Nel ritaglio che ho
conservato c'è solo l'ultima pagina di un'intervista a Hugo Pratt,
che tuttavia mi pare molto interessante. Chi fosse interessato potrà
senza difficoltà recuperarne l'inizio e il nome dell'autore in una
buona biblioteca. (S.L.L.)
Quale è il cinema
amato da Hugo Pratt?
«Il mio cinema è quello
delle grandi avventure hollywoodiane degli anni Trenta, fino anche
agli anni Cinquanta, ai polizieschi fatti durante la guerra.
Preferisco far parte della "retroguardia”, non sopporto Godard
e Truffaut, mente amo Louis Malle».
E Spielberg e Lucas, i
"nuovi avventurosi"?
«Mi stanno bene, a patto
però che non buttino in farsa l'avventura, in quel caso non li seguo
più».
E da quali matrici
letterarie trae vita Corto Maltese?
«La mia prima
letteratura è stata quella disegnata dei fumetti americani, i grandi
libri di avventura illustrati. Non ho mai amato Salgari (ne ho dovuto
solo una volta fare una "riduzione" per il "Corriere
dei Piccoli") e solo su "Topolino" ho letto Tremal
Naik, perché mi piaceva il disegno di Moroni Gelsi. La "Romantica
Sonzogno" è stata lina scoperta. Ma posso fare alcuni nomi: da
Milton a Dumas, da Rimbaud a Petrarca, da Kipling (pacifista prima di
Brecht) a Tolkien».
E le sue matrici
pittoriche?
«Direi che vanno cercate
più tra gli illustratori che tra i pittori. Che so? Norman Rockwell,
ma anche Klimt, gli acquarelli inglesi e tedeschi. Diciamo che sono
stato più influenzato dalla pittura anglosassone che dal nostro
Rinascimento. Non posso poi dimenticare le mie matrici fumettistiche:
Milton Caniff è sicuramente il più importante con Terry che è il
suo personaggio meglio riuscito. Poi Winsor McCay: è stato un genio
assoluto, ha inventato tutto lui, era in anticipo sui tempi in modo
incredibile. Anche il Foster di Tarzan mi è sempre piaciuto anche se
in seguito (quando è passato a Valiant) è diventato statico.
Comunque è stato Caniff a farmi venire la voglia di disegnare».
Mi sembra che però
Caniff non pensi di essere stato così importante nella sua vita.
«Lui è molto gentile e
un giorno mi ha detto che io sarei uscito fuori comunque
indipendentemente dai suoi comics. Da parte mia non posso fare a meno
di riconoscere di averlo avuto tra i miei modelli, come pure Will
Gould, altro grande esempio di modernità che sto cercando di far
conoscere su "Corto Maltese"».
Corto è entrato al
Gran Palais. Il fumetto è finalmente accolto anche dalle élite
culturali?
«Io non sono né il
giudice né il redentore del fumetto, mi limito a dare dei pareri.
Verso i fumetti c’è paura. Il fumetto è un piacevolissimo mezzo
di lettura e un veicolo d’informazione. Le 400.000 copie di un
fumetto, paragonate alle 60.000 di un libro, sconvolgono. Ai
fumettari non servono i premi letterari. I rappresentanti di quel
piccolo potere della "cultura ufficiale" hanno deciso che
se il fumetto non è mediocre, è comunque "artigianato"
(gli "alternativi" parleranno di "buon"
artigianato) ma che comunque non è mai arte. Piuttosto che far parte
di speculazioni mi sta bene: l’artigianato della paccottiglia di
Hong Kong mi fa schifo, ma è vero che esiste un buon artigianato.
Adesso la definizione di "letteratura disegnata", anziché
di "fumetti", pare essere vista più di buon occhio, è
"accettata": ma io resto un "fumettaro"».
E con i suoi colleghi
in che rapporti è?
«Io viaggio, come potrei
aver rapporti? Del resto molti dei miei "colleghi" si
vergognano di essere disegnatori di fumetti, si definiscono artisti.
Io sono un artigiano e quindi facciamo mestieri differenti,
preferisco evitargli il trauma di dover frequentare cattive
compagnie!».
L'Espresso - 14 GIUGNO
1987
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