Abituiamoci all’idea di
non avere più le star della musica al nostro fianco. Che sia per
cause naturali, per morti violente o per scelte consapevoli, i miti
che hanno costruito la storia del rock stanno lasciando un vuoto.
Solo Jagger e gli Stones sembrano eterni. Il 2016 è stato l’anno
delle morti, da Bowie a Prince, da George Michael a Leonard Cohen.
Quello appena iniziato si annuncia come l’anno degli addii. Prima
che sia troppo tardi. Prima che sia il corpo a dire basta.
In questi mesi hanno
annunciato il loro ritiro dalle scene Paul Simon, Elton John, Ozzy
Osbourne e Neil Diamond. Basta concerti. Nella lista c’è anche
Joan Baez, 77 anni, l’usignolo folk, amante e musa di Dylan, uno
dei simboli della canzone di protesta degli anni Sessanta. Che
pubblica venerdì il nuovo album Whistle Down the Wind,
raccolta di cover e brani inediti, e che ha annunciato un tour di
addio di passaggio in Italia la prossima estate (5 agosto Verona, 6
Roma, 8 Udine e 9 Bra)
Ci dobbiamo abituare a
perdervi?
«Non possiamo cantare
fino alla morte (ride). Per me è una questione di corde vocali: sono
diventate più difficili da governare e questo rende il canto
faticoso. Ci vuole più allenamento prima e sul palco devo prestare
più attenzione. Quando ho iniziato non dovevo fare nulla di tutto
questo».
Questo album riflette
la scelta?
«In queste canzoni
guardo alla mia età, a quello che mi sta attorno, al passato e a
quello che faccio ora come donna. Voglio dipingere e smetterla con
questi tour che ti portano in giro per 6 settimane su un bus. Non ho
più 45 anni, non sono più obbligata a farlo».
Visto che il disco
precedente è di 10 anni fa è un addio anche all’attività
discografica?
«Credo che sarà il mio
ultimo disco ufficiale, anche se magari troverò ispirazione per
altro».
Ritiro totale quindi?
«Magari mi vedrete per
25 minuti a un festival folk se mai sentirò l’esigenza di
sostenere una causa politica. E mi sembra che in questo momento ce ne
sia bisogno, non solo in America».
Nella cover di Last
Leaf di Tom Waits si paragona all’ultima foglia...
«Alla mia età sto
diventando una delle ultime foglie sull’albero, come Elton John o
Neil Diamond… E diamo il mio benvenuto ai nuovi. Ma è da leggere
in chiave ironica».
Another World,
cover di Anohni, la vede alla ricerca di un mondo diverso…
«Non sono ottimista su
come vanno le cose nel mondo. Sono realistica».
Era più ottimista
negli anni 60, quando sembrava che si potesse cambiare il mondo con
una canzone?
«Grazie a We Shall
Overcome (canzone di Pete Seeger, inno del movimento per i
diritti civili ndr) qualcosa abbiamo ottenuto. Però non ho mai avuto
l’illusione che quella canzone potesse portare la pace nel mondo».
Nella musica di oggi
l’impegno è evaporato...
«Il decennio che ha
prodotto me, Dylan, Joni Mitchell e Jimi Hendrix e che è proseguito
con Beatles e Rolling Stones, ha visto talenti che non si possono
paragonare a quelli di oggi. Non si può pensare di replicare. Ci
sono molte belle canzoni ma non una come Blowin’
in the Wind di Dylan. Fino a che nessuno la scriverà ci
sarà un buco da riempire».
Trump non sveglia le
coscienze dei musicisti?
«Non mi sarei mai
immaginata uno scenario così folle e ogni giorno ci chiediamo quale
sarà la prossima terribile idea che verrà fuori da questo governo.
Se anche morisse oggi avremmo gli stessi problemi ma non uno così
schifoso come presidente».
Torniamo all’album
dei ricordi. Il primo concerto?
«A 15 anni, alla festa
del liceo. A un certo punto mi hanno passato una chitarra così
grande che mi arrivava alle ginocchia e non avevo idea di come
regolarla per poterla suonare più comodamente. Ho ancora la foto. La
prima volta in maniera professionale direi invece il Festival di
Newport del 1959».
Quello in cui venne
soprannominata la Madonna scalza… Si sta preparando all’ultimo
concerto, al momento in cui si spegneranno le luci?
«Non la vivo in maniera
così drammatica. Sarà certamente un momento importante per me. E
anche per i musicisti e per tutto lo staff. Immagino che ci sarà
dello champagne per festeggiare. E poi andrò avanti. Credo che in un
secondo momento arriverà la nostalgia, ma adesso penso proprio che
sia la scelta giusta».
Champagne e lacrime?
«Penso proprio di sì».
Corriere della sera, 26
febbraio 2018
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