!915 - 1918 "I caduti nei campi della gloria" |
Per lungo tempo, nella
Repubblica Italiana nata dalla Resistenza antifascista, specialmente
al Sud, si celebrò come principale Festa Nazionale il 4 Novembre. La
ricorrenza civile, che concludeva le festività religiose di inizio
novembre, era vacanza nelle scuole e nei pubblici uffici e non era
ancora diventata, come adesso è, Festa delle Forze Armate. Celebrava
invece la Vittoria, benché conseguita in una guerra cui si erano
opposti la Chiesa cattolica e i socialisti e cui i ceti popolari si
erano piegati loro malgrado.
Ma - nonostante la caduta
del Fascismo, che quella ricorrenza aveva esaltato come compimento
della Nazione - la celebrazione era ancora in vigore e per
l'occasione si visitavano i parchi delle Rimembranze e si deponevano
corone di fiori davanti ai monumenti ai Caduti in quella Grande
Guerra (tanti in ogni paese) che era stata un'enorme carneficina.
Dalle mie parti la
celebrazione, quasi sempre preceduta da cortei militaristi e bande
che suonavano la Canzone del Piave del fascistissimo
E.A.Mario, era conclusa da discorsi delle autorità civili (e nelle
città anche militari) non senza la presenza di un qualche reduce
munito di decorazioni. Nei centri maggiori e nei paesi più fortunati
poteva annoverarsi la presenza di qualche Cavaliere di Vittorio
Veneto. Il prete a volte c'era e a volte no.
Ad organizzare la sfilata
erano generalmente i Municipi e la cosa creava qualche problema.
I sindaci rossi in genere
non amavano quella ricorrenza, ma non seguivano una comune linea di
comportamento. I vecchi socialisti il più delle volte non andavano:
mandavano le Guardie municipali e lasciavano che parlassero i
rappresentanti delle associazioni combattentistiche. Così
rinverdivano l'antico motto "né aderire né sabotare". Per
i comunisti era più difficile: dovevano dimostrare d'essere – così
voleva Togliatti – un partito nazionale, patriottico perfino. Così
finivano per subire la retorica della quarta guerra d'indipendenza,
dell'italianità di Trento e Trieste ecc. Al mio paese, Giovanni
Riggeri, che fu sindaco dal 1953 al 1960, in verità tagliava corto e
rendeva omaggio ai caduti per la patria senza tante chiacchiere.
Quando fu eletto sindaco Lillo Gueli, che nella discussione interna
del Pci a quel tempo simpatizzava per Ingrao, nei suoi discorsi si
ascoltavano tortuose argomentazioni: mentre diceva con franchezza
che operai e contadini erano andati malvolentieri a quella guerra,
sottolineava che l'avevano vinta soprattutto loro e che era cresciuta
nelle trincee la solidarietà di classe a scapito delle differenze
regionali (una lettura che ricordava il celebre film di Monicelli).
1940 - 1945 - "Comprendere è impossibile". A maggior ragione se si mescolano i morti nelle guerre di aggressione in Africa, in Grecia o in Russia, con i partigiani caduti nel corso della Resistenza |
Era comunque questa la
festa nazionale più celebrata. Fino al 68, in Sicilia, il 25 aprile
della Liberazione e il 1° maggio del Lavoro furono soprattutto le
feste dei socialcomunisti: solo nei primi anni Sessanta i sindacati
della CISL diedero vita a un loro piccolo Primo Maggio, con il prete
benedicente e la statua di San Giuseppe lavoratore. Le altre due
feste nazionali, il 2 giugno, della Repubblica, e l'11 febbraio della
Conciliazione, poi declassata a solennità civile, erano solo
un'occasione di vacanza a scuola e negli uffici pubblici.
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