19.8.19

Il metodo Roosevelt. Le giornate di Eleanor, la first lady (Matteo Persivale)



Parlare, ogni giorno, a tutta l’America. Direttamente. Senza filtri. Dalla Casa Bianca. Magari scrivendo alla mattina presto, o nel cuore della notte, dalla residenza privata presidenziale. Trasmettere tutto in diretta. E influenzare la giornata politica, innescare dibattiti, smorzare o acuire tensioni.
Il metodo Trump – usare Twitter come strumento di espressione senza censure, né tantomeno autocensure – è stato alla base del suo successo da candidato, alle primarie repubblicane e poi alle presidenziali contro Hillary Clinton e resta il suo metodo preferito di gestire il potere esecutivo.
Ma c’è un precedente storico importante, quando Twitter ancora non esisteva: il metodo Trump, in realtà, andrebbe chiamato metodo Roosevelt. Roosevelt come Eleanor, la First Lady moglie di Franklin. La signora Roosevelt – che a causa della polio che aveva colpito il marito viaggiava in continuazione per essere «gli occhi e le orecchie» di Franklin bloccato a Washington sulla sedia a rotelle – dal 1936 in poi tenne una rubrica quotidiana, sei giorni alla settimana, su 90 giornali letti da quasi 5 milioni di americani (americani che allora erano 128 milioni, 200 milioni meno di oggi).
Si chiamava «My Day», la «Mia giornata», e in uno stile asciutto, secco, paratattico che sugli odierni social media funzionerebbe a meraviglia, la First Lady raccontava per l’appunto la sua giornata, le sue impressioni. Sempre in linea con la politica del marito, ovviamente – «My Day» non fu mai uno strumento di indipendenza politica per Eleanor, che pure era nettamente alla sinistra di Franklin sopratutto su temi come il razzismo – perché la First Lady non cercò mai incarichi elettivi, neanche da vedova. Ma il successore di Roosevelt, Truman, sfruttò nel 1946 la sua grande popolarità, grinta e le competenze acquisite in oltre 12 anni alla Casa Bianca, dandole un incarico alle Nazioni Unite che conservò fino al 1952 quando si ritirò dalla politica.
Eleanor Roosevelt usò «My Day» per bacchettare gli avversari del marito, certo in maniera radicalmente opposta a quella greve che rappresenta parte integrante del brand trumpiano, ma senza timidezza: a un parlamentare repubblicano che odiava Franklin, Hamilton Fish – che neanche a farlo apposta rappresentava il collegio dello Stato di New York dove avevano la residenza i Roosevelt – Eleanor riserva alcune delle sue incursioni più gelide. Nel 1941 l’isolazionista Fish aveva mandato ai suoi elettori una lettera che attaccava Roosevelt accusandolo di usare metodi totalitari per portare l’America in guerra. Fdr tace, e affida la risposta a Eleanor: che scrive la sua rubrica rivolgendosi direttamente a Fish, elencando i Paesi europei che hanno subito l’invasione hitleriana. E conclude: «Prego per la pace ogni giorno, ma non credo che noi, come nazione, abbiamo smesso di distinguere tra il bene e il male».
Dal ’36 al ’40, con la Grande Depressione come tema centrale del dibattito politico e dell’azione di governo, Eleanor viaggia in continuazione, partecipa a riunioni, visita fabbriche e chiese e mense, davvero «occhi e orecchie» del marito, e «My Day» è quasi sempre un diario di viaggio – come nella rubrica, divertentissima, del 1937, nella quale rivendica la sua indipendenza e la sua scelta di girare a volte senza scorta. E il consigliere principale del marito, Louis McHenry Howe, grande architetto della carriera politica di Fdr, le consiglia almeno di girare armata. Così Eleanor racconta ai lettori di aver imparato a sparare, e di girare con un revolver nella borsetta.
Non è tutta politica. Proprio come fa Trump, Eleanor scriveva spesso di cultura pop: citava Shirley Temple, allora la star più famosa di Hollywood, e in una rubrica dedicata a una visita alla Casa Bianca della piccola, descrive un fan deliziato nel quale non è difficile riconoscere il marito, così serioso e distinto in pubblico, ma privatamente grande ammiratore dell’attrice e nonno affettuosissimo con i nipotini.
La First Lady, su certi temi, non era in sintonia con Franklin: lui, per quanto fosse personalmente contrario alla segregazione razziale, sapeva che il Sud razzista costituiva una parte fondamentale della sua coalizione, e non fece mai nulla per alienarsi le simpatie di quegli elettori nonostante nei loro Stati fosse in vigore sostanzialmente l’apartheid americana. Questo, per Eleanor, era inaccettabile e non potendo contraddire il marito in pubblico utilizzò comunque la rubrica, assai di frequente, e attirandosi critiche, per ribadire la sua posizione antirazzista. Nel 1939 il grande contralto Marian Anderson, afroamericana, viene invitata a cantare a Washington in una sala da concerto controllata da una potente non profit alla quale apparteneva anche la First Lady. La non profit nega l’uso della sala. Eleanor nella sua rubrica spiega, gelida, di essersi dimessa dall’associazione. Il 65% del Paese, dice un sondaggio, è con lei.
Franklin, nel ‘37, cerca di attuare quello che resta uno dei piani più audaci nella storia della presidenza americana: la Corte suprema boccia molte delle sue decisioni? Non può licenziarne i giudici, nominati a vita, allora cerca di espanderne il numero mettendo in minoranza i suoi nemici. Piano azzardatissimo che fallisce: anche nel suo staff erano quasi tutti contrari. Tranne Eleanor: che in una rubrica pubblica la presunta missiva di un lettore favorevole. Gli storici sospettano che l’autore fosse Franklin.
Certo Eleanor stupisce per la generosità di spirito, ma resta una donna del suo tempo (era nata nel 1884) e della sua formazione (patrizia): sorprende leggere la rubrica nella quale la donna che sarebbe stata uno straordinario presidente, senatore, segretario di Stato, scrive che le donne non sono brave in matematica e non sono brave scienziate, seguendo gli stereotipi del tempo, lei che gli stereotipi generalmente si divertiva a demolirli. Con un tweet ante litteram, scritto a letto su un quaderno e poi mandato ai giornali via telegrafo o dettato dalla sua segretaria.

Corriere della Sera, 5 maggio 2019

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