Più antico di Bacco, ha
nel suo repertorio un ampio ventaglio di opzioni, inebrianti e non.
Nacque in Cina, almeno 292 mila anni fa. Poi è stato addomesticato
più volte, in giro per il mondo. C’è chi lo ha scelto perché ama
il vino, chi la birra o il sake. Lui, apprezzato ovunque, sembra
passarsela meglio accanto agli umani che non in natura, regalandoci
alcol e altre piacevolezze (pizza e cioccolata inclusa) in cambio di
calore e dolcezza (gli zuccheri sono il suo cibo preferito).
Con i suoi pochi
micrometri di dimensioni, il Saccharomyces cervisiae, meglio
noto come lievito di birra, è presenza discreta e invisibile. Gianni
Liti, scientificamente parlando, a questo microrganismo ha dedicato
la vita. Pizzaiolo per hobby insieme alle figlie, come molti
scienziati che per lavoro si occupano di fermentazione non è
insensibile al gusto delle bevande alcoliche. E con un bel brindisi,
all’università di Nizza-Costa Azzurra in cui questo microbiologo e
genetista lavora, Liti e il suo gruppo hanno festeggiato la
pubblicazione su Nature dei risultati del loro progetto: il
sequenziamento dei “mille e due genomi” del lievito di birra (il
titolo “mille e un genoma” non era più disponibile: lo aveva
adottato un gruppo di ricerca precedente) da parte di un consorzio
internazionale a guida francese. «Abbiamo ricostruito l’albero
genealogico di questi microrganismi – spiega – dimostrando che la
specie Saccharomyces cervisiae è nata forse in Cina e da lì
si è espansa, entrando in contatto con varie popolazioni umane che
l’hanno addomesticata in più occasioni. Stabilire date precise non
è facile: del lievito di birra non esistono certo resti fossili».
Vino e sake prima, rispettivamente in Europa e Asia. Birra poi, in
Asia, Europa e Africa. Più di recente il lievito di birra è entrato
nella produzione industriale di pane, cioccolata, formaggio, sidro e
– a livello sperimentale – biocarburanti. La simbiosi con l’uomo
ha permesso a questi microrganismi di esplodere in numero e
diffondersi in tutto il mondo. Anche alcuni piccoli primati in
Malesia amano il liquido alcolico che si forma quando il nettare di
una particolare palma fermenta nell’incavo delle foglie per azione
di Saccharomyces cervisiae. Ma sono soprattutto le specie
addomesticate a ritrovarsi con una varietà diversificata e
arricchita di cromosomi, segno di salute in una specie. Il segreto di
questo microrganismo è la velocità: sa metabolizzare gli zuccheri
producendo etanolo rapidamente, battendo sul tempo le altre specie di
microrganismi, spesso soppiantandole. «Sulla vita di questo lievito
in natura non sappiamo molto – conferma Liti – troviamo campioni
sulle cortecce degli alberi, sulla buccia dell’uva o nell’intestino
delle vespe. Ma raccoglierli, isolarli e farli crescere in coltura è
un lavoro complesso. Per questo il nostro progetto sui mille e due
genomi ha usato soprattutto ceppi già presenti in laboratorio». E
se il passato è molto ricco, il futuro non promette meno, per il
lievito di birra. Il cervisiae in fondo è uno degli organismi
più usati nei laboratori, per studiare i meccanismi di base delle
cellule. Molti Nobel (il più recente due anni fa) sono stati
assegnati a scienziati che hanno lavorato su questo semplice modello.
Modificando il suo Dna
con le nuove tecniche di genome editing (soprattutto Crispr),
è stato possibile indurlo a produrre medicinali o biocarburanti. Il
progetto internazionale “Synthetic Yeast 2.0” punta addirittura a
crearne una versione artificiale, con il genoma completamente
sintetizzato in laboratorio. Dalla lettura del Dna del lievito di
birra, passeremmo allora alla sua scrittura, aggiungendo, modificando
o riarrangiando i cromosomi. Per arrivare, chissà, a nuove bevande
favorite da Bacco.
“la Repubblica”, 6
aprile 2018
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