Foto segnaletica di Antonio Gramsci nei registri carcerari |
Dal Carcere di San
Vittore, Milano
Carissima Tania,
[….]
Tu hai letto bene e
studiato le idee di Tolstoi? Dovresti confermarmi il significato
preciso che Tolstoi dà alla nozione evangelica di «prossimo». Mi
pare che egli si attenga al significato letterale, etimologico della
parola: «chi ti è piú vicino, quelli della tua famiglia, cioè, e,
al massimo, quelli del tuo villaggio»). Insomma, non sei riuscita a
cambiarmi le carte in tavola, mettendomi innanzi dimostrativamente la
tua bravura di medico, per farmi riflettere meno alle tue condizioni
di paziente. Sulla flebite, poi, io mi sono formato una cultura
speciale, perché negli ultimi quindici giorni di residenza ad
Ustica, ho dovuto ascoltare le lunghe disquisizioni di un vecchio
avvocato perugino che ne soffriva e si era fatto arrivare quattro o
cinque pubblicazioni in proposito. So che si tratta di un male
abbastanza grave e molto doloroso; tu avrai veramente la pazienza
necessaria per curarti bene senza fretta? Spero di sí. Io posso
contribuire a farti aver pazienza, scrivendoti lettere piú lunghe
del solito. È un piccolo sforzo che non mi costerà gran che, se tu
ti accontenterai del mio chiacchiericcio. Eppoi, eppoi, sono molto
piú sollevato di prima.
La lettera di Giulia ha
determinato in me uno stato d'animo piú tranquillo. Le scriverò a
parte, un po' a lungo, se mi sarà possibile, perché non voglio
farle dei rimproveri e non vedo ancora come potrò scriverle a lungo,
senza farle dei rimproveri. Ti pare giusto, infatti, che ella non mi
scriva quando sta male o è angosciata? Io penso che, proprio in tali
circostanze, dovrebbe scrivermi di piú e piú lungamente. Ma non
voglio fare di questa lettera la sezione-rimproveri.
Per farti passare il
tempo ti riferirò una piccola discussione «carceraria» svoltasi a
pezzi e bocconi. Un tale, che credo sia evangelista o metodista o
presbiteriano (mi sono ricordato di lui a proposito del suaccennato
«prossimo») era molto indignato perché si lasciavano ancora
circolare per le nostre città quei poveri cinesi che vendono
oggettini certamente fabbricati in serie in Germania, ma che dànno
l'impressione ai compatrioti di annettersi almeno un pezzettino del
folklore cataico. Secondo il nostro evangelista, il pericolo era
grande per la omogeneità delle credenze e dei modi di pensare della
civiltà occidentale: si tratta, secondo lui, di un innesto
dell'idolatria asiatica nel ceppo del cristianesimo europeo. Le
piccole immagini del Budda finirebbero con l'esercitare uno speciale
fascino che potrebbe essere come un reagente sulla psicologia europea
ed esercitare una spinta verso neoformazioni ideologiche totalmente
diverse da quella tradizionale. Che un elemento sociale come
l'evangelista in parola avesse simili preoccupazioni, era certo molto
interessante, anche se tali preoccupazioni avessero origine molto
lontana. Non fu difficile però cacciarlo in un ginepraio di idee,
senza uscita per lui, facendogli osservare:
1°. Che l'influenza del
buddismo sulla civiltà occidentale ha radici molto piú profonde di
quanto sembri, perché durante tutto il Medio Evo, dall'invasione
degli arabi fino al 1200 circa, la vita di Budda circolò in Europa
come la vita di un martire cristiano, santificato dalla Chiesa, la
quale solo dopo parecchi secoli si accorse dell'errore commesso e
sconsacrò il pseudosanto. L'influenza che un tale episodio può
avere esercitato in quei tempi, quando l'ideologia religiosa era
vivacissima e costituiva il solo modo di pensare delle moltitudini, è
incalcolabile.
2°. Il buddismo non è
una idolatria. Da questo punto di vista, se un pericolo c'è, è
costituito piuttosto dalla musica e dalla danza importata in Europa
dai negri. Questa musica ha veramente conquistato tutto uno strato
della popolazione europea colta, ha creato anzi un vero fanatismo.
Ora è impossibile immaginare che la ripetizione continuata dei gesti
fisici che i negri fanno intorno ai loro feticci danzando, che
l'avere sempre nelle orecchie il ritmo sincopato degli jazz-bands,
rimangano senza risultati ideologici; a) Si tratta di un fenomeno
enormemente diffuso, che tocca milioni e milioni di persone,
specialmente giovani; b) si tratta di impressioni molto energiche e
violente, cioè che lasciano traccie profonde e durature; c) si
tratta di fenomeni musicali, cioè di manifestazioni che si esprimono
nel linguaggio piú universale oggi esistente, nel linguaggio che piú
rapidamente comunica immagini e impressioni totali di una civiltà
non solo estranea alla nostra, ma certamente meno complessa di quella
asiatica, primitiva ed elementare, cioè facilmente assimilabile e
generalizzabile dalla musica e dalla danza a tutto il mondo psichico.
Insomma il povero evangelista fu convinto, che mentre aveva paura di
diventare un asiatico, in realtà egli, senza accorgersene, stava
diventando un negro e che tale processo era terribilmente avanzato,
almeno fino alla fase di meticcio. Non so quali risultati siano stati
ottenuti: penso però che non sia piú capace di rinunziare al caffè
con contorno di jazz e che d'ora innanzi si guarderà piú
attentamente nello specchio per sorprendere i pigmenti di colore nel
suo sangue.
Cara Tania, ti auguro di
ristabilirti bene e presto: ti abbraccio.
Antonio
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