sei in un anno), in alberghetti di periferia, con la
possibilità di essere riconosciuti per via della sua crescente
notorietà, mentre si scatenano le invidie e la caccia ai fedifraghi
degli occhiuti colleghi universitari.
Il marito di Lina non
compare quasi mai e non provoca le rimostranze della belva gelosa, ma
Elvira Menicucci, la consorte che a Giosuè ha dato cinque figli, è
ben presente: già dopo il primo abboccamento di Carducci ricatta,
minaccia rappresaglie e ostilità, dopo aver avuto conferma frugando
nelle carte del poeta. «Mia moglie... era purtroppo in sospetto.
Trovò la prima copia della mia lettera a te che io riscrissi
essendomici caduto sopra dell' inchiostro. Dimenticai di stracciare
il foglio macchiato ma leggibilissimo».
Il lirico continuamente
si arrovella nell'ipotesi di tradimenti da parte di Lidia con
presunti (o veri) rivali, come l'amico scrittore Panzacchi, di cui
per rabbia butta i libri nella spazzatura, il ministro del Regno
Ruggiero Bonghi, definito sprezzantemente «Pancetta», o il senatore
Linati, chiamato «strabico e imbecille». In queste lettere così
veementi e così travolgenti, Carducci si confida a Lidia senza
remore, le confessa tutti i suoi più riposti pensieri, come l'astio
verso la famiglia paterna, per suo nonno, un vecchio «iniquo» e un
fior di canaglia, per suo padre che ha ereditato dal suo genitore,
«qualcosa del farabutto, del falso e del convenzionale», mentre
rievoca la morte del fratello Dante per suicidio (ma si disse
addirittura che venne ucciso accidentalmente dal padre durante un
diverbio).
Lidia è inoltre la musa
ispiratrice che lo porta a riversare sulla pagina i versi più
frementi, dalle Primavere elleniche ad alcune Odi barbare,
alle significative Alla Stazione e Ave per il figlio
della partner segreta, Guido, morto a 15 anni.
Questa scomparsa
precederà di pochissimo quella della stessa Lidia nel 1881 (a 43
anni), la cui epigrafe nel cimitero di Bologna sarà suggerita da
Carducci. L'altra progenie, quella del «peccato», Gino, diventerà
un animatore del nascente Partito socialista italiano e sarà a capo
degli scioperi più combattuti e duri, tanto da essere ricordato in
un canto popolare degli operai del Polesine: «Evviva Gino Piva / che
col suo bel parlare / tutta la provincia / ha fatto ribellare». E
non sapevano nemmeno che era nato sotto il segno del Leone.
Giosué Carducci nel 1865 |
Appendice
Carducci sul figlio adulterino
Così Carducci scriveva a
Lidia del loro Gino: «Una delle mie infelicità è di non poterlo
allevare io quel bambino, e mostrarlo a tutti per mio. E ora digli da
parte mia tante di quelle cosine che tu sai dire, e chiedi anche a
lui perdono da parte mia, e finisci con tanti baci... Dunque è
proprio bellino quel Gino?» (18 maggio 1873). E in una lettera del 7
giugno 1874 domandava: «Perché non mi mandi un ritratto della
piccola creatura?... Non puoi credere quanto mi abbia fatto pensare e
sognare e delirare l’aneddoto... su le somiglianze». Ancora, il 28
febbraio 1875: «Tu parli della p.p. (piccola persona, ndr.) e la
chiami il “mio” bambino, e ne descrivi tutte le dolci cose... in
guisa che mi fai invidia, rabbia».
Tuttolibri La Stampa, 18
settembre 2010
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