L’uccisione di Abele da
parte di Caino, raccontata all’inizio della Genesi, è
leggibile in vari modi: vista sul piano etico è segno perenne che
ogni omicidio rappresenta, nella sua radice, l’uccisione di un
fratello; letta in chiave di antropologia culturale indica l’antica,
inestinta contesa tra i diversi, conflittuali modi di spartirsi beni
e risorse (Caino è un agricoltore, Abele un pastore); colta in
chiave simbolica attesta la fragilità della condizione umana (Abele
da hevel, soffio, vacuità).
Alcuni passi del Nuovo
Testamento ci aprono una prospettiva ulteriore. Si legge nella Prima
lettera di Giovanni (3,12) «Poiché questo è il messaggio che
avete udito fin dal principio: che ci amiamo gli uni gli altri. Non
come Caino che era dal Maligno e così uccise suo fratello». Dal
canto suo il Vangelo di Giovanni afferma che il diavolo «è
menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). A volte le
citazioni parlano proprio quando vengono estrapolate dal loro
contesto e fatte interagire tra loro. Menzogna e omicidio sono
intrecciati in maniera molto stretta. La menzogna, quando si presenta
come antitesi profonda alla verità, non è riconducibile al fingere,
al recitare, al dire bugie: è un inganno che tocca le viscere della
condizione umana. Contrapporre la menzogna all’amore vicendevole
svela il legame che unisce la negazione del vero all’omicidio. La
verità è una relazione, è la fedeltà buona che si costituisce
allorché ci si apre l’uno all’altro. L’omicidio è un abisso
di menzogna perché nega le verità più intimamente inscritte nella
condizione umana: l’uguaglianza e la reciprocità. L’assassinio è
l’antitesi primordiale della «regola d’oro», che fa della pari
dignità tra sé e l’altro il fondamento primo di ogni
comportamento veritiero.
Nel capitolo quarto della
Genesi la parola «fratello» torna sette volte; essa ricorre
per affermare che Caino è fratello di Abele. Mentre non si dichiara
mai che la vittima è fratello del suo assassino, si asserisce sempre
che è l’uccisore a essere fratello di colui di cui ha estinto la
vita. In questo modo da un lato si dichiara che la fratellanza è
luogo di responsabilità («domanderò conto della vita dell’uomo
all’uomo, a ognuno di suo fratello» Genesi 9,5), mentre
dall’altro si afferma implicitamente che la vittima è tale anche
perché chi lo sta uccidendo non lo riconosce come fratello.
Secondo la Genesi,
Abele non parla mai; egli è l’archetipo di ogni vittima a cui è
negata persino la parola. All’ucciso è lasciata come voce quella
del sangue che grida dal suolo. La scena è dominata dal cruento
silenzio di una vita estinta. La presa di coscienza da parte di Caino
di quanto da lui compiuto è suscitata dalla voce del Signore che gli
giunge da fuori: «Che hai fatto?» ( Genesi 4,10-13).
La storia dell’omicidio
primordiale è presente anche nel Corano. Nel testo sacro
dell’islam però Abele (ma entrambi i protagonisti restano anonimi)
parla e lo fa più del fratello. Lo scopo delle sue parole è di
proclamare che non risponderà alla violenza con la violenza. Nel
Corano la vittima pronuncia parole che divengono impegno e
promessa: «Se stenderai la mano contro di me per uccidermi io non
stenderò la mano contro di te per ucciderti» (Corano 5,28).
Tuttavia alle spalle di questo atteggiamento inerme c’è la visione
di un Dio capace di punire, ed è tema tutt’altro che secondario
prendere atto che la rinuncia alla violenza da parte della creatura
umana riposa sulla convinzione che l’unico autorizzato a
esercitarla sia Dio: «Io voglio che tu ti accolli il mio peccato, e
che tu sia tra quelli del fuoco, ecco la ricompensa dei colpevoli»
(Corano 5,29).
Le parole del fratello
furono vane, l’altro non le accolse e la sua anima lo spinse a
uccidere e «fu tra i perdenti». Tuttavia a renderlo consapevole
della propria colpa non fu la parola divina che evidenzia quanto da
lui fatto, fu il muto linguaggio etologico di un corvo divenuto
prototipo dell’atto umano di seppellire i morti: «Dio inviò un
corvo che grattò la terra per mostrargli come nascondere la salma di
suo fratello. Egli disse: “Povero me, sono stato incapace di essere
come questo corvo e di nascondere la salma di mio fratello”, e
divenne preda del rimorso» (Corano 5,31).
“La Lettura –
Corriere della Sera”, 30 dicembre 2018
Nessun commento:
Posta un commento