14.8.19

Lievito di birra, scoperta la sequenza del Dna. È un fungo vecchissimo e viene dalla Cina (Elena Dusi)



Più antico di Bacco, ha nel suo repertorio un ampio ventaglio di opzioni, inebrianti e non. Nacque in Cina, almeno 292 mila anni fa. Poi è stato addomesticato più volte, in giro per il mondo. C’è chi lo ha scelto perché ama il vino, chi la birra o il sake. Lui, apprezzato ovunque, sembra passarsela meglio accanto agli umani che non in natura, regalandoci alcol e altre piacevolezze (pizza e cioccolata inclusa) in cambio di calore e dolcezza (gli zuccheri sono il suo cibo preferito).
Con i suoi pochi micrometri di dimensioni, il Saccharomyces cervisiae, meglio noto come lievito di birra, è presenza discreta e invisibile. Gianni Liti, scientificamente parlando, a questo microrganismo ha dedicato la vita. Pizzaiolo per hobby insieme alle figlie, come molti scienziati che per lavoro si occupano di fermentazione non è insensibile al gusto delle bevande alcoliche. E con un bel brindisi, all’università di Nizza-Costa Azzurra in cui questo microbiologo e genetista lavora, Liti e il suo gruppo hanno festeggiato la pubblicazione su Nature dei risultati del loro progetto: il sequenziamento dei “mille e due genomi” del lievito di birra (il titolo “mille e un genoma” non era più disponibile: lo aveva adottato un gruppo di ricerca precedente) da parte di un consorzio internazionale a guida francese. «Abbiamo ricostruito l’albero genealogico di questi microrganismi – spiega – dimostrando che la specie Saccharomyces cervisiae è nata forse in Cina e da lì si è espansa, entrando in contatto con varie popolazioni umane che l’hanno addomesticata in più occasioni. Stabilire date precise non è facile: del lievito di birra non esistono certo resti fossili». Vino e sake prima, rispettivamente in Europa e Asia. Birra poi, in Asia, Europa e Africa. Più di recente il lievito di birra è entrato nella produzione industriale di pane, cioccolata, formaggio, sidro e – a livello sperimentale – biocarburanti. La simbiosi con l’uomo ha permesso a questi microrganismi di esplodere in numero e diffondersi in tutto il mondo. Anche alcuni piccoli primati in Malesia amano il liquido alcolico che si forma quando il nettare di una particolare palma fermenta nell’incavo delle foglie per azione di Saccharomyces cervisiae. Ma sono soprattutto le specie addomesticate a ritrovarsi con una varietà diversificata e arricchita di cromosomi, segno di salute in una specie. Il segreto di questo microrganismo è la velocità: sa metabolizzare gli zuccheri producendo etanolo rapidamente, battendo sul tempo le altre specie di microrganismi, spesso soppiantandole. «Sulla vita di questo lievito in natura non sappiamo molto – conferma Liti – troviamo campioni sulle cortecce degli alberi, sulla buccia dell’uva o nell’intestino delle vespe. Ma raccoglierli, isolarli e farli crescere in coltura è un lavoro complesso. Per questo il nostro progetto sui mille e due genomi ha usato soprattutto ceppi già presenti in laboratorio». E se il passato è molto ricco, il futuro non promette meno, per il lievito di birra. Il cervisiae in fondo è uno degli organismi più usati nei laboratori, per studiare i meccanismi di base delle cellule. Molti Nobel (il più recente due anni fa) sono stati assegnati a scienziati che hanno lavorato su questo semplice modello.
Modificando il suo Dna con le nuove tecniche di genome editing (soprattutto Crispr), è stato possibile indurlo a produrre medicinali o biocarburanti. Il progetto internazionale “Synthetic Yeast 2.0” punta addirittura a crearne una versione artificiale, con il genoma completamente sintetizzato in laboratorio. Dalla lettura del Dna del lievito di birra, passeremmo allora alla sua scrittura, aggiungendo, modificando o riarrangiando i cromosomi. Per arrivare, chissà, a nuove bevande favorite da Bacco.

“la Repubblica”, 6 aprile 2018

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