Alberico Lemme |
Fateci caso: quando in un
qualunque dibattito, un tipo, in genere brillante e dalla parlantina
sciolta, afferma «farò una provocazione», non accade mai nulla del
genere. E si ascolteranno, piuttosto, interminabili e tediosi
proclami ispirati al senso comune più ordinario. Si manifesta, così,
una delle varianti della sindrome del Bastiancontrarismo, la più
innocua. Ma quella stessa sindrome può manifestarsi attraverso un'
altra variante più nociva.
Per esempio il dottor
Alberico Lemme, nato nel 1958 ad Archi (Chieti), farmacista per
titolo e dietologo per proterva aspirazione, nel corso di una puntata
del Grande Fratello ha pronunciato le seguenti parole: «Quando è
nata mia figlia tutti mi dicevano: "Vedrai che emozione
proverai". Lei è nata, io ho assistito al parto e non ho
provato nessuna emozione. Quando ha fatto sei mesi l' ho guardata e
ho pensato: "Se morisse mi dispiacerebbe?" Ho risposto di
no».
Nella migliore delle
ipotesi si tratta delle frasi di un esibizionista patologico, nella
peggiore della manifestazione narcisistica di un disadattato. Ma ciò
che davvero conta è che quelle frasi siano state accolte da alcuni
conduttori radiofonici e televisivi come esercizi di «sincerità»
o, addirittura, di «coraggio». E sul web il dottor Lemme - già
noto per altre scellerate affermazioni e per le modeste perversioni
del suo pensiero, si fa per dire - è diventato un eroe, in quanto
avrebbe rotto «il velo della retorica dell'amore familiare» e
avrebbe rifiutato «l'ipocrisia delle convenzioni sentimentali».
La ragione di un simile
successo è semplice: quelle affermazioni, in apparenza tanto
oltraggiose, corrispondono, in realtà, a un umore sempre presente
nell'animo umano e a una pulsione oscura e profonda che, una volta
emersa, si scopre di condividere con molti altri. Forse la
maggioranza. Insomma, quella presunta trasgressione esprime un antico
e solido conformismo. E se con Lemme siamo in un campo trascurabile,
pur se sfrontato, in quanto insignificante sotto il profilo
intellettuale, numerosi sono i casi di tutt'altra consistenza.
Un giornalista colto,
talvolta acuminato, come Filippo Facci, espressione di una tradizione
reazionaria ma non codina, a proposito di Greta Thunberg così si è
espresso: «A me tutte le persone che hanno bisogno di riscoprire le
questioni ambientali attraverso quella specie di mostriciattolo di
Greta... Lei, mi viene da investirla con la macchina». Anche in
questo caso, sul web si sono intessuti trepidanti elogi per la
«sincerità» e per il «coraggio». Se questo metodo si dimostra
così efficace, si possono suggerire una serie di dichiarazioni
capaci di ottenere consensi e ricevere omaggi.
Basta individuare un
predicato sufficientemente condiviso e negarlo con brutalità, a
prescindere dalla quota di ragionevolezza che contiene. Ecco. 1. «La
vita dei nostri figli ci è cara» 2. «Non è bello mettersi le dita
nel naso» 3. «È un dovere tutelare l' ambiente» 4. «Gli esseri
umani sono tutti uguali» 5. «È meglio evitare di ruttare in
pubblico». Proclamare o attuare il rovesciamento (il ribaltamento da
cima a fondo), con le parole o i gesti, di quei semplici princìpi
appare oggi come il massimo dello Scandalo Pubblico. Dunque, siamo in
una fase culturale in cui sembra che l'affermazione della propria
diversità di opinione e la lotta contro il politicamente corretto
debbano passare di necessità attraverso la negazione,
indifferentemente, di uno di quei cinque punti (meglio se di tutti e
cinque).
È una storia lunga,
tutt'altro che lineare. Non ho mai condiviso anche uno solo dei brevi
corsivi che, sotto la testatina Controcorrente, Indro
Montanelli pubblicava quotidianamente sul «Giornale». Eppure,
almeno una volta su tre, quei commenti - a me, giovane militante
della sinistra radicale - facevano davvero male. Dopo di che è stato
tutto un rincorrersi affannato di rubriche simili (o che volevano
essere simili). Rubriche che issavano la bandiera
dell'anticonformismo. Una sfilza lunghissima e che cerca tutt'ora di
riproporsi ricorrendo al dizionario dei sinonimi: Diverso parere
(o, in una sciagurata versione calcistica, Diverso parare), Al
contrario, Verso diverso, L'antipatico, Fuori gioco, Non ci sto,
Controverso, L'iracondo, Retropensiero, Fuori dal coro,
Controcanto. Il dissenso diventa, in tal modo, manierismo,
compiacimento di sé e della propria sconvenienza (vera o presunta
che sia) e finisce fatalmente col mimare i tratti e le movenze, i tic
e le ossessioni del suo negativo (il conformista), scambiandosi i
ruoli con esso.
Tutto ciò risulterebbe
quasi innocuo e comunque poco rilevante se non intervenissero due
fattori «agevolanti» che possono rendere significativo ciò che
significativo è quasi mai. Il primo fattore è rappresentato
dall'entusiasmo che la sindrome del Bastiancontrarismo suscita in
alcuni soggetti della comunicazione (giornalisti, conduttori
televisivi e radiofonici, opinion maker e influencer
vari). Il secondo fattore è rappresentato dalla cornice virtuosa in
cui quella patologia viene collocata quando se ne appropria il web. È
un'aura eroicistica, con tonalità epiche, che richiama categorie o
formule come «schiena dritta» e «forza», «posizione scomoda» e
«intransigenza».
Così Spararla Grossa
diventa una virtù agonistica che riempie i canali della
comunicazione e li gonfia, che invade il linguaggio domestico e
quello pubblico, che travolge gli argini come una esondazione
lutulenta, diffondendo ovunque le immagini, i gesti e le parole di un
nuovo Conformismo della Devianza Deluxe.
Ne consegue che la
trasgressione autentica, quella dei veri e rari irregolari, come Elsa
Morante e Pier Paolo Pasolini e, successivamente, Goffredo Fofi,
Guido Ceronetti, Lea Melandri, Aldo Busi e Walter Siti (non me ne
vengono in mente altri) viene sopraffatta dal gran vociare degli
anticonformisti a rimborso spese. Professionisti della materia che
coltivano la malacreanza intellettuale ed esistenziale con lo stesso
compiacimento con cui, alle scuole medie, scrivevamo parolacce sulla
lavagna.
“la Lettura - Corriere
della Sera”, 5 maggio 2019
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