Alla cerimonia finale del
Premio Ubu, il 7 gennaio 2019, Federica Fracassi, che presentava la
serata, ha letto queste parole scritte per l’occasione, che offro
alla meditazione. Le riprendo dal sito “Il primo amore”, ove sono
state postate da Tiziano Scarpa con l'autorizzazione dell'attrice.
(S.L.L.)
Il 5 novembre 1975 a
Campo de’ Fiori, davanti al corpo straziato di Pier Paolo Pasolini,
Alberto Moravia grida: “Di poeti ne nascono pochi in un secolo”.
Enzo Siciliano commenterà: “È vero, una società dovrebbe avere
una cura infinita verso i propri poeti, perché sono pochissimi, e la
loro passione strenua per la lingua materna riguarda tutti, coinvolge
tutti.”
Sì, una società
dovrebbe avere la responsabilità della lingua, della cultura, della
memoria e del futuro del suo paese. Una società dovrebbe conoscere
un po’ meglio ciò di cui parla, dovrebbe conoscere un po’ meglio
ciò di cui scrive. Una società dovrebbe avere una cura infinita
dunque anche verso il proprio teatro, verso i propri artisti, verso
coloro che con talento, professionalità e passione abitano e servono
lo spazio sacro del palcoscenico. Perché sono i custodi della
lingua. E sembrano tanti, ma in realtà sono pochissimi...
I poeti sono pochissimi
in un paese dove pare che tutti possano fare tutto: l’arte
dell’improvvisazione, del pressapochismo, del dilettantismo. I
poeti restano pochissimi (per lo più indigenti) e i veri artisti
sono pochissimi.
Voi per primi (avrei
potuto fare in altro modo, ma qui scelgo di usare il voi
consapevolmente, per il vostro ruolo specifico di tramite, di ponte
tra l’artista e il pubblico che ci sta ascoltando, un ruolo di
altissima responsabilità), voi per primi, voi critici e soprattutto
voi direttori di teatro, voi produttori e distributori di teatro
dovreste saper riconoscere i poeti. Allenarvi sempre alla
responsabilità del riconoscimento e della riconoscenza, allenarvi
sempre al coraggio, in una società, in un paese, ostile ai poeti.
Prodigarvi perché, almeno intanto quei pochissimi abbiano tutte le
possibilità per far fiorire il loro talento. Non c’è gioia più
grande della commozione davanti a un essere umano che riesce a
produrre bellezza in modi a noi sconosciuti e forse inarrivabili. La
sua meraviglia eleva anche noi. Allenatevi alla consapevolezza che le
vostre scelte possono far crescere un paese, possono far crescere nel
pubblico l’amore per la poesia o ucciderla ogni giorno
silenziosamente. Allenatevi, vi prego, alla differenza tra poesia e
intrattenimento, entrambi dignitosi, ma differenti: da un lato la
necessità di porre questioni alla vita (anche in modo leggero, ci
mancherebbe); dall’altro una scampagnata sul palco che diventa
improvvisamente centro commerciale.
Il micromondo che è il
teatro sopravvive ancora oggi grazie al suo insostituibile essere qui
e ora. Il teatro è un’esperienza. Invece di essere fieri di questa
unicità e di questa forza vediamo molto teatro che è solo una goffa
rincorsa ad altro e ci stupiamo anche, se il pubblico accende lo
smartphone pensando di essere a casa davanti a uno schermo.
Allenatevi, innanzitutto,
a non adagiarvi sulla certezza del nostro entusiasmo. Non adagiatevi
sulla necessità dell’artista di star qui, su questo palco, così
da poterlo comprare a metà prezzo... “vabbè, tanto lo vuole fare,
vabbè, se non c’è uno lo sostituiamo con l’altro...” Diamo
valore a ciò che ne ha. Il suo valore. Né più. Né meno.
Da attrice cerco di
riportarmi quotidianamente alla responsabilità di essere qui. Ci
provo. Ne sono all’altezza? Ne ho il talento, il dono, la passione,
il rischio, l’abnegazione? Ho studiato abbastanza? Conosco a tal
punto la nostra storia, la tradizione, il lavoro dei miei padri da
avere il sacrosanto diritto di superarli, di combatterli, di negarli?
O faccio rock a cazzo?
Il mio sogno di oggi è
che si amino di più i nostri attori, le nostre attrici, i nostri
artisti. Che lottiamo tutti quotidianamente per pretendere l’altezza
della nostra lingua, un’altezza di cui loro sono i custodi. […]
dal sito “Il primo
amore”, 9 gennaio 2019
Nessun commento:
Posta un commento