Si potrebbe cominciare
mettendo in fila, come nella locandina di una rappresentazione
teatrale, gli interpreti che sono poi anche i personaggi: Bobbio,
Delio Cantimori, Calvino, Cases, Massimo Mila, Renato Solmi,
Vittorini, Fruttero, Panzieri, Ponchiroli, Strada, Baranelli, Serini,
Fonzi, Bollati, molti altri, alcuni più o meno sullo sfondo (come
Roberto Cerati, che ci ha lasciato solo qualche giorno fa,
organizzatore commerciale e inventore di tanti successi editoriali) e
naturalmente lui, non si sa bene se in qualità di regista in scena,
di padre padrone, di deus ex machina, il «divo Giulio», come
gli piaceva farsi indicare, cioè Giulio Einaudi, figlio di Luigi,
fondatore nel 1933 (precoce, indubbiamente, come può capitare a chi
ha la fortuna di respirare cultura dalla nascita: aveva 21 anni,
essendo nato nel 1912) della casa editrice cui prestò il cognome e
cui assegnò il simbolo che diventò presto un marchio di qualità:
lo struzzo che piega il chiodo, «spiritus durissima coquit».
I verbali del
mercoledì, il volume che raccoglie, a cura di Tommaso Munari, i
resoconti delle riunioni redazionali della casa editrice in un
decennio, tra il 1953 e il 1963, resoconti a volte molto schematici,
elenchi senza pretese di elaborazione, rappresentazione,
interpretazione, a volte cronache che riproducono personalità, stati
d'animo, idiosincrasie, persino il mal di denti di uno dei redattori
(il francesista Serini: «Non parlo oggi per incapacità di
parlare... Ho avuto un'estrazione») riesce ad essere in tante pagine
brillante, curiosissimo, mai burocratico, vivo, cioè prova di una
cultura viva e autentica. Vedi ad esempio la «sceneggiatura» del
«caso Fofi», cioè la lunga discussione che si sviluppò attorno
alla pubblicazione o meno dell'inchiesta di Goffredo Fofi
sull'immigrazione meridionale a Torino.
Il libro era stato
commissionato da Raniero Panzieri. Nell'autunno del 1963 erano pronti
quattrocento pagine e un titolo, I meridionali a Torino. Fofi
aveva ventisei anni, s'era lasciato alle spalle l'esperienza di
Cortile Cascino, maestro di strada tra i bambini che popolavano uno
dei quartieri più poveri di Palermo (dalla Sicilia venne cacciato
con un foglio di via e l'Unità commentò l'episodio con un
editoriale di prima pagina). La discussione aveva occupato più di un
mercoledì e nella discussione si cimentarono un po' tutti.
Bobbio sobriamente si
atteggiava ad arbitro, Massimo Mila era il critico benevolo, che
elencava i difetti ma reclamava un atto di coraggio indicando i
pregi, Calvino era ostile e puntiglioso (definisce il saggio
declamatorio, superficiale, ovvio e peggio ancora, inutilmente
polemico nei confronti del Pci e delle organizzazioni sindacali, ma
le storie raccolte da Fofi gli regalarono qualche spunto per i suoi
racconti futuri), Panzieri respingeva le accuse («Questi dei giovani
sono dei tentativi che vanno seguiti con amore, incoraggiati. Del
resto questa era la tradizione della casa editrice.»), Renato Solmi
pensava di svelare «il punto della questione»: «Questo libro
sarebbe uscito senza obiezioni se non costituisse un duro colpo
portato alla Fiat. Il motivo determinante della sua non pubblicazione
è che non si vuole pubblicarlo per ragioni politiche ed economiche
precise, di cui qui sono tutti a conoscenza. Il Consiglio ha finto di
non vedere il punto della questione.».
Giulio Bollati in realtà
il «punto» l'aveva anticipato ricostruendo la storia del volume:
«Letto il libro in bozze, Solmi informò Einaudi che esso conteneva
passaggi che potevano offendere persone vicine alla Casa editrice.».
Il problema lo aveva segnalato lo stesso Einaudi a Fofi in una
lettera di attentissima ed elaborata prosa: il libro lo pubblico, ma
deve essere ripulito, smorzato, corretto, emendato per quelle parti
che chiamano in causa «istituzioni enti società e persone con cui
mi trovo quotidianamente a contatto, alle quali sono legato talvolta
da rapporti di collaborazione e di lavoro.». Bobbio, in apertura,
era stato più esplicito: «C'è qualcosa di molto irritante nel
libro,ed è l'angolo interpretativo.Trecose fanno andare in bestia
Fofi: la Stampa, la Fiat, i Piemontesi. C'è del dileggio, del
disprezzo.».
Mila aveva riposto:
«Debbo dire, come vecchio torinese, che non ho trovato motivo di
scandalizzarmi nella diagnosi del mondo torinese fatta da Fofi. che
Torino sia una città in situazione di monopolio mi pare dimostrato
proprio dalla perplessità di questa casa editrice se pubblicarlo o
no.». Conferma polemica di Solmi: «Questo libro sarebbe uscito
senza obiezioni se non costituisse un duro colpo alla Fiat». Replica
di Einaudi: «Io non avrei alcuna difficoltà a pubblicare un libro
di critica alla Fiat o a qualsiasi altra industria o istituzione se
si trattasse d'un libro serio, motivato, documentato.».
S'andò ad una votazione
(perché si votava quando non si vedeva unanimità) e vinse il no.
Meridionali a Torino venne pubblicato l'anno dopo da Feltrinelli (e
lo ha ristampato recentemente Aragno). Cambiò il titolo, che
divenne: Immigrazione meridionale a Torino. Renato Solmi e
Raniero Panzieri furono licenziati.
L'ex dirigente del Psi e
fondatore della rivista Quaderni Rossi morirà appena dieci mesi
dopo, a quarantatre anni. Munari definisce il caso Fofi un pretesto
per la resa dei conti tra il partito della militanza e quello,
capeggiato da Bollati, che coltivava l'idea di una casa editrice
forte sul mercato, ben strutturata in collane, ben attenta alla resa
delle sue scelte. Al prevalere di una «logica aziendale», delle
«istanze dell'industria culturale», alluderà molti decenni dopo,
in una intervista, Renato Solmi, che fu tra l'altro l'autore delle
prime traduzioni italiane di Adorno e Benjamin.
I Verbali del
mercoledì (il secondo volume, il primo si fermava ai primi anni
cinquanta) si chiude in quel 1963, anno tormentato, al tramonto del
«miracolo economico», all'inizio della «congiuntura», anno che
finirà con la nascita del primo governo di centro-sinistra, alleati
Dc e Psi,Moro presidente del consiglio e Nenni, vice-presidente,
nella «stanza dei bottoni».
I verbali del
mercoledì sono ovviamente uno strumento formidabile per rifare
dall'interno e dal punto di vista del catalogo, cioè dell'autentico
progetto culturale, la storia della Einaudi, già rifatta peraltro in
modo mirabile da Luisa Mangoni nel suo Pensare i libri, edito
da Bollati Boringhieri. Ma rileggere quelle discussioni è
soprattutto un modo per sedersi al tavolo della cultura italiana, non
l'unico, perché la cultura e l'editoria vivevano anche altrove, a
Milano, a Firenze o a Napoli, Feltrinelli, Garzanti oppure Vallecchi,
Editori Riuniti, Laterza. Sede rsi al tavolo significa misurare la
vivacità dei progetti, il peso delle identità, il valore degli
ideali, nelle parole di intellettuali che tenevano ben coscienza di
una loro responsabilità di fronte al pubblico, di fronte al paese,
in momenti di autentico dinamismo culturale e politico, quando
divisioni tradizionali si ricomponevano ed altre se ne manifestavano.
Ricchezze, tensioni, emozioni di un'altra Italia, che nutriva molte
speranze, che si costruiva con i lavoro di tutti.
Il libro poi è bello per
i dialoghi, in buona parte trascritti, cioè verbalizzati, con gusto
da Daniele Ponchiroli, per certe note che dicono della vita della
casa editrice («Fare contratto - Cond. usuali - tend. basse» si
deve immaginare solito contratto, alle condizioni meno dispendiose:
la vittima era Ludovico Terzi, per il suo romanzo La timidezza),
per le intuizioni, per i giudizi severi, talvolta feroci, talvolta
sbrigativi, mai disattenti. Anche per gli errori. Se questo è un
uomo resterà nella storia, malgrado il rifiuto einaudiano a
Primo Levi (ma si torna al 1947). Se questo è un uomo fu
pubblicato da un piccolo editore, De Silva, e Calvino subito lo
definì sull'Unità «un magnifico libro».
“l'Unità”, 6 gennaio
2014
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