Le tegole dei colli che il mezzogiorno
estivo infuoca. E sopra
nuvole che paiono angeli per via
dell’ombra fugace.
Così il selciato libertino scopre lo
slip azzurro
della mia amica dalle lunghe gambe.
Io, cantore d'inezie, linee rotte,
assurdità,
nel grembo della città eterna mi
nascondo
dall’astro che ha imposto ai cesari
la loro cecità
(raggi che basterebbero per un secondo
universo).
Piazza gialla; stordimento meridiano.
Il padrone di una Vespa tormenta la
frizione.
Stringendomi la mano contro il petto,
conto
della vita vissuta le monete di resto.
E come un libro, aperto ad ogni pagina,
che si legge
d’un fiato, il lauro fruscia su una
balaustrata riarsa.
Il Colosseo è come il teschio di Argo;
nelle sue occhiaie vuote nuotano
le nuvole, ricordo dell’antico
gregge.
In Poesie italiane,
Adelphi, 1996
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