Dal dossier per i
cinquant'anni del Sessantotto pubblicato da “micropolis” nel
dicembre 2018 riprendo l'articolo di Francesco Scotti che – insieme
a Carlo Manuali – fu tra i protagonisti delle nuove pratiche
psichiatriche e della chiusura del manicomio e, dopo, diresse a lungo
i servizi psichiatrici dell'Umbria. Perugia fu con la Gorizia e la
Trieste di Basabglia e con Arezzo la punta avanzata della lotta degli
operatori e dei “matti” più consapevoli per cambiare l'approccio
culturale e terapeutico verso la malattia mentale. (S.L.L.)
La sintonia tra '68
e nuova psichiatria
Non avrò qui la pretesa
di dire che cosa sia stato il '68. Mi assumerò invece il compito di
riflettere sull'influenza che esso ha avuto sulla psichiatria il cui
rinnovamento era già avviato in quegli anni. Constatare l'esistenza
di tale rapporto costituisce un'altra prova dell'impronta che il '68
ha impresso sulla cultura italiana; ma testimonia anche la
sostanziale omogeneità del movimento di nuova psichiatria, al di là
delle pur grandi differenze con cui si manifestò tra un luogo e
l'altro. Il movimento antimanicomiale si è incontrato con il
movimento degli studenti e degli operai non solo perché era
portatore di istanze innovative nei campi del fare e del sapere ma
anche, o soprattutto, in quanto realizzava le istanze di
partecipazione e di democrazia che altrove erano solo enunciate. La
sua particolarità era di coinvolgere non solo operatori sanitari
(medici, infermieri, assistenti sociali) e amministratori ma anche i
ricoverati degli ospedali psichiatrici, aprendo l'istituzione
all'esterno e superando le barriere interne; tutto ciò si realizzava
mediante le assemblee di ospedale e di reparto, la partecipazione dei
cittadini, le prese di posizione collettive che portavano a
iniziative esterne, le assemblee nei luoghi di provenienza dei
ricoverati per il loro ritorno a casa e così via. La sintonia della
nuova psichiatria con il '68 era appoggiata sulla contestazione di
ogni potere, sociale, politico, culturale. Ma vi era anche un'altra
profonda affinità che riguardava l'investimento contemporaneo del
personale e del sociale, che era proprio di quella stagione. Nel
nuovo clima culturale, creato dall'annunzio della rivoluzione, il
movimento antimanicomiale ha fruito del trionfo dei valori che, nelle
relazioni umane, favorivano la tolleranza, la solidarietà, la
cancellazione dei pregiudizi sul diverso. Ha visto anche giungere, ad
occuparsi di malati mentali, molti studenti che volevano impegnarsi
in una pratica coerente con i loro principi, prima realizzazione di
quello che veniva affermato nelle piazze e nelle scuole occupate.
Si discute ancora se
quella psichiatria sia stata un movimento anti-manicomiale o
anti-istituzionale, se cioè il suo valore vada giudicato sui
cambiamenti che ha introdotto nell'assistenza psichiatrica o
sull'influenza che ha avuto sulla trasformazione delle istituzioni,
alla ricerca di forme nuove di convivenza e di percezione della
realtà. Un esempio di questa dialettica si manifesta anche nel
cambiamento radicale di prospettiva, con lo sviluppo di una
psichiatria nell'ottica della salute mentale, piuttosto che della
malattia. Nella fase iniziale gli atti concreti, ma ad alto valore
simbolico, erano l'abbattimento delle reti intorno ai padiglioni
ospedalieri, la distruzione delle mura della cittadella dei matti,
l'apertura delle porte, l'uso di forchette e coltelli per i pasti,
sale da pranzo comuni tra maschi e femmine; dall'altra il ritorno dei
ricoverati nelle loro case, quando ne avevano una, lo svuotamento
dall'interno dell'ospedale e contemporaneamente la costruzione di una
rete di presidi, distribuiti sul territorio, in modo da rendere non
più necessario un ricovero ospedaliero. Tutto questo avveniva in
violazione della legge allora vigente, che era quella del 1904: una
sorta di obiezione di coscienza resa possibile dal consenso
dell'opinione pubblica e dal sostegno di una parte della
magistratura.
Successivamente, ma molto
presto, è avvenuta una mutazione, con una polarizzazione sulla
salute mentale. Le nuove strategie hanno come oggetto tutte le
istituzioni in cui l'uomo viene plasmato (la famiglia, la scuola, il
lavoro). L'attenzione allo psichico porta ad azioni modificative che
incidono sulle relazioni tra persone, anche nel loro concretarsi in
rapporti di potere, agiscono sulle modalità di comunicazione
accrescendo la permeabilità a nuovi influenze.
Politica e
psichiatria
A Perugia tutto questo
non sarebbe stato possibile senza la forte entrata in campo
dell'Amministrazione provinciale social-comunista dell'epoca (siamo
nel 1965), che gestiva l'ospedale psichiatrico di Santa Margherita.
Accanto ad un uso razionale delle risorse professionali e finanziarie
dobbiamo ammirare una capacità di concertazione con i sindacati
confederali che ha permesso di ottenere in tempi brevi e senza
conflitti una mobilità degli infermieri tale da permettere
l'apertura, fin dal 1970, dei Centri di igiene mentale in tutta la
Provincia. A lungo si è mantenuta attiva un'attenzione della
politica sulla psichiatria, secondo una misura inedita fino ad
allora. Una simile attenzione sarebbe necessaria anche ora; se si
riduce o scompare del tutto ne derivano gravi danni per l'intera
comunità a causa della forza dell'impatto che sempre un sistema di
servizi psichiatrici ha sulla cultura di una società e viceversa.
Per realizzare una
influenza virtuosa per combattere i pregiudizi che ostacolavano
l'accesso a un aiuto psicologico e psichiatrico, per superare gli
ostacoli alla identificazione dei bisogni cui provvedere la
necessaria attenzione, per rendere disponibili gli interventi lì
dove erano necessari e nei tempi giusti, sono state determinanti le
condizioni strutturali, costituite dalla quantità e qualità di
interventi a tutti i livelli di organizzazione della vita sociale, in
occasione del manifestarsi di una patologia evidente e in condizioni
normali, o in situazioni in cui il conflitto o il disagio erano allo
stato nascente; si trattava di azioni che, anche quando partivano dal
singolo, si estendevano a un gruppo e a un contesto, più o meno
ampio. Interventi con le stesse connotazioni venivano realizzati
nelle istituzioni scolastiche. Come conclusione dirò che la
relazione tra servizi psichiatrici e società non è mai stata della
stessa natura di quella tra la gente e i servizi sanitari. La gente
chiede al sistema che garantisca la disponibilità di visite,
diagnosi, medicine, interventi chirurgici; chiede prestazioni valide
al medico e chiede efficacia a bassi costi. Ai servizi psichiatrici
chiedeva, innanzi tutto, relazioni personali.
Ostacoli
Occorre dire che il
sistema ha avuto fortuna, i servizi hanno avuto successo, le
richieste sono aumentate e si sono differenziate. Però, ed è questo
il primo intoppo, tale processo si è realizzato senza che il resto
del sistema sanitario, benché riformato nel 1978, cambiasse
orientamento, restando sostanzialmente arroccato negli ospedali. In
questa situazione la salute mentale, invece di essere un obiettivo di
tutto il sistema sociale e sanitario, restò un compito dei servizi
di salute mentale. Questo ha portato ad una carenza relativa di
risorse con la difficoltà di rispondere presto e bene alle
richieste. Bisogna concludere che, in certe condizioni, il successo
logora chi ce l'ha.
Ma è a partire dalla
riduzione delle risorse, che ad un certo punto è stata applicata in
modo lineare, che si è avviato il degrado; il che è avvenuto senza
che all'inizio si potessero riconoscere la natura e la portata del
fenomeno e il rischio di involuzione che vi si annidava: la
sofferenza dei servizi che avevano innovato le loro pratiche, le
famose buone pratiche della psichiatria di comunità, veniva nascosta
da una generale normalizzazione della psichiatria. All'inizio
sembrava giusto abbandonare modalità sperimentali di procedere per
adottare metodiche fondate su evidenze scientifiche condivise; il che
ha favorito una valorizzazione delle professionalità, che aveva però
una caratteristica particolare: le competenze erano sempre più
spesso custodite dal singolo professionista, sempre meno riguardavano
un gruppo di lavoro o un servizio. In questo processo di
aggiornamento l'ottimizzazione dell'accoppiata efficienza efficacia
sembrava
un buon risultato. Esso
si è rivelato un mito quando si è trasformato nel principio di fare
sempre di più con sempre di meno. Da una parte molte pratiche
costose sono state abbandonate o notevolmente ridotte, come la
psicoterapia delle psicosi; con un prevalere degli interventi
ambulatoriali su quelli domiciliari, una presa in carico del paziente
sempre meno rigorosa, una semplificazione degli interventi e, alla
fine, il monopolio della psicofarmacologia.
Alla fine una riduzione
dell'efficienza del sistema, la diminuzione del tempo da dedicare a
ciascun paziente e alla comprensione della situazione, portano ad un
moltiplicarsi di richieste di intervento di urgenza, che facilitano
la reintroduzione di una psichiatria violenta.
Meccanismi
antievolutivi
Non mi chiederò di chi
sia la colpa o la responsabilità, ma solo cosa sia mancato. Per
quanto riguarda la mia esperienza in Umbria penso sia mancata una
sorveglianza sulla rete psichiatrica per mantenerla adeguata ai
cambiamenti che sono avvenuti in questi 50 anni nei contesti sociali
e culturali; ma è mancata anche la capacità di riconoscere a pieno
i nuovi bisogni e leggere adeguatamente le richieste. Soprattutto è
mancata una revisione del sistema in relazione alla riduzione delle
risorse; al contrario sono stati estesi sempre di più i compiti e
non sono state indicate le priorità su cui concentrarsi. Aggiungiamo
ai fattori negativi il blocco dei processi formativi del personale
non medico e l'inadeguatezza delle scuole di specializzazione in
psichiatria a fornire le competenze per un lavoro in un servizio
pubblico sul territorio. Forse la disattenzione è stata sostenuta
anche dall'illusione che il processo “rivoluzionario”, avviato
con enfasi, avesse in sé la forza per sopravvivere e rinnovarsi; che
la nuova scienza psichiatrica potesse contare sulle proprie evidenze
per non subire mutazioni regressive.
Il futuro
Sembra che gran parte dei
legami tra il passato e il presente si siano sciolti. Forse non ha
giovato, come garanzia di continuità, la forma orale della cultura
dominante nel periodo di avvio del cambiamento. Questa
caratteristica, in cui riconosciamo un'altra impronta del '68, non ha
facilitato la trasmissione delle conoscenze rese possibili dalla
nuova realtà assistenziale in psichiatria. Anche se esistono
ricerche che sono state pubblicate e documenti affidabili sulle
trasformazioni messe in atto, è mancata una elaborazione esaustiva
dell'esperienza e, soprattutto, nessuna istituzione specifica si è
occupata della verifica e della trasmissione di queste conoscenze e
di un addestramento che permettesse la diffusione delle competenze
disponibili.
Sarebbe ottimistica la
tesi che una filosofia delle buone pratiche in psichiatria di
comunità, sostenuta da conoscenze scientifiche adeguate e non solo
da buona volontà, sia in questo momento una forza sotterranea,
pronta ad emergere quando una qualche condizione favorevole lo
permetterà. Ma a sostegno di questa tesi esistono alcuni indizi che
non tutto è andato perduto. Sono identificabili in piccoli episodi,
in inattesi successi legati alla spontanea aggregazione di operatori,
in iniziative, di solito di breve durata, in cui si coglie uno sforzo
di creatività. Vi è ancora qualcuno che custodisce la speranza di
una psichiatria più umana, meno violenta e tuttavia efficace, anche
se lo fa quasi a titolo personale, nascostamente, per preservare il
proprio impegno dal generale pessimismo o per sottrarlo a un
appiattimento che viene definito pianificazione. A volte si ha
l'impressione che basterebbe trovare un punto di appoggio per porvi
una leva che sbloccherebbe la situazione arginando l'inevitabile
decadenza.
"micropolis", dicembre 2018
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