17.6.12

Il dialetto sdoganato. Ovvero la forza della minchia (da Tano Gullo)

Da un articolo di cronaca culturale di Tano Gullo, dall’edizione palermitana di “Repubblica”, riprendo la parte meno cronistica, cioè meno legata al tempo della pubblicazione. Vi aggiungo, a mo’ di appendice, il testo di una mia sbracatissima e brevissima canzoncina. Quando m’è accaduto di cantarla nelle cene sociali, m’hanno guardato tutti male. Chissà perché. (S.L.L.)

Minchia, organo sessuale maschile, etimologicamente da “mentula”, piccola mente. Come se a pilotare i nostri istinti fosse una seconda mente brada, che affianca quella tout court, "sede" della conoscenza e della razionalità.
Minchia è uno dei circa ventimila lemmi del Vocabolario etimologico siciliano del linguista Alberto Varvaro che verrà presentato stamattina alle 10 allo Steri in apertura del convegno sul tema Storia del lessico siciliano organizzato per celebrare i sessant' anni del Centro di studi filologici e linguistici siciliani.
Ad animare gli incontri, oltre a Varvaro, la hit parade dei linguisti: Francesco Sabatini, Tullio De Mauro, Max Pfister, Wolfgang Schweickard, Pietro Beltrami e Giovanni Ruffino, presidente del Centro e coordinatore dei due giorni di studi. «La pubblicazione del vocabolario è un avvenimento culturale di grande spessore per l' Isola - dice Ruffino - Varvaro, che ha lavorato all' opera per circa un trentennio, aveva pubblicato la prima parte fino alla lettera "elle" negli anni Novanta e ora ha consegnato le bozze di un unico volume che ingloba il testo precedente e la seconda parte. Il testo sarà stampato entro il 2012. Al convegno presenteremo un estratto con alcuni lemmi della lettera "enne"».
Ma entriamo nel merito dei contenuti.
Per tornare a "minchia", diciamo che è la parola emblema dello sdoganamento definitivo del dialetto siciliano. Oramai, diventata patrimonio nazionale, viene usata come intercalare in letteratura e in televisione da scrittori comici e gentili intrattenitori. Non solo l'Italia si è appropriata del vocabolo, ma anche della gamma di inflessioni che ne incanalano il significato nell' uso desiderato: stupore, disapprovazione, entusiasmo, impropero, stupore e tante altre sfumature d'umore. Ormai ha la stessa forza di parole passepartout come "pizza", "ciao", "mamma", "maccheroni". E come queste prima o poi varcherà i confini nazionali…
«I grandi autori a cavallo tra Ottocento e Novecento - dice Ruffino facevano un uso inconsapevole del dialetto, interessati com'erano a rimarcare di più l'ambientazione siciliana. Come se il vernacolo venisse quasi nascosto tra le pieghe della narrazione. La novità dell' ultimo ventennio è che il dialetto, non solo è diventato struttura portante del racconto, ma viene ostentato come un punto di forza». L' uso del dialetto siculo è cambiato nell'ultimo secolo: fino agli anni Ottanta il cinema proponeva un siciliano caricaturizzato, modellato sulle inflessioni catanesi, oppure si affidava alla gustosa sguaiataggine di Franchi e Ingrassia. Con qualche eccezione, come la raffinata ironia di Pino Caruso o il magnetismo del grande Turi Ferro.
Oggi, spazzati via distorsioni e forzature, il siciliano sale con la schiena dritta sui palcoscenici televisivi e teatrali e si insinua in tutta la sua genuinità tra le pagine di tanti, forse troppi, romanzi polizieschi e non solo… Un salto di qualità non indifferente. Oltre a Camilleri, molti artisti, Fiorello in testa… Spalleggiati dai loro colleghi continentali, come Maurizio Crozza e Luciana Littizzetto, che hanno adottato e sdoganato l' intercalare siciliano…

“La Repubblica” – edizione siciliana, 09 dicembre 2011

Appendice cantabile (di S.L.L.)
Minchia, minchia, minchia,
che tu mi succhierai voracemente.
Minchia, minchia, minchia
che io ti ficcherò come un serpente.
Minchia, minchia, minchia,
che poi s’ammoscia inesorabilmente
e si nasconde
nelle mutande
per non farsi vedere dalla gente.

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