Recensione di sette anni
fa di un libro di 7 anni fa, un libro di Furio Colombo che ci rivela
come Salvini non salti fuori dal nulla e come la costruzione di un
“senso comune” razzista e di politiche razziste a tutti i livelli
sia stata un'operazione di lungo periodo. Ad essa il ceto politico e
gli opinion makers del centro sinistra hanno opposto una resistenza
debole e ondivaga. Come fa ben notare Umberto Eco, mentre accadeva
tutto questo l'opposizione alla Lega si incentrava sugli investimenti
in diamanti dei suoi fondi e sui diplomi di laurea del Trota, figlio
di Bossi. E l'opposizione alla destra sulle avventure galanti e
gaffes istituzionali di Berlusconi (S.L.L.)
Il lettore che, in una
grigia mattina di questo maggio piovoso, trovasse, abbandonato in
treno e mancante della copertina e delle prime pagine questo libro
(romanzo?) di Furio Colombo, si chiederebbe perché l’autore si sia
rimesso a fare Dickens, coi suoi ragazzini macilenti esposti a feroci
punizioni corporali, perché voglia rievocare le vicissitudini del
povero Remy di Senza famiglia nella tana del signor Garofoli,
perché abbia scopiazzato le vicende dei “boveri negri”
dell’ormai insopportabile Capanna dello zio Tom o, peggio
ancora, si sia ridotto a presentare come attuali le storie del
profondo Sud americano, in cui le “bovere negre, sì badrone”
venivano sbattute giù dai trasporti pubblici. Evvia, caro Colombo,
viviamo in altri tempi - per fortuna!
Il nostro lettore
proverebbe però un moto di sorpresa se poi ritrovasse il libro
completo di copertina e prefazione, vedesse che è intitolato Contro
la Lega (Laterza, per soli nove euro tanti orrori da far
impallidire Stephen King) e non contiene storie inventate bensì un
puntiglioso resoconto di episodi di razzismo e persecuzione
perpetrati in vari comuni amministrati dal noto partito. Sono episodi
che Colombo in quanto deputato ha cercato spesso di denunciare in
parlamento ricevendo una volta, dal deputato leghista Brigandì, come
motivata controargomentazione, “Faccia da culo!” (sic).
In questo
malauguratamente non-romanzo si racconta una storia italiana, dove
carabinieri e vigili urbani distruggono con le ruspe i campi nomadi,
tra le due e le tre del mattino, terrorizzando i bambini” e dove a
scuola i bambini sinti, anche se cittadini italiani, sono assegnati a
classi separate e come i bambini stranieri - restano a digiuno
all’ora della mensa scolastica. Il libro comincia con la storia
della famiglia Karis: il padre, cittadino italiano da generazioni
viveva a Chiari facendo il ferrivecchi, e un’improvvida
amministrazione di centrosinistra gli aveva assegnato un
prefabbricato di tre stanze; ma la successiva amministrazione padana
nel 2004 (sindaco il senatore Mazzatorta) si era ripreso il terreno
perché “era cambiato il piano regolatore”, la casa dei Karis
veniva abbattuta, il comune cancellava la residenza, i bambini non
potevano più andare a scuola e l’intera famiglia si riduceva a
vivere in una roulotte; così che di fronte a questo inaccettabile
caso di nomadismo i vigili urbani battevano nottetempo con mazze di
ferro sul veicolo se il padre si era fermato per riposo o per fare
pipì.
Ma il libro parla di ogni
genere di extracomunitari. A Termoli i vigili urbani acciuffano un
ambulante del Bangladesh, lo picchiano e lo rinchiudono nel
portabagagli dell’auto di servizio. A Parma vigili urbani in
borghese prendono Emanuel Bonsu, giovane nero che stava recandosi
alla scuola serale, lo riempiono di botte e solo più tardi si
accorgono che non spacciava affatto droga come avevano sospettato. Su
un autobus di Varese un quattordicenne ordina a una coetanea con il
velo di lasciargli il posto sull’autobus, la ragazza resiste, e lui
e i suoi compagni la prendono a calci e a pugni. A Bergamo su un
autobus una passeggera grida che le hanno rubato il cellulare, il
controllore decide che il ladro non può essere che un ragazzo di
colore, l’autobus viene fermato, il ragazzo spogliato nudo, il
cellulare non viene fuori (evidentemente il ladro era un altro), ma
gli trovano indosso settanta euro e il controllore sequestra la somma
e la signora, grata, l’incassa come risarcimento.
Siamo appena a pagina 11
di questo non-romanzo e i capitoli seguenti spaziano delle sevizie
subite in Libia da disperati che militari italiani hanno fermato in
mare e restituito agli aguzzini di Gheddafi, alle accuse di “nasone”
a Gad Lerner, in un crescendo di piacevoli e romanzesche atrocità.
È curioso che gli
italiani si stiano scandalizzando per quattro diamanti e due o tre
diplomi a pagamento (caso mai laurearsi in Albania non è forse
indice di scarso razzismo?) mentre da anni accettano che avvengano
tutte queste cose, che il libro asciuttamente racconta.
2012 - ora in Papé Satàn Aleppe, La Nave di Teseo, 2016
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