La linea di confine è
labile, immaginaria. A nord e a sud deserto: cactus, mesquite,
serpenti a sonagli, avvoltoi roteanti su qualche carogna. il deserto
è spazio di agguato e di sorpresa. Le terre di Tex Willer sono
essenzialmente deserto, stilema di paesaggio e di individui che è
alla base della semplificazione assoluta. terre aspre: come il
painted desert, il deserto dipinto, o il deserto di sonora, o quello
di mohave. come l’inaccessibile rifugio di Cochise, il capo
Chiricahua. Terre bellissime agli occhi dei popoli che su esse si
affacciano. «Bella come un’alba nel deserto dipinto» è, nelle
parole di un Hopi, la strega che ha affascinato i giovani da quando
ha scoperto il segreto della giovinezza nei fiori che crescono nelle
terre dell’abisso (nn. 46-47).
Le terre calde, così
sono chiamate in un titolo della storia di Tex (n. 263), linee di
orizzonte su cui è disegnato il disinteresse per la città. Già
anomala la scelta dal grande maestro Galep e da Gianluigi Bonelli, i
padri di Tex: il sudovest come baricentro della storia.
Non semplice West, ma
area di terre calde e di popoli irriducibili, Apaches e Navados
anzitutto. Genti dure e povere, pastori e feroci guerrieri, riottosi
fino all’ultimo all’avanzata dell’uomo bianco. Il sudovest è
New Mexico, Colorado, Arizona e dintorni. Territori scarsamente
popolati con qualche corso d’acqua. Colorado, Rio Grande, Gila,
Pecos. Con un sistema precario di centri urbani: Tucson, Phoenix,
Flagstaff, Santa Fe, Gallup, Tombstone.
«Estate, posto militare
di San Carlos, ai margini della riserva degli indiani Apaches» (n.
164). I colori sono quelli, sempre. Gli eroi come Tex fuggono le
città, ma spesso devono tornarvi. Quando tuttavia vanno in città
vere e proprie, Los Angeles, Frisco o Washington, la prospettiva
narrativa subisce una torsione. Nelle città californiane si va se
chiamati a risolvere conflitti; nella capitale federale a dipanare un
complotto.
In generale, gli
spostamenti geografici cui gli autori hanno voluto sottoporre negli
anni i quattro pards pongono spesso evidenti limiti narrativi
e producono slittamenti. In California diventano semplici poliziotti
(n. 63); se dalla California s’imbarcano perii Pacifico (nn.
155-158) ne escono storie fuori asse, che vedono Tex e i suoi pards
naufraghi. Devono vedersela con il «tiranno dell’isola» e con i
«cacciatori di teste». Quando sono costretti a recarsi a Washington
devono svolgere la parte di detective politici (nn. 323 e seguenti):
si tratta di salvare la vita del presidente. Il panorama è di
palazzi ministeriali, carrozze, intrighi su cui svolazzano
sinistramente strani uccelli aquila-falco addestrati a uccidere. La
rottura del panorama è metafora della politica.
Se sono proiettati in
Sudamerica la storia appare del tutto pretestuosa, come nel n. 250,
in cui i pards vanno a Panama, dove sono in corso le prospezioni per
il taglio dell’istmo. Molto meglio la storia del n. 61, che vede
Tex e Carson sulle tracce di Butch Cassidy fino in Bolivia. Storia e
cinema a parte, la plausibilità del viaggio imposto da Bonelli ai
pards deriva dalla scelta di Cassidy: andare in Sudamerica ad
assaltare banche piuttosto che rimanere in un un West ormai cambiato.
Gli spostamenti narrativi
di Tex funzionano meglio verso nord o verso sud, Canada o Mexico.
L’idea è quella della frontiera in entrambi i casi. Gli stati
settentrionali del Mexico sono risucchiati nel sudovest, il Canada è
frontiera. La linea di frontiera a nord e a sud è sottile, non è
come quella tra sudovest e città. Verso nord le storie sono bianche.
Verso sud, sole, sabbia, mesas: deserto.
A sud sono storie
magiche. Valga per tutte la storia dei nn. 228-9, in cui Tex incontra
Rakos (anagramma di Sokar) in Chihuahua; sacerdote di Iside
condannato per sacrilegio, nell’antico Egitto, all’esilio, e che
vive in Messico da secoli nella sua piramide. A nord sono strane
storie. Nei fascicoli 75- 75 i pards si trovano in Alaska, dove
scoprono il «popolo delle lunghe barbe»: russi rimasti tra ghiacci
e vulcani, discendenti di deportati spediti al confino dagli zar,
ormai cittadini americani senza saperlo. O incontrano, in Canada,
ribelli dal nome francese (nn. 122 e seguenti). Alla direttrice del
nord appartiene anche rincontro con Sasquatch, l'uomo-scimmia dei
Klamath che abitano nell’Oregon, indiani che portano baffi. A volte
la forza di attrazione dei luoghi di Tex porta nelle terre calde
popoli inconsueti: evidente forzatura che consiste nel far muovere
gli altri attorno al baricentro narrativo. Nei nn. 372-3 Tex e Carson
trovano in una enclave del deserto una tribù di ex-schiavi nei
fuggita e isolatasi da generazioni. Nei nn. 312-3 incontrano in
Florida, tra giungle e paludi, i Thugs con i loro lacci di seta con
cui strangolano i nemici. Per non parlare dei «fantasmi nel deserto”
(nn. 177-8): guerrieri tuareg insediatisi con cammelli e mezzelune in
territorio apache.
La distesa desertica è
tutto, il centro abitato «uno sputo nel deserto», «covo di pulci e
vagabondi». Deserto che incombe come universo e come limite,
soprattutto quando si tratta di attraversarlo: per sfuggire a un
nemico o per inseguirlo; per lasciarsi alle spalle Yuma, come fa un
gruppo di evasi (nn. 87- 88); o per abbandonare il mortale
penitenziario di Vicksburg sapendo che all’inseguimento si sono
messi i feroci Mohaves incaricati di catturare e torturare i
fuggiaschi ma che si sentono onorati di salvare la vita al capo
Navado finito dietro le sbarre a causa di un complotto (nn. 143-144).
Il deserto del Sudovest è centro di tutto. «Un indiano forse
potrebbe salvarsi, ma non quel bianco», dice un Hopi rivolto a Tex
quando lascia nel deserto uno dei butterati carnefici della gente
navado (n. 105). Tex gli lascia una borraccia e una colt. L’acqua,
se vorrà lottare per salvarsi; la colt, dice, «se capirai che il
destino ti sta spingendo su una pista che non avrà mai fine (...)
non imprecare sulla tua sorte».
Il deserto è terra di
feroci contrasti che spiegano la dura semplicità dei ragionamenti.
Ma terra di amore e di resistenza fino all’ultimo uomo. È
l’Apacheria, l’area dai cui ridotti inaccessibili vigila il
grande Cochise, il capo dei Chiricahuas il cui prestigio s’irradia
su tutte le genti apaches. È per questo suo carattere di terra di
resistenza che il Sudovest è stato pensato come luogo di Tex. Sulle
terre calde le genti indiane hanno a lungo resistito ed hanno
imparato lo stile di guerra. Quando vuole fare guerriglia, Tex
desertifica (nn. 51-52). «Per Manito - dice un capo - un apache se
dovrà morire morrà combattendo. Ma se dovrà combattere lo farà da
una posizione di vantaggio». Mai l’inganno, l’agguato sempre.
Da “il manifesto mese”
supplemento al quotidiano, maggio 1994
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