16.6.12

La zia Teresina (di Andrea Zanzotto)

Per celebrare i novant'anni del poeta Andrea Zanzotto nello scorso autunno "Tuttolibri" ha diffuso una sua pagina di memorie familiari, da cui è tratto il brano che segue. (S.L.L.)
Ben volentieri mi addentro per un momento nella fitta selva di ricordi che mi si affacciano alla mente soltanto nel nominare mia zia, una delle più simpatiche e certamente dotata di una freschezza di intelligenza e di capacità di vita veramente rare; e mi soffermo sul suo ricordo rievocando anche insieme gli ambienti di quei tempi lontani della mia infanzia.
Non bisogna dimenticare che le zie avevano una grande importanza nella vita quotidiana delle famiglie; quasi in ogni nucleo familiare c’erano molte zie, le quali erano spesso degli esseri di singolare ricchezza umana, che dedicavano l’intera loro esistenza alla cura della famiglia, sembrando in teoria a carico della stessa mentre invece lavoravano praticamente gratis.
Questo lo so perché vedevo molti casi intorno a me. Nella nostra famiglia c’era un orizzonte di zie lontane, prozie, sorelle della nonna Marina, una che abitava a Refrontolo, un’altra che abitava a Mareno di Piave, un’altra che abitava a Marghera, anzi a Carpenedo. [...]
Ora, per venire alla zia Teresina, ricordo che ero un habitué della frequentazione di casa Bernardi, anche perché lo zio Cenci era mio padrino e la zia Teresina poi era un personaggio veramente unico per i suoi tempi. C’era uno strano rapporto, tra la nonna Marina e la zia Teresina, perché, entrambe bonarie, sostanzialmente, avevano però sviluppato quella certa tensione che non può mancare tra suocere e nuore, ma senza momenti pesanti.
C’erano, ogni tanto, dei piccoli screzi. Per esempio, la zia Teresina era considerata da tutti una donna molto intelligente, capace nel commercio, capace anche nella vita quotidiana; aveva un’allegria non smaccata ma continua: cioè, era raro vederla abbattuta. Pur avendo subìto terribili disgrazie, come la morte, in seguito a una caduta dalle scale, del piccolo Walther, il suo primogenito, che io ricordo benissimo, aveva sempre saputo tenersi su un tono di fedeltà alla vita. Rare volte l’ho vista abbattuta. Aveva una capacità di ripresa singolare.
Poi naturalmente, essendo una donna che guardava al futuro, aveva adottato anche certe abitudini che qui a Pieve sembravano audaci: ad esempio ricordo che fumava, e aveva delle belle sigarette, un bocchino, e lanciava anche dei buffi di fumo. Ecco, questo era un fatto, per esempio, che alla nonna Marina suscitava un certo senso di disagio, come a dire «in tempi moderni qua, cosa capita, persino una donna che fuma, e doveva capitare in casa qui a me!»
Ma non è che lo dicesse e neanche poi lo pensasse, in fondo; erano particolari in cui si sentiva questa differenza, insomma, perché la nonna Marina era una donna estremamente austera.
Io avevo due nonne, con caratteri notevolmente opposti, perché la nonna Marina era sull’austero, anche se piena di tenerezza e di riguardi di tutti i generi, e di passione proprio per i suoi nipoti. [...]
L’altra nonna, quella paterna, Angela, aveva invece un carattere piuttosto liberale, amava cantare, ad esempio, quindi erano due temperamenti molto diversi, anche perché la nonna Marina era proprio fedele interprete delle più rigide tradizioni del nostro paese. Veniva da una famiglia antica e rappresentativa come quella dei Bon e quindi legata proprio al concetto di austerità. Ora, questa autorità non diventava mai però rimprovero sgraziato, era tutta legata a un insieme di sfumature di disapprovazione appena lasciata intravedere, e quindi i colloqui fra la nonna Marina e la zia Teresina avevano anche queste punte, ma, insomma, in generale io vedevo che andavano d’accordo e che non c’era niente di particolare come urti o frizioni. [...]
Ora, uno dei momenti che si ripetevano spessissimo, più simpatici, era quando andavo a trovare la nonna e c’era anche la zia, e si stava lì a chiacchierare, e la nonna Marina mi chiedeva: «Cosa hai studiato oggi?» e allora io le rispondevo: «Ho studiato storia, ho studiato geografia ecc.» E lei continuava: «Raccontami quello che hai studiato». E io diligentemente cercavo di ripeterle, appunto, quello che avevo imparato, e la nonna lo ascoltava con doverosa ammirazione, perché a tutti i costi mi avrebbe messo sempre sopra un altare; e soprattutto mi interrogava sulla storia, e voleva sapere del passato, delle guerre, perché lei aveva sofferto molto, a causa del primo conflitto mondiale.
I suoi figli avevano dovuto tutti sopportare le terribili condizioni di vita della guerra: lo zio Napoleone, soprattutto, ma anche lo zio Ettore e in parte anche Cenci, ragazzo del ’99, erano stati coinvolti nel conflitto, e amava sentir parlare di storia, la nonna, proprio perché vedeva nella storia la crudeltà umana.
Anzi mi ricordo un curioso episodio: la nonna non diceva mai il re ma lo chiamava el stort cioè lo storpio, perché aveva ancora un conto in sospeso con il re Vittorio Emanuele III, reo di aver causato, secondo lei, e in fin dei conti è vero anche, l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale, che aveva costituito questo terribile pericolo per i figli e i disastri poi che avvennero e che si sanno.
Allora io parlavo di questi re antichi ecc. e la zia Teresina era sempre lì che ascoltava anche lei, e buttava in aria i buffetti di fumo, con un sorriso un po’ così, di vaga ironia, con un po’ di persiflage si direbbe in francese, come dire «Eh, ma tu le bevi tutte», voleva dir così col sorriso, e un giorno è uscita in una battuta veramente formidabile, che per me ha contato più di un intero trattato di storiografia. Dopo avermi ascoltato attentamente mi ha chiesto: «Ma ti ghe credeto proprio a tute ’ste storie qua? Se’ tu convinto che le sie vere?».
Era il tema che veniva dibattuto spesso, e io ho risposto: «Beh, sai, ci sono studiosi, professori che hanno studiato sui libri antichi, qua e là», e allora lei mi ha interrotto e ha detto: «Sta tento, ti satu cossa che capita dentro da Samartini?» e dire Sammartini, il feudatario del paese, appena al di là del Soligo, era come dire lì a due passi, in poche parole. «Mah, die, mi noe... no son... mai… ’ndat dentro, mi... no so niente de Samartini» ho risposto. «E allora», mi ha incalzato lei, «vedi, non sai niente, e lo ammetti tu stesso, di ciò che accade qui a Pieve adesso, e pretendi di sapere qualche cosa di quello che è accaduto migliaia di anni fa e a migliaia di chilometri di distanza».
Io rimasi come folgorato dalla verità profonda che c’era in questa espressione.

"Tuttolibri - La Stampa", 8 ottobre 2011

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