Ci fu un momento, sul
finire del secolo scorso, di gran fervore revisionistico, in cui in
Francia si intentò una sorta di processo postumo a Jean-Paul Sartre.
“Il manifesto”, in quegli anni, fu una delle poche voci, in
Italia ad informare di questo clima d'oltralpe e a tentare di
leggerne il significato. L'articolo che segue venne pubblicato nel
supplemento libri del “quotidiano comunista”, ma si tratta della
traduzione di un pezzo già apparso su “Le Monde”. Il libro di
cui qui si discorre fu uno dei momenti di uno scandalismo basato sul
nulla. (S.L.L.)
Il libro di Joseph
Gilbert (Une si douce occupation. Simone de Beauvoir et Jean-Paul
Sartre 1940-1944, Albin
Michel, Parigi, 1991) presentato come «storico e romanziere», è un
fenomeno editoriale deprimente per quel che indica sul costume del
nostro tempo. Che si sia trovato un grande editore per pubblicare
tale miseria, con la scusa che il libro era stato commissionato come
biografia della coppia Sartre-Beauvoir, dimostra perlomeno che il
commercio l’ha decisamente avuta vinta sull’intelligenza, persino
in una casa editrice che pubblica dei premi Nobel.
A Gilbert Joseph non
piace Sartre e tantomeno Beauvoir, come non gli piacciono Camus e
Malraux; solo Valéry lo stimola. Ne ha tutto il diritto. Della loro
opera non capisce niente. Questo del resto non è un suo privilegio.
Li rimprovera di aver vissuto da letterati sotto l’occupazione
tedesca e di aver indossato, dopo la Liberazione, l’abito dei
resistenti. Quest’accusa si può intentare; ma ci vuole, per
istruire il processo, un minimo di buona fede. E dare la parola agli
accusati, non soltanto agli accusatori.
Il metodo di storico di
Joseph è spietato: consiste nel tener conto solo delle testimonianze
ostili a Sartre e Beauvoir, e nel ricordare di quanto hanno scritto
gli accusati solo ciò che parla contro di loro; se i documenti
mancano, l’assenza diventa un elemento di sospetto. Così l’autore
ha incontrato dei vecchi compagni di prigionia di Sartre che non lo
amano, intellettuali che, nel campo di prigionia, si erano sentiti
trattati sdegnosamente dal «normalista» Sartre e gliene vogliono
ancora per ciò che lui è diventato più tardi. L’autore si
identifica con loro e li cita abbondantemente. Sospetta che sia
offuscato dalla simpatia persino il libro dell’abate Perrin, che ha
raccontato la sua esperienza con Sartre in prigionia. Esempio: Sartre
non è evaso ma è stato liberato grazie a un falso che lo faceva
passare per civile, colpito da turbe dell’equilibrio. Joseph
scrive: «ignoriamo come sia andata questa visita (medica)».
Evidentemente lui non c’era. Però non presta ascolto alle
testimonianze di Marius Perrin e a quella di Sartre stesso, riferita
da Simone de Beauvoir.
Poiché è andato perduto
il fascicolo di Sartre al Ministero della pubblica istruzione, Joseph
afferma senza prove né testimonianze che Sartre nel ’41 firmò la
dichiarazione, obbligatoria per i professori, di non essere né ebreo
né massone, e rifiuta come una menzogna quello che Sartre ha
dichiarato: che egli non la dovette firmare al ritorno dalla
prigionia. Joseph cita come un’impostura ciò che si legge nella
scheda biografica riempita nel ’62 da Sartre per l’adesione alla
Società dei letterali; «Prende parte attiva alla Resistenza e alle
barricate di Parigi». Ma non cita la frase con la quale Sartre ha
riassunto, e retrospettivamente biasimato, il proprio atteggiamento:
«Durante l’occupazione ero uno scrittore che resisteva, e non un
resistente che scriveva».
Né cita la frase famosa
della «Repubblica del silenzio»: «io non parlo di quella élite
costituita dai veri resistenti, ma di tutti i francesi che, a ogni
ora del giorno e della notte, per quattro anni hanno detto no»
(Situations III). Nello stesso volume Joseph non sembra aver
letto nemmeno l’articolo Parigi sotto l’occupazione, in
cui Sartre tentava di spiegare le ambiguità della vita quotidiana
nella capitale in mano ai tedeschi a lettori che non le avevano
vissute: “Così vivevamo, nel peggiore smarrimento, infelici senza
osare dircelo, vergognosi e disgustati della vergogna. Per colmo di
infelicità non potevamo fare un passo né mangiare, né respirare
senza renderci complici dell’occupante». Non viene in mente a
Joseph che è per una sorta di rimorso di non aver detto «no» con i
fatti piuttosto che con gli scritti che Sartre si è lasciato
intimidire, dopo la guerra, dal «partito dei fucilati», come
Jankélévitch aveva ben visto e come lui stesso sapeva.
Ma Joseph non vuol fare
l’intellettuale, va alla ricerca di fatti; non infieriamo. Dopo
aver spulciato i rapporti di una causa contro Simone de Beauvoir per
sottrazione di minore che portarono a un non-luogo a procedere Joseph
scrive: «Simone de Beauvoir e i suoi si erano presi gioco della
polizia». La polizia in questione era quella di Vichy. Quanto ai
fatti, ora sappiamo dalle lettere di Beauvoir che non corrispondevano
alle sue dichiarazioni al commissario incaricato dell’inchiesta.
Joseph ha un’evidente inclinazione per la Buon costume.
Ascoltiamolo a proposito
de Le mosche. «I personaggi di Sartre sono piatti,
inefficaci. La loro azione è prederminata dal fato antico e non dal
libero arbitrio. Sono chiacchieroni, dogmatici, limitati. Mancano a
Sartre i mezzi d’espressione adeguati». Qui e ovunque si tratti di
idee e di letteratura Joseph appare dolorosamente disarmato. E
infine, nel libro, è proprio questo che infastidisce di più: che
qualcuno abbia potuto passare tante ore, darsi tanto da fare a
raccogliere documenti e testimonianze per tentare di squalificare,
attraverso l’uomo e la sua compagna, un’opera che gli passa
visibilmente sopra la testa. Se si trattasse di un libro pubblicato a
spese del’autore, la cosa sarebbe soltanto pietosa. Diventa volgare
quando solo la morte di Sartre, la sua fama e il processo politico di
cui egli è oggi oggetto inducono un editore a diffondere un’opera
misera e piena d’odio. L’editoria ha davvero un bel futuro
davanti a sé, se si dedicherà a istruire il processo a tutti i
nostri grandi scrittori che non sono stati fucilati a Mont-Valerien.
“il manifesto – la
talpa”, per gentile autorizzazione di Le Monde, 6 dicembre 1991
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