Un’enciclica
sulla duplice riconversione, ecologica e cristiana: così può essere
definita l’enciclica dell’attuale pontefice, “Laudato si’”,
documento di quasi duecento pagine che prende il nome
dall’invocazione di Francesco d’Assisi nel “Cantico delle
creature”. Il testo (redatto, lo si ricordi, da un esponente
dell’ordine dei Gesuiti che ha scelto di ispirarsi, fin dal nome,
al fondatore dell’ordine dei Francescani) contiene denunce molto
dure contro gli egoismi e la miopia che nascono da una concezione
ultracapitalistica dello sviluppo e contro i danni che ne derivano
all’umanità e in particolare alla parte più povera di essa,
nonché all’ambiente. Degna di apprezzamento è anche l’ottica
che caratterizza il documento pontificio, ossia lo sforzo di
sviluppare un dialogo non limitato ai soli credenti, ma esteso anche
ai seguaci di altre confessioni o religioni e agli stessi non
credenti. Tale dialogo nel capitolo 5 dell’enciclica viene perciò
individuato, in coerenza con gli orientamenti del Concilio Vaticano
II, come strumento per affrontare e risolvere i problemi.
È
un documento ambizioso questa enciclica, come dimostra una rapida
rassegna degli assi tematici portanti e degli autori che vengono
richiamati. Tra i primi, vanno segnalati «l’intima relazione tra i
poveri e la fragilità del pianeta; la convinzione che tutto nel
mondo è intimamente connesso; la critica al nuovo paradigma e alle
forme di potere che derivano dalla tecnologia; l’invito a cercare
altri modi di intendere l’economia e il progresso; la grave
responsabilità della politica internazionale e locale; la cultura
dello scarto e la proposta di un nuovo stile di vita». Fra i
secondi, è doveroso richiamare il canonico ‘doctor angelicus’,
Tommaso di Aquino, e il meno canonico Teilhard de Chardin, il
naturalista gesuita che, sfiorando pericolosamente il panteismo, ha
elaborato un’interpretazione cristiana dell’evoluzionismo
darwiniano.
Alcuni
‘flash’ sui temi cruciali della “crisi ecologica” sono utili
a dare un’idea dell’importanza di un documento che per la sua
estensione è un vero e proprio libro. Dopo aver sottolineato che
l’impatto dei mutamenti climatici ricade sui più poveri, che la
vitale risorsa dell’acqua è il più importante ‘bene comune’
dell’umanità, che la biodiversità va preservata e che il debito
ecologico chiama in causa la responsabilità del Nord del mondo verso
il Sud del mondo, papa Francesco, ricordando il fallimento dei
Vertici internazionali sulle questioni dell’ambiente, stigmatizza
la “debolezza delle reazioni”, la diffusa irresponsabilità” e
la mancanza di una cultura adeguata e della disponibilità a cambiare
stili di vita, produzione e consumo. Nel secondo capitolo,
rifacendosi al racconto biblico della creazione, il papa rilegge le
problematiche precedenti alla luce delle Sacre Scritture, ribadendo i
postulati cristiani. Il terzo capitolo dell’enciclica è quello
filosoficamente più impegnato e socialmente più radicale, poiché
in esso l’autore, dopo aver esaminato gli effetti della crisi
ecologica, affronta l’analisi delle cause attraverso un confronto
con la filosofia e con le scienze umane. Importanti sono, in questo
àmbito, le riflessioni sulle potenzialità, sui limiti e sui
pericoli della tecnologia che, come afferma il papa con accenti
marxisti, «dà a coloro che detengono la conoscenza e soprattutto il
potere economico per sfruttarla un dominio economico impressionante
sull’insieme del genere umano e del mondo intero». Pertanto, le
radici umane della crisi ecologica sono, a giudizio di papa
Francesco, da ricondurre a due vizi, ad un tempo, cognitivi e morali:
un “eccesso di antropocentrismo”, per cui nel suo rapporto con
l’ambiente e con i suoi simili l’essere umano assume una
posizione autoreferenziale centrata esclusivamente su di sé e sul
proprio potere, e il relativismo, tradizionale bersaglio,
quest’ultimo, della polemica condotta dai suoi predecessori
(Wojtyla e Ratzinger). Sempre in linea con la dottrina sociale della
Chiesa esposta da questi ultimi papi risulta poi la trattazione di
due ordini di problemi: l’uno attinente al lavoro e l’altro ai
limiti del progresso scientifico con un particolare riferimento agli
OGM.
Sennonché,
malgrado l’ampia e analitica disàmina che il papa svolge sulla
fenomenologia della crisi ecologica e le buone intenzioni al servizio
delle quali egli la pone, permangono, e non potrebbe essere
diversamente considerando la fonte, l’istituzione e gli obiettivi
dell’autorità da cui promana il dettato, una serie di
contraddizioni che, se non tolgono all’enciclica la sua importanza,
ne pregiudicano largamente la coerenza ideale e ne vanificano
l’attuazione pratica. La prima contraddizione, già segnalata dai
più avvertiti studiosi delle dottrine sociali cattoliche (e per il
suo contenuto l’enciclica in questione appartiene pienamente a
questa categoria), consiste nel cercare di costruire tali dottrine a
partire da un messaggio religioso sui fini ultimi della vita umana, a
partire quindi dal primato dei beni dell’anima rispetto a quelli
del corpo, di quelli spirituali rispetto a quelli temporali, della
morale rispetto all’economia. Come sfuggire allora all’implacabile
realismo di Marx, che ha qualificato le concezioni di questo tipo
come “fiori gettati sulle catene dello sfruttamento”? Inoltre, la
prospettiva che caratterizza l’enciclica è pur sempre quella,
formulata alla fine dell’Ottocento nella “Rerum novarum” di
Leone XIII, ripresa nella “Centesimus annus” di Giovanni Paolo II
e teorizzata dalla scuola tedesca di Colonia, dell’‘economia
sociale di mercato’, che è quanto dire della conciliazione tra il
profitto e il salario, tra un capitalismo ‘cattivo’ ed un
capitalismo ‘buono’, che ognun vede quanto sia oggi praticabile,
in tempi di prolungata crisi economica, disoccupazione di massa e
crescente sfruttamento dei lavoratori. Così, l’uso di un
linguaggio anticapitalistico da parte degli estensori di detti
documenti serve, in genere, a dissimulare la sostanza retriva
dell’ideologia della conciliazione e della rassegnazione, più o
meno temperate dall’azione correttiva di un ‘capitalismo
compassionevole’, in essi formulata (come già notava Marx nel
“Manifesto del partito comunista”, esaminando quella variante del
socialismo feudale che è il ‘socialismo pretesco’, «non c’è
cosa più facile che dare una tinta socialistica all’ascetismo
cristiano»). La conclusione è dunque la seguente: proprio perché
dalla stessa disàmina papale si evince che i problemi sono radicali,
occorre una soluzione altrettanto radicale. Non basta denunciare gli
abusi di questo modo di produzione sempre più ecocida e genocida, ma
occorre rovesciarlo e sostituirlo con un modo di produzione
rispettoso degli equilibri naturali, che allevii la fatica umana
attraverso la scienza e la tecnologia e sia razionalmente e
collettivamente controllabile dalla società; parimenti, non basta
invocare un’“ecologia integrale” come nuovo paradigma di
giustizia (vedi il capitolo quarto dell’enciclica). Occorre invece
prendere atto che «lo spirito della produzione capitalistica è
antitetico alle generazioni che si succedono» (Marx) e trarre da
questa constatazione tutte le conseguenze che ne derivano, aggredendo
le vere cause dell’attuale crisi ecologica e umana, che non sono
l’antropocentrismo e il relativismo, ma il capitalismo e la sua
inestinguibile sete di profitto e di dominio.
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