Generazione TQ (trenta - quaranta) è un movimento di lavoratrici e lavoratori della conoscenza che produce analisi e pratiche di lotta su un vasto campo di attività che va dalla scuola all’editoria, allo spettacolo. Alcuni dei suoi membri hanno prodotto sul finire del 2011 una penetrante analisi sulla sempre più diffusa autoproduzione di libri, una pratiche editoriali solo all'apparenza «democratica», giacché e è la disponibilità economica a produrre le condizioni per il «sì» alla pubblicazione, in un contesto nel quale gli editori danno le loro dimissioni intellettuali, senza dimettersi dai loro profitti. (S.L.L.)
Enzo Patti, Rombo |
Metamorfosi in corso nel mondo dell'editoria.
Il self-publishing.
di Andrea Libero Carbone, Alessandro Raveggi, Vanni Santoni, Giorgio Vasta
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Una premessa: la locuzione self-publishing di per sé è neutrale. Il self-publishing altro non è, o almeno dovrebbe essere, che autoproduzione, premessa di una diffusione dal basso e con i propri mezzi, in autonomia e indipendenza. Oggetto di questi nostri appunti è invece la dimensione etica, economica e culturale di quella che chiameremo «pseudoeditoria». Per pseudoeditoria intendiamo quell'attività di self-publishing che maschera l'autoproduzione, offrendo servizi di stampa, promozione, distribuzione e a volte addirittura di community, a pagamento.
Meccanismi di selezione
La pseudoeditoria può essere divisa in due grandi filoni: la vanity press, dove all'autore viene richiesto un contributo per la pubblicazione, sotto forma di denaro o acquisto di copie, e il print on demand, dove vengono stampate solo le copie via via ordinate, ma l'autore paga per i servizi aggiuntivi, oltre che per le copie che vuole per sé. Lo stesso oggetto d'impresa delle entità pseudoeditoriali appare immediatamente contraddittorio: se il lavoro dell'editore consiste nell'acquisire dall'autore, contro il pagamento di un compenso, il diritto di trasformare la sua opera in un libro da vendere al lettore, il lavoro dello pseudoeditore consiste invece nell'offrire all'autore, contro il pagamento di un compenso, la possibilità di sottrarsi al criterio di scelta, nell'illusione di poter raggiungere direttamente il lettore. Poiché peraltro il costo dei servizi in questione è relativamente elevato, e in ogni caso supera il costo industriale della realizzazione del medesimo libro da parte di un editore, si innesca un meccanismo di selezione censuaria: non più (non mai) basata sul valore dell'opera, bensì sulla mera disponibilità finanziaria dell'autore-cliente. Se l'opera di selezione svolta dall'editore richiede una quantità di «no» pronunciati drasticamente superiore a quella dei «sì», nel caso dello pseudoeditore siamo invece di fronte a un soggetto che, a pagamento, dice sempre di sì.
A partire da queste premesse, portiamo a esempio due casi diversi ma sintomatici di uno scenario culturale in complessivo mutamento, ovvero Albatros/IlFilo, una delle principali vanity press, e ilmiolibro.it, leader del print on demand in Italia.
Nel primo caso ci riferiamo a un episodio in particolare, ovvero all'incontro, disponibile su YouTube, organizzato nel maggio del 2010 all'interno del Salone del Libro di Torino, al quale partecipano Andrea Malabaila di Las Vegas Edizioni, Linda Rando di Writer's Dream e Giorgia Grasso, direttrice editoriale di Albatros/IlFilo. Il tema discusso è per l'appunto quello dell'editoria a pagamento. Malabaila e Rando affrontano la questione criticamente, Grasso ne ribadisce il senso e la supposta necessità «democratica». Via via che la conversazione va avanti ci si confronta con la declinazione di un paradosso. Rando interviene descrivendo una specie di scherzo-esperimento. Insieme ad altre persone ha costruito un brogliaccio composto di testi prelevati semicasualmente dalla rete, ha dato loro la forma di un manoscritto e l'ha spedito a Albatros/IlFilo. In risposta, nel giro di poco, ha ricevuto una proposta di contratto. Ovviamente a pagamento. Svelato lo scherzo ci si aspetterebbe da parte di Albatros/IlFilo l'ammissione di un errore di valutazione, o meglio il riconoscimento di una non valutazione e dunque dell'automatismo che conduce quell'editore a contrattualizzare ogni testo ricevuto. Invece Giorgia Grasso non si perde d'animo, ignora il livello di realtà che si è generato e risponde allo svelamento dello scherzo dicendo a Linda Rando che varrà la pena parlarne, di quel testo, perché potrebbe contenere del buono. Lo pseudoeditore arriva quindi a ipotizzare che il non testo che ha ricevuto (un assemblaggio di copia e incolla dalla rete, volutamente insensato) da un non autore dichiarato possa essere interessante e pubblicabile. All'apparenza ci sarebbero tutte le premesse per immaginare una migrazione di ognuno di questi elementi verso un piano virtuale e inoffensivo, verso il nonsense, ma le cose non stanno così. Dal momento che all'interno di questo nonsense si produce una transazione economica, fra l'altro cospicua, non possiamo permetterci di pensare che la situazione descritta sia il frutto di un immaginario ioneschiano: è tutto profondamente reale e il nonsense, piuttosto che arginare la transazione economica, ne determina le condizioni.
Il secondo caso emblematico è quello di ilmiolibro.it, un fenomeno simile nelle modalità, ma in realtà non assimilabile, a iniziative del passato recente, come lulu.com. I numeri di ilmiolibro.it, i termini della sua promozione, il fatto di essere un progetto del Gruppo Repubblica-L'Espresso, le partnership con Feltrinelli e Scuola Holden, ne fanno qualcosa che per la prima volta trascende i confini di un fenomeno di settore per configurarsi come parte di un mutamento culturale più ampio. In sostanza ilmiolibro.it «fa» comunità: lo fa innanzitutto attraverso una quantità numerica impressionante e un sito attrezzato alla bisogna, ma anche con una selezione accurata dei toni e dei modi attraverso cui «comunicarsi» - anche in senso eucaristico, oseremmo dire - al suo pubblico: «Se l'hai scritto, va stampato»; «ilmiolibro.it cambia le regole dell'esordio letterario in Italia»; «Se non credono che tu sia un vero scrittore, portali da Feltrinelli».
Leggendo con attenzione la comunicazione di ilmiolibro.it, ci si rende conto che il gruppo Repubblica-L'Espresso, Feltrinelli e Scuola Holden puntano su una specie di strategica «deterritorializzazione» della loro iniziativa: ilmiolibro.it è un progetto «buono» e privo di luogo, incollocabile, che si limita a fare del bene, a soccorrere, dialogando direttamente con una tipologia di, chiamiamolo così, «autore-editore» rassicurandolo sulla sua identità: non sei più il povero diavolo costretto a pubblicarsi da solo, non devi considerarti tale: sei a tutti gli effetti uno scrittore, partecipi a un concorso tra tuoi pari e magari lo vinci e vieni pubblicato da Feltrinelli. Sei un parlamentare della «repubblica delle lettere», e non importa che tu ti sia autoeletto tramite il versamento di un obolo. Insomma: una buona allucinazione di realtà - un'allucinazione sorridente e rassicurante - è preferibile alla realtà tout court, solitamente più frastagliata, complessa e delusoria. ilmiolibro.it (ma anche, in modo diverso, gli editori di vanity press) sembrano dire: perché lavorare duro e migliorarsi per tentare di giungere a una pubblicazione che potrebbe non arrivare comunque, quando si può pagare per ottenere in modo certo qualcosa di molto simile, se non uguale?
Una comunità di narcisi
È per questa ragione - perché le due cose non sono uguali, e nemmeno simili - che è necessario indurre il fenomeno medesimo a territorializzarsi, a riconoscere le sue contraddizioni. Ciò che infatti più preoccupa nella pratica pseudoeditoriale, è il suo travestimento, non solo da editoria, ma anche da agente di democratizzazione di pratiche editoriali, con quello che ne consegue. Nella pseudoeditoria, oltre alla destituzione delle agenzie di scelta e valutazione, si avverte la possibile creazione di una comunità narcisistica di uguali, tali solo per censo e potere economico, che accedono previo pagamento a un astratto ruolo autoriale. Nella comunità pseudoeditoriale ci si affida solo al rating, al consenso cieco da consumatore, o alle proprie disponibilità e capacità autopromozionali, tanto che sarà «necessario che l'autore si metta in gioco, che costruisca la sua platform online, che abbia un seguito sui blog e sui social network» (Giuseppe Granieri, La via del self-publishing, «Il Mulino», 5/11). Un meccanismo che non solo getta discredito sulla già pericolante realtà dei lavoratori editoriali (editor, curatori, traduttori, direttori di collana, uffici stampa), ma provoca la creazione di una comunità informe e debole dal punto di vista dell'autocritica, non tanto appiattita dal punto di vista del gusto quanto impossibilitata a educare gli stessi partecipanti alle proprie capacità e ai primi limiti da superare.
La democratizzazione virtuale potrà sembrare liberatoria per quei lettori e scriventi che spesso rimangono indignati da un dilagare di letteratura mediocre e instant anche in quelli che una volta erano considerati «editori di livello», oppure da tutti coloro che percepiscono, a volte a ragione, il meccanismo di selezione editoriale come oscuro o arbitrario. Ma non crediamo proprio, con l'avvento della pseudoeditoria di nuova generazione, di essere di fronte a un '48 dell'editoria, che ne liberi le possibilità latenti e le pluralità spesso messe in difficoltà dallo stretto legame produzione-distribuzione: siamo piuttosto di fronte alla creazione di una comunità dell'assenso (acquistabile), che non prevede il dissenso, la scelta, il confronto, il «no» utile alla maturazione. Si risponde cioè a una possibile, e magari fruttuosa, critica delle pratiche di valutazione editoriale, sbaragliando il campo dialettico e puntando sulla carenza «affettiva» e di visibilità del consumatore, che diviene auto-produttore dei propri (virtuali) quindici minuti di celebrità a dispetto di coloro - gli editori tradizionali - che gli hanno detto «no».
«Se l'hai scritto, va stampato» è il claim di ilmiolibro.it. Ovvero: se sei in grado di compiere un'azione elementare - compilare una serie di spazi con dei segni alfabetici - ciò che hai scritto può guadagnarsi una concretezza oggettiva simulando la forma-libro. In questo modo «anche tu» sarai autore (e «anche tu», teniamolo presente, è il totem di questa comunicazione). Tale claim nasconde la precondizione essenziale - la disponibilità a una transazione economica, l'acquisto del sì - in filigrana: la trasforma in un sottinteso. Un non detto che è però imprescindibile. Il percorso che conduce chi ha scritto qualcosa a essere percepito come autore prevede, quasi come un dettaglio, che lo scrittore sia anche il proprio editore.
Lo scenario che si configura è quindi quello in cui la disponibilità economica produce le condizioni per il sì ed espelle automaticamente il no. Considerato che il no è qualcosa che può provenire da quelle agenzie di senso, fondate su studio e competenza, che sono gli editori tradizionali, quella che si va definendo è una loro progressiva dismissione. Nella pseudoeditoria, gli editori danno le loro dimissioni intellettuali, ma non si dimettono dai loro interessi economici: non svolgono più il ruolo di un servizio finalizzato allo sviluppo di una capacità pubblica, ma di un servizio d'accesso a una casta a pagamento. «Diventa anche tu un autore», in una preoccupante rincorsa a una società di individui che agognano ruoli prestabiliti più che capacità riconosciute, etichette più che servizi, acquisizioni più che apprendistati.
E tanto più preoccupante è vedere come ilmiolibro.it stia facendo scuola: se il gruppo Gems organizza già da due anni il concorso «Io Scrittore» (nella cui prima edizione, oltre 1500 libri sono stati sottoposti al vaglio dei partecipanti, che, investiti del doppio ruolo di autore e di critico, hanno espresso più di 20.000 giudizi, fino alla pubblicazione di 25 opere in e-book e di 6 in edizione cartacea), Roberto Cavallero, direttore generale libri Trade del gruppo Mondadori (su «Prima Comunicazione» n. 419) la mette in questi termini: «Il self-publishing, l'autopubblicazione, è un elemento fondamentale, imprescindibile per gli editori. Un tempo pubblicarsi da solo un libro, pagando di tasca propria, era una cosa da poveretti, roba un po' triste. Oggi è fondamentale. Ma non basta fare un sito con su scritto: 'Autopubblicatevi!'. Bisogna costruire modi diversi di self-publishing e noi li stiamo studiando. Tra qualche mese vedrete delle sorprese... Nel prossimo futuro, un editore che non sarà coinvolto nel self-publishing non avrà autori Il punto è creare una comunità di lettori/scrittori che definisca un sistema di rating stabilendo ciò che vale. Ci sono case editrici come HarperCollins, Penguin e Random House che lo fanno. C'è Amazon, c'è Google+».
Scelte trasparenti
Quali sono allora le alternative per chi ha il legittimo desiderio di pubblicare quel che ha scritto, e vuole farlo in modo autonomo e indipendente? Il sistema editoriale viene spesso percepito da chi ne è fuori e vorrebbe entrarci come una roccaforte inaccessibile, governata da meccanismi imperscrutabili e retta da cerchie chiuse.
Generazione TQ propone innanzitutto una rivendicazione del lavoro editoriale come scelta intellettuale trasparente, invitando gli editori a pubblicare sui propri libri il nome di chi ha diretto la collana, di chi ha letto, scelto ed editato il libro, così da contribuire a sgomberare il campo editoriale da quei dubbi, e da quel mito di inaccessibilità, alla cui ombra prospera la pseudoeditoria.
Dall'altro lato, rivendichiamo la bontà della pratica reale di autoproduzione come modalità di accesso alla «vera» repubblica delle lettere: oggi esistono innumerevoli strumenti per un'onesta autopubblicazione, e ancor più ne esistono per far conoscere il proprio lavoro a un pubblico virtualmente illimitato: blog, social network, riviste underground, comunità di lettori, sono gratuiti e liberi banchi di prova, mentre i servizi della pseudoeditoria costano caro e sono generalmente erogati da una divisione specifica dei più grandi gruppi editoriali. Certo, nel mondo reale la visibilità non si può comprare: farsi conoscere e apprezzare è il frutto di un lavoro lungo e paziente di diffusione e scambio. Si legge quel che altri hanno scritto, si partecipa a una discussione comune, si impara, si cresce e si mettono a disposizione le proprie conoscenze, insomma ci si mette in gioco. Solo a queste condizioni anche l'autoproduzione in ambito editoriale può essere uno spazio di innovazione e di resistenza. Come lo sono stati i samizdat o l'universo delle riviste e dell'editoria underground magnificamente interpretato da Angiolo Bandinelli, Roberto Iacobelli, Giovanni Lussu in Farsi un libro. Propedeutica dell'autoproduzione: orientamenti e spunti per un'impresa consapevole. O per una serena rinuncia (Stampa Alternativa 1990). L'alternativa al Diventa anche tu un Autore! è quella, forse meno accattivante ma di certo più vera del Prova anche tu a diventare un autore, lavorando e sfruttando i mezzi gratuiti a tua disposizione. Pubblicare un libro non è un diritto: lo è piuttosto avere interlocutori capaci di rappresentare un esempio, e un sistema di selezione che mostri le sue carte senza travestimenti.
“il manifesto” 30 ottobre 2011
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