Amedeo Avogadro, torinese |
Far coincidere questo inizio con Boyle non implica che prima non venissero fatte operazioni chimiche riproducibili. Questa pratica e le operazioni legate alla metallurgia, all'industria del vetro e della ceramica, alla fermentazione (per fare alcuni esempi) erano un patrimonio millenario, perfezionato con pratiche empiriche e spesso di carattere alchemico. Ugualmente ricca era la conoscenza e la classificazione di molte sostanze. Ma, nonostante questa ricca storia, nella seconda metà del XVIII secolo la comprensione del mondo fisico si basava ancora su Aristotele, secondo cui la complessità del mondo è il risultato della combinazione di terra, acqua, aria e fuoco. Su questa base, inoltre, si deduceva l'inesistenza del vuoto e l'infinita divisibilità della materia. E' quindi giusto partire da Boyle (autore di quello che viene considerato il primo libro di chimica, «The Sceptical Chemist»), perché con lui inizia su basi sperimentali la faticosa demolizione delle teorie aristoteliche. Studiando le proprietà dei gas, arriva alla conclusione che la materia è formata di particelle e che le sostanze sono costituite da atomi diversi. Quasi contemporaneamente Isaac Newton (1643-1727), fisico ma anche alchimista, tratta dell'esistenza del vuoto che separa i corpuscoli di Boyle e ipotizza l'esistenza di interazioni a distanza. Da questo momento parte un inarrestabile processo di studi e scoperte che terminerà solo con Mendeleev e all'interno dei quale trova posto proprio l'opera di Avogadro.
In un processo durato quasi due secoli si succedono tante figure: se Robert Hooke (1635-1703) scopre che l'aria è composta da una parte nitrosa capace di reagire (l'ossigeno) e una parte inerte (l'azoto), Joseph Louis Gay Lussac (1778-1858) deduce che l'acqua è formata da due parti di idrogeno e una di ossigeno, mentre Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794) comprende che il fuoco è il risultato di una reazione di combustione e formula la legge della conservazione della massa. A questo punto la nascita della teoria atomica di John Dalton (1766-1844) appare come una naturale conseguenza: secondo lo studioso, la materia è composta di particelle molto piccole e gli atomi di elementi differenti si combinano a formare i composti chimici. In questo periodo rimane tuttavia incompresa la differenza tra atomi e molecole. Ed è proprio qui che si rivela il contributo di Avogadro con la sua legge che sostiene che «volumi uguali di gas, alla stessa temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole» e che viene pubblicata nel 1811 sul «Journal de Physique». Questa implica che le relazioni tra i pesi di volumi identici di gas differenti (a temperatura e pressione uguale) corrispondono alle relazioni tra i rispettivi pesi molecolari. Quindi, i pesi molecolari relativi possono essere calcolati dal peso dei gas stessi. Questa legge fornì lo strumento per risolvere in modo definitivo la confusione tra atomi e molecole e tuttavia la scoperta, sebbene destinata a divenire uno dei pilastri della chimica moderna, non ricevette subito attenzione. Solo al congresso di Karlsruhe, nel 1860, venne riconosciuto il suo valore. Le ragioni di questa «disattenzione» sono molte, ma è probabile che siano anche legate all'origine periferica di Avogadro rispetto ai suoi interlocutori e competitori europei. Questa realtà non può non accrescere l'ammirazione per il suo genio, universalmente riconosciuto dal «Numero di Avogadro», dato al numero di molecole contenuto in una massa in grammi numericamente pari al peso molecolare. Questo valore, com'è stato verificato da misure accuratissime in epoche successive, è uguale per tutte le sostanze. In accordo con la sua legge.
“Tuttoscienze – La Stampa” 19-10-2011
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