21.6.12

Caruso come Armstrong. Un museo a Lastra a Signa (di Simona Frasca)


Enrico Caruso
Da "alias" recupero questo articolo assai ben costruito che riesce a dar conto di molte cose: la casa-museo a Bellosguardo, la vicenda umana e artistica di Enrico Caruso, il suo significato nell'America del primo Novecento, il fascino perenne della voce fonografica di un vero precursore.
Articolo da leggere e museo da visitare, non solo da parte degli appassionati del bel canto. (S.L.L.)
Caruso visto da Caruso
Il 25 febbraio scorso, nel giorno del compleanno di Enrico Caruso nato a Napoli nel 1873, a Lastra a Signa – a un passo da Firenze - ha aperto ufficialmente la sua attività il primo, almeno a memoria, museo italiano dedicato al tenore, in un luogo a lui particolarmente caro.
Si tratta della Villa di Bellosguardo edificata su uno dei colli più suggestivi dell’area fiorentina, una struttura di singolare bellezza di impianto cinquecentesco circondata da 8 ettari di parco. La villa fu una delle ultime dimore italiane del tenore, acquistata nel 1906 è rimasta proprietà della famiglia Caruso, del figlio Rodolfo e del fratello Giovanni, fino al 1926 cinque anni dopo la morte dell’artista. Dopo vari passaggi, nel 1995 il Comune di Lastra a Signa la acquistò dalla famiglia Gucci e da quel momento è cominciato il lungo e laborioso cammino per la costituzione del museo.
«Il primo nucleo del museo – ci racconta il direttore Claudio Rosati - si è formato grazie a una raccolta di cimeli dell’Associazione Enrico Caruso di Milano. Tutti gli appassionati sanno bene che Caruso era un grafomane, un produttore di documenti di ogni tipo, lettere, caricature, vignette e un grande collezionista di monete d’oro, orologi, opere d’arte. Questo è stato il punto di partenza per la nascita del nostro museo che raccoglie questo genere di materiali. Abbiamo in esposizione circa 400 reperti ma contando quelli presenti nei depositi arriviamo a circa 2000 documenti appartenuti o prodotti dal tenore. Questo per dare indicativamente un’idea del grande patrimonio lasciato in eredità da Caruso».
Che il tenore napoletano fosse, oltre che un grande artista e uno dei più notevoli interpreti dell’opera verista italiana, un esperto vignettista capace di disegnare con pochi tratti eccellenti caricature che ritraevano tutti i personaggi noti e meno noti che gli capitassero a tiro era cosa diffusa soprattutto nella comunità italoamericana di inizio Novecento. “La Follia” di New York, il foglio circolante tra gli emigrati in quel periodo, è un tesoro in questo senso giacché su quelle colonne Caruso esprimeva il suo guizzo di ironico ritrattista ogni settimana. La sua opera fu fondamentale per promuovere l’integrazione dell’italiano nel contesto americano, egli costituì un supporto importante nel veicolare l’immagine positiva del meridionale emigrato a New York. Per semplificare si potrebbe dire che la sua figura sta alla comunità italiana un po’ come quella di Louis Armstrong sta a quella afroamericana. Erano ambedue esempi virtuosi dei rispettivi contesti etnoculturali di appartenenza e utilizzarono la musica come percorso di emancipazione, una testa d’ariete che negli anni servì a valutare sotto una nuova luce la questione razziale in un’epoca in cui i linciaggi erano eventualità assolutamente non remote tanto per i neri che per gli italiani.
Toscanini visto da Caruso
Il volto solare, fiducioso e rassicurante di Caruso era utilizzato sulle riviste e sui volantini della comunità italiana in America per sponsorizzare ogni tipo di prodotto italiano, dalla pasta al caffè, dall’olio ai giornali, senza tralasciare, come è ovvio, i grammofoni e i dischi. Il tenore napoletano fu la prima star proveniente dal mondo dell’opera a vendere un milione di dischi con l’aria Vesti la giubba da I pagliacci.
L’altro grande elemento di attrazione del museo è costituito proprio dalla ricca collezione di grammofoni e di fonografi la cui tecnologia nella storia della cultura occidentale si sviluppa di pari passo con la carriera del tenore. «Abbiamo costruito il percorso del museo - continua il direttore - come un racconto biografico. All’ingresso c’è un busto di grande pregio che ritrae il tenore. Un’opera di Filippo Cifariello, scultore formatosi nella temperie del verismo e della scuola napoletana di Vincenzo Gemito e noto per le sue terribili vicende familiari culminate con l’uxoricidio della prima coniuge. Ci si inoltra poi nelle stanze della villa che raccontano la vita ricca, turbolenta, a volte anche infelice di Caruso. Tra di esse quella forse più bella è la camera arredata con il letto realmente appartenuto al tenore, acquistato nel 1979 per la cifra di 450mila lire. L’idea dunque è quella di narrare una biografia ma anche di illustrare la costruzione di un mito. A seguire c’è la sala da musica quella nella quale Caruso si esercitava quotidianamente con il pianoforte, qui sono presenti alcuni costumi di scena tra i quali quello del celebre Canio da I pagliacci di Leoncavallo. In tutto il museo sono stati posizionati degli attivatori sonori che diffondono a discrezione del visitatore ascolti tratti dall’ampia discografia del tenore. L’obiettivo è di implementare questo aspetto sonoro della villa costituendo una vera e propria sala di ascolto e continuando il progetto nato insieme al Centro Paganini di Genova che ci ha già fornito la sua competenza per questa prima fase di sonorizzazione. Le iniziative che stiamo attivando in questi mesi sono di vario tipo e considerando che siamo un museo a «euro zero» cerchiamo di mettere in piedi delle proposte che partendo dal nome del tenore promuovano il museo come modello culturale con alcuni percorsi che abbiamo intitolato "Dietro le quinte", la musica con il laboratorio ludico sulla voce per ragazzi, l’esplorazione del parco e delle zone circostanti attraverso l’acquisizione di una mappa che disegni tra l’altro percorsi arborei e botanici, perché la Villa Caruso è un luogo di gran pregio anche sotto questo aspetto. Caruso racconta un mondo particolare che spesso entra in contatto con il territorio, alcuni raccontano per esempio di come abbia messo a disposizione la sua abitazione durante i moti agricoli di inizio secolo. Al di là di questi aspetti Caruso resta un artista. Non è stato un grande tenore ma il tenore per eccellenza che sopravvive ai suoi contemporanei perché come spesso mi raccontano i suoi estimatori è l’unico della sua epoca che si può continuare ad ascoltare mentre l’evoluzione dello stile operistico ha offuscato le altre voci che non hanno saputo reggere la sfida del tempo».
Caruso fu interprete innovativo, stravagante, intelligente e curioso. Il rapporto costante tra scrittura e oralità che determina la cifra specifica della produzione musicale legata al canto in Campania, luogo dal quale proveniva fisicamente e idealmente, costituisce un aspetto nodale dell’attività di Caruso che resta una figura esemplare capace di saldare quel principio di circolarità tra cultura alta e bassa della musica e di consegnare alcune importanti esperienze della tradizione italiana in lingua e in dialetto all’immediato futuro che fu quello della musica registrata e amplificata con l’intermediazione dei microfoni e la riproduzione fonomeccanica, cioè in parole povere l’industria musicale.
In una intervista rilasciata nel 1917 a un rappresentante della casa discografica Victor Talking Machine rivelò: «Mi piace incidere dischi ma non mi diverto. Come potrei? Lo temo più della recita più impegnativa, perché tutto deve essere assolutamente perfetto, la perfezione di un perfetto meccanismo. Io devo essere il cuore, l’anima, il sentimento di quello che canto e devo essere anche un artista. Vorrei che quelli che non mi hanno mai sentito in teatro non si limitassero a comprare solo uno dei miei dischi. Per giudicarmi, dovrebbero averne almeno tre o quattro, o anche più. Vorrei che mi ascoltassero nelle parti pesanti e leggere, nel repertorio lirico e nel drammatico e così sarei contento. Sono fiero che la mia voce non andrà mai perduta, e ho anche un po’ di paura. Diventare una tradizione è una grave responsabilità, vero?».
Per tutti questi aspetti che furono frutto in parte del destino e in parte del suo talento, Caruso fu sicuramente la prima «media star». E forse questo è uno dei motivi che rendono la sua voce ancora profondamente emozionante e il suo Canio intenso, e lo collocano lontano da stereotipi compassionevoli nonostante quell’abito da pagliaccio.

"alias - il manifesto" 9 giugno 2012

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