Émile Zola nel suo studio
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La parola “intellettuale”
ha particolari connotazioni storiche. Benché qualcuno abbia scoperto
che appare per la prima volta nel 1864 nel Chevalier des Touches di
Barbey d Aurevilly, nel 1879 in Maupassant e nel 1886 in Leon Bloy
essa viene usata sistematicamente nel corso del famigerato affare
Dreyfus, almeno dal 1898 quando un gruppo di scrittori artisti e
scienziati come Proust, Anatole France, Sorel, Monet, Renard,
Durkheim, per non dire di Zola che scriverà poi il suo micidiale
J'accuse, si dichiarano convinti che Dreyfus sia stato vittima
di un complotto, in gran parte antisemita, e chiedono a revisione del
suo processo. Costoro vengono definiti intellettuali da Clemenceau ma
la definizione viene subito ripresa in senso denigratorio da
rappresentanti del pensiero reazionario come Barrès e Brunetière
per indicare delle persone che, invece di occuparsi di poesia,
scienza o altre arcane specialità (insomma, dei fatti loro), ficcano
il naso in questioni di cui non sono competenti, come i problemi di
spionaggio e di giustizia militare (che va lasciata appunto ai
militari).
L'intellettuale era
dunque per gli antidreyfusardi qualcuno che viveva tra i suoi libri e
le sue astrazioni fumose e non aveva contatti con la realtà concreta
(e quindi era meglio stesse zitto).
Da una “bustina” del
2010 in Pape Satàn Aleppe
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