6.4.19

Perugia. La psichiatria e il Sessantotto (Francesco Scotti)


Dal dossier per i cinquant'anni del Sessantotto pubblicato da “micropolis” nel dicembre 2018 riprendo l'articolo di Francesco Scotti che – insieme a Carlo Manuali – fu tra i protagonisti delle nuove pratiche psichiatriche e della chiusura del manicomio e, dopo, diresse a lungo i servizi psichiatrici dell'Umbria. Perugia fu con la Gorizia e la Trieste di Basabglia e con Arezzo la punta avanzata della lotta degli operatori e dei “matti” più consapevoli per cambiare l'approccio culturale e terapeutico verso la malattia mentale. (S.L.L.)


La sintonia tra '68 e nuova psichiatria
Non avrò qui la pretesa di dire che cosa sia stato il '68. Mi assumerò invece il compito di riflettere sull'influenza che esso ha avuto sulla psichiatria il cui rinnovamento era già avviato in quegli anni. Constatare l'esistenza di tale rapporto costituisce un'altra prova dell'impronta che il '68 ha impresso sulla cultura italiana; ma testimonia anche la sostanziale omogeneità del movimento di nuova psichiatria, al di là delle pur grandi differenze con cui si manifestò tra un luogo e l'altro. Il movimento antimanicomiale si è incontrato con il movimento degli studenti e degli operai non solo perché era portatore di istanze innovative nei campi del fare e del sapere ma anche, o soprattutto, in quanto realizzava le istanze di partecipazione e di democrazia che altrove erano solo enunciate. La sua particolarità era di coinvolgere non solo operatori sanitari (medici, infermieri, assistenti sociali) e amministratori ma anche i ricoverati degli ospedali psichiatrici, aprendo l'istituzione all'esterno e superando le barriere interne; tutto ciò si realizzava mediante le assemblee di ospedale e di reparto, la partecipazione dei cittadini, le prese di posizione collettive che portavano a iniziative esterne, le assemblee nei luoghi di provenienza dei ricoverati per il loro ritorno a casa e così via. La sintonia della nuova psichiatria con il '68 era appoggiata sulla contestazione di ogni potere, sociale, politico, culturale. Ma vi era anche un'altra profonda affinità che riguardava l'investimento contemporaneo del personale e del sociale, che era proprio di quella stagione. Nel nuovo clima culturale, creato dall'annunzio della rivoluzione, il movimento antimanicomiale ha fruito del trionfo dei valori che, nelle relazioni umane, favorivano la tolleranza, la solidarietà, la cancellazione dei pregiudizi sul diverso. Ha visto anche giungere, ad occuparsi di malati mentali, molti studenti che volevano impegnarsi in una pratica coerente con i loro principi, prima realizzazione di quello che veniva affermato nelle piazze e nelle scuole occupate.
Si discute ancora se quella psichiatria sia stata un movimento anti-manicomiale o anti-istituzionale, se cioè il suo valore vada giudicato sui cambiamenti che ha introdotto nell'assistenza psichiatrica o sull'influenza che ha avuto sulla trasformazione delle istituzioni, alla ricerca di forme nuove di convivenza e di percezione della realtà. Un esempio di questa dialettica si manifesta anche nel cambiamento radicale di prospettiva, con lo sviluppo di una psichiatria nell'ottica della salute mentale, piuttosto che della malattia. Nella fase iniziale gli atti concreti, ma ad alto valore simbolico, erano l'abbattimento delle reti intorno ai padiglioni ospedalieri, la distruzione delle mura della cittadella dei matti, l'apertura delle porte, l'uso di forchette e coltelli per i pasti, sale da pranzo comuni tra maschi e femmine; dall'altra il ritorno dei ricoverati nelle loro case, quando ne avevano una, lo svuotamento dall'interno dell'ospedale e contemporaneamente la costruzione di una rete di presidi, distribuiti sul territorio, in modo da rendere non più necessario un ricovero ospedaliero. Tutto questo avveniva in violazione della legge allora vigente, che era quella del 1904: una sorta di obiezione di coscienza resa possibile dal consenso dell'opinione pubblica e dal sostegno di una parte della magistratura.
Successivamente, ma molto presto, è avvenuta una mutazione, con una polarizzazione sulla salute mentale. Le nuove strategie hanno come oggetto tutte le istituzioni in cui l'uomo viene plasmato (la famiglia, la scuola, il lavoro). L'attenzione allo psichico porta ad azioni modificative che incidono sulle relazioni tra persone, anche nel loro concretarsi in rapporti di potere, agiscono sulle modalità di comunicazione accrescendo la permeabilità a nuovi influenze.

Politica e psichiatria
A Perugia tutto questo non sarebbe stato possibile senza la forte entrata in campo dell'Amministrazione provinciale social-comunista dell'epoca (siamo nel 1965), che gestiva l'ospedale psichiatrico di Santa Margherita. Accanto ad un uso razionale delle risorse professionali e finanziarie dobbiamo ammirare una capacità di concertazione con i sindacati confederali che ha permesso di ottenere in tempi brevi e senza conflitti una mobilità degli infermieri tale da permettere l'apertura, fin dal 1970, dei Centri di igiene mentale in tutta la Provincia. A lungo si è mantenuta attiva un'attenzione della politica sulla psichiatria, secondo una misura inedita fino ad allora. Una simile attenzione sarebbe necessaria anche ora; se si riduce o scompare del tutto ne derivano gravi danni per l'intera comunità a causa della forza dell'impatto che sempre un sistema di servizi psichiatrici ha sulla cultura di una società e viceversa.
Per realizzare una influenza virtuosa per combattere i pregiudizi che ostacolavano l'accesso a un aiuto psicologico e psichiatrico, per superare gli ostacoli alla identificazione dei bisogni cui provvedere la necessaria attenzione, per rendere disponibili gli interventi lì dove erano necessari e nei tempi giusti, sono state determinanti le condizioni strutturali, costituite dalla quantità e qualità di interventi a tutti i livelli di organizzazione della vita sociale, in occasione del manifestarsi di una patologia evidente e in condizioni normali, o in situazioni in cui il conflitto o il disagio erano allo stato nascente; si trattava di azioni che, anche quando partivano dal singolo, si estendevano a un gruppo e a un contesto, più o meno ampio. Interventi con le stesse connotazioni venivano realizzati nelle istituzioni scolastiche. Come conclusione dirò che la relazione tra servizi psichiatrici e società non è mai stata della stessa natura di quella tra la gente e i servizi sanitari. La gente chiede al sistema che garantisca la disponibilità di visite, diagnosi, medicine, interventi chirurgici; chiede prestazioni valide al medico e chiede efficacia a bassi costi. Ai servizi psichiatrici chiedeva, innanzi tutto, relazioni personali.

Ostacoli
Occorre dire che il sistema ha avuto fortuna, i servizi hanno avuto successo, le richieste sono aumentate e si sono differenziate. Però, ed è questo il primo intoppo, tale processo si è realizzato senza che il resto del sistema sanitario, benché riformato nel 1978, cambiasse orientamento, restando sostanzialmente arroccato negli ospedali. In questa situazione la salute mentale, invece di essere un obiettivo di tutto il sistema sociale e sanitario, restò un compito dei servizi di salute mentale. Questo ha portato ad una carenza relativa di risorse con la difficoltà di rispondere presto e bene alle richieste. Bisogna concludere che, in certe condizioni, il successo logora chi ce l'ha.
Ma è a partire dalla riduzione delle risorse, che ad un certo punto è stata applicata in modo lineare, che si è avviato il degrado; il che è avvenuto senza che all'inizio si potessero riconoscere la natura e la portata del fenomeno e il rischio di involuzione che vi si annidava: la sofferenza dei servizi che avevano innovato le loro pratiche, le famose buone pratiche della psichiatria di comunità, veniva nascosta da una generale normalizzazione della psichiatria. All'inizio sembrava giusto abbandonare modalità sperimentali di procedere per adottare metodiche fondate su evidenze scientifiche condivise; il che ha favorito una valorizzazione delle professionalità, che aveva però una caratteristica particolare: le competenze erano sempre più spesso custodite dal singolo professionista, sempre meno riguardavano un gruppo di lavoro o un servizio. In questo processo di aggiornamento l'ottimizzazione dell'accoppiata efficienza efficacia sembrava
un buon risultato. Esso si è rivelato un mito quando si è trasformato nel principio di fare sempre di più con sempre di meno. Da una parte molte pratiche costose sono state abbandonate o notevolmente ridotte, come la psicoterapia delle psicosi; con un prevalere degli interventi ambulatoriali su quelli domiciliari, una presa in carico del paziente sempre meno rigorosa, una semplificazione degli interventi e, alla fine, il monopolio della psicofarmacologia.
Alla fine una riduzione dell'efficienza del sistema, la diminuzione del tempo da dedicare a ciascun paziente e alla comprensione della situazione, portano ad un moltiplicarsi di richieste di intervento di urgenza, che facilitano la reintroduzione di una psichiatria violenta.

Meccanismi antievolutivi

Non mi chiederò di chi sia la colpa o la responsabilità, ma solo cosa sia mancato. Per quanto riguarda la mia esperienza in Umbria penso sia mancata una sorveglianza sulla rete psichiatrica per mantenerla adeguata ai cambiamenti che sono avvenuti in questi 50 anni nei contesti sociali e culturali; ma è mancata anche la capacità di riconoscere a pieno i nuovi bisogni e leggere adeguatamente le richieste. Soprattutto è mancata una revisione del sistema in relazione alla riduzione delle risorse; al contrario sono stati estesi sempre di più i compiti e non sono state indicate le priorità su cui concentrarsi. Aggiungiamo ai fattori negativi il blocco dei processi formativi del personale non medico e l'inadeguatezza delle scuole di specializzazione in psichiatria a fornire le competenze per un lavoro in un servizio pubblico sul territorio. Forse la disattenzione è stata sostenuta anche dall'illusione che il processo “rivoluzionario”, avviato con enfasi, avesse in sé la forza per sopravvivere e rinnovarsi; che la nuova scienza psichiatrica potesse contare sulle proprie evidenze per non subire mutazioni regressive.

Il futuro
Sembra che gran parte dei legami tra il passato e il presente si siano sciolti. Forse non ha giovato, come garanzia di continuità, la forma orale della cultura dominante nel periodo di avvio del cambiamento. Questa caratteristica, in cui riconosciamo un'altra impronta del '68, non ha facilitato la trasmissione delle conoscenze rese possibili dalla nuova realtà assistenziale in psichiatria. Anche se esistono ricerche che sono state pubblicate e documenti affidabili sulle trasformazioni messe in atto, è mancata una elaborazione esaustiva dell'esperienza e, soprattutto, nessuna istituzione specifica si è occupata della verifica e della trasmissione di queste conoscenze e di un addestramento che permettesse la diffusione delle competenze disponibili.
Sarebbe ottimistica la tesi che una filosofia delle buone pratiche in psichiatria di comunità, sostenuta da conoscenze scientifiche adeguate e non solo da buona volontà, sia in questo momento una forza sotterranea, pronta ad emergere quando una qualche condizione favorevole lo permetterà. Ma a sostegno di questa tesi esistono alcuni indizi che non tutto è andato perduto. Sono identificabili in piccoli episodi, in inattesi successi legati alla spontanea aggregazione di operatori, in iniziative, di solito di breve durata, in cui si coglie uno sforzo di creatività. Vi è ancora qualcuno che custodisce la speranza di una psichiatria più umana, meno violenta e tuttavia efficace, anche se lo fa quasi a titolo personale, nascostamente, per preservare il proprio impegno dal generale pessimismo o per sottrarlo a un appiattimento che viene definito pianificazione. A volte si ha l'impressione che basterebbe trovare un punto di appoggio per porvi una leva che sbloccherebbe la situazione arginando l'inevitabile decadenza.

"micropolis", dicembre 2018


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