25.6.15

Classici medievali. Il Tristano di Beroul (Mario Mancini)

«Nell'ondeggiante oceano, / nell'armonia sonora, / nell'alitante Tutto / del respiro del mondo /naufragare, / affondare, / senza coscienza, / suprema voluttà!» («In dem wogenden Schwall, /in dem tönenden Schall, / in des Weltatems / wehendem All, - / ertrinken, / versinken, -- / unbewusst, - / höchster Lust!»). Sono le ultime parole del Tristan und Isolde di Wagner, che ha dato forma indimenticabile alla leggenda dei due amanti, trasfigurando l’amore impossibile che conosce l’unione solo nella morte, la negazione finale della volontà alla vita di Schopenhauer, il suo radicale nichilismo, in una fascinosa melodia infinita, dolce e terribile. Wagner prende le mosse dal Tristan (1210 ca.) di Gottfried von Strassburg - lo legge nell’edizione del 1823 di Friedrich Heinrich von der Hagen e nella versione condotta nel 1844 da Hermann Kurtz - che a sua volta si ispira a un Tristano antico-francese, giuntoci solo in frammenti e opera di un poeta dell’Inghilterra normanna, Thomas (1150-60 ca.). Gottfried rende palese omaggio al suo predecessore, che chiama «Thomas von Britanje», così vicino alla lancinante tensione della sua opera, pervasa d'amore e di morte, al suo «strano lamento». Ma il Medioevo, così ricco di tensioni, di vertiginosi esperimenti, ci offre, oltre al Tristano di Thomas, un altro grande testo, il Tristano di Béroul (1160-80 ca.): un testo completamente diverso, quasi che Béroul volesse «capovolgere» l'opera del rivale. Invece della distanza, della lacerazione, dell'esaltazione e del lutto, viene messa in scena, con colori epici, quella che potremmo chiamare un'arte dell'incontro amoroso. Il lettore moderno può ora leggere Béroul nella bella traduzione, con testo a fronte, di Gioia Paradisi (Tristano e Isotta, Edizioni dell'Orso), che si confronta anche con i problemi testuali - l'opera ci è giunta in un unico manoscritto, ma numerosi sono i punti controversi - e mette in luce, senza temere l'ombra di Thomas, la grandezza di questo romanzo: la «dismisura amorosa» dei protagonisti, i tratti epici e potentemente arcaici, il ritmo travolgente, ricco di suspence e di colpi di scena.
In Béroul l'eros è «dispensatore di piacere e di medicina del dolore». Anche nella vita di stenti, davvero selvaggia, che gli amanti, fuggiti dalla corte, conducono nella foresta del Morrois, Béroul sottolinea come la simmetria della loro condizione sentimentale cancelli la sofferenza: «Ciascuno sopporta le privazioni con lo stesso animo, / perché l'uno per l'altro non sente che bene»
(«Chascun d'eus soffre paine elgal, / qar l'un por l'autre nesent mal). E nella scena notturna in cui Tristano, per evitare di lasciare le sue impronte sulla farina che il nano malefico che li spia ha sparso sul pavimento, raggiunge con un grande balzo il letto della regina, l'eroe neppure si accorge di un'antica ferita che si è riaperta: «La ferita si apre, sanguina tanto, / il sangue che ne esce lascia il segno sulle lenzuola: / la ferita sanguina, non la sente, / perché è tutto intento al suo piacere». («Sa plaie escrive,forment saine, / le sanc qui n'ist les dras ensaigne: / la plaie saigne, ne la sent, / qar trop a son delitentent»).
Per Béroul Tristano è un marginale, irrimediabilmente, perché il «folle amore» che lo domina, e che lo lega alla regina, non è compatibile con l'ordine feudale della corte. Questo è difeso dai baroni, che spiano gli amanti, che non si stancano, mossi anche dall'invidia, di denunciarli al re. Su di loro, a più riprese, si scatena l'ira omicida di Tristano. All'audacia dell'eroe risponde, specularmente, l'astuzia di Isotta, capace di dissimulare, di superare, mentendo, le situazioni più drammatiche. Come nella grande scena del Mal Pas. Qui Isotta davanti alla corte diArtù, che sarà garante del suo giuramento e che la difenderà da ogni ulteriore sospetto, affronta il iudicium Dei, per allontanare da sé l'accusa di aver commesso adulterio con Tristano. Travestito da lebbroso, coperto di stracci, Tristano la prende in groppa per farle attraversare la palude del Mal Pas, e così Isotta può pronunciare, trionfalmente, la sua «verità»: «Ora ascoltate il mio giuramento, / del quale il re Artù qui presente è garante: / in nome di Dio e di sant'Ilario, / su queste reliquie, sul reliquiario, / su tutte le reliquie che non sono qui / e su tutte quelle sparse per il mondo, / mai tra le mie cosce entrò uomo / eccetto il lebbroso che si fece bestia da soma / e che mi portò oltre il guado, / e il re Marco, mio sposo». In questa grandiosa recita dell'ordalia, Isotta è maestosa regina, splendida nelle sue vesti foderate di bianco ermellino, con un cerchio d'oro nei capelli, e insieme, piantata sul dorso del falso lebbroso, un'impavida virago, una sfrontata i baccante: «Li guardano tutti, re e conti. / Isotta monta sulla stampella, / sale con le gambe a cavalcioni. / Tristano un po' di volte fa finta di cadere, / fa la faccia come se soffrisse. / Isotta la bella lo cavalcò, / una gamba di qua, una di là»(«Yseut la bele chevaucha, / janbe dega, janbe dela»).
La storia ci trasporta in un mondo arcaico. Tristano non impugna la spada come un cavaliere cortese, ma scocca frecce micidiali dal suo arco che non sbaglia mai, dall'«Arc qui ne faut». Nel filtro amoroso converge anche un motivo ben attestato nel folklore celtico, quello del «vin de royauté», della bevanda magica che viene offerta al re la sera delle nozze, a garantire il potere regale nei miti in cui un umano sposa una divinità femminile legata al territorio e garante della sovranità. Dio non è un giudice che condanna l'adulterio della coppia e il molteplice gioco dei loro inganni, è piuttosto loro complice, un tratto decisivo e deviante che Gioia Paradisi mette bene in luce: «Aldilà dell'irresponsabilità oggettiva determinata dalla bevanda magica, la partigianeria del Dio cristiano verso Tristano e Isotta credo possa rinviare a un'estraneità (o a un'alterità) del concetto di “Dio” rispetto ai significati più profondi della vicenda». L'arcana coercizione esercitata dal filtro, neutralizzando la volontà degli amanti, li colloca in una dimensione dove la sanzione religiosa e morale non vale più nulla. Quando l'eremita Ogrino chiede loro di pentirsi e di rinunciare al «pechié», al peccato nel senso cristiano del termine, Isotta rifiuta e ribadisce che il suo attaccamento a Tristano si deve al filtro magico che hanno entrambi bevuto. L'eremita, sconsolatamente, non può che prendere atto dell'impossibilità di impartire loro la penitenza: «Il fallimento di Ogrino mostra che contro il potere straordinario di Amore nulla può la condanna del peccato e la paura della morte dell'anima agitata dall'uomo di chiesa».
In questo mondo arcaico, alternativo alla corte, e alla morale della chiesa, i nostri eroi si muovono con una selvaggia agilità. Se il Tristano di Thomas, di Gottfried von Strassburg, di Wagner, ci offre un'iniziazione piena di pathos alle altezze sublimi della voluttà e del nulla - Gottfried si rivolge ai «nobili cuori», agli «edelen herzen», «che insieme portano nel cuore / dolce amarezza, amato dolore, / palpiti di gioia, tormento del desiderio, / vita felice, triste morte, / morte felice, triste vita» - Béroul vuole percorrere un'altra strada. Accompagna i protagonisti e le loro rocambolesche avventure, innumeri e sempre diabolicamente vitali - agguati, travestimenti, roghi e fughe, giuramenti blasfemi - con un senso di gioiosa partecipazione, e invita il lettore, che accetta volentieri, a farlo con lui.


“la talpalibri alias il manifesto”, 6 ottobre 2013

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