22.6.12

Coco Chanel e i nazisti. Nuovi documenti. (di Francesco Rigatelli)

Nome in codice Westminster, matricola F-7124. Ci sono perfino questi dettagli nel libro appena uscito negli Stati Uniti Sleeping with the enemy, Coco Chanel's secret war (A letto con il nemico, la guerra segreta di Coco Chanel).
La tesi documentata dal giornalista americano Hal Vaughan è semplice: la più nota stilista della storia francese era una spia nazista. Di voci sul suo coinvolgimento col Terzo Reich ce ne sono state tante ma questo libro prova particolari inediti. L'autore scrive che nel 1940, a 57 anni, Chanel è stata reclutata dall'Abwehr, il servizio segreto militare tedesco. Da quel momento per i nazisti è diventata Westminster, dal nome di uno dei suoi tanti amanti, il duca di Westminster. E per il nemico la stilista ha effettuato missioni in Spagna, in particolare nell'agosto del 1941 con il barone Louis de Vaufreland, incaricato dai tedeschi che occupavano Parigi di reclutare nuove spie.
Un duro colpo all'immagine di Coco Chanel, che ha sempre negato ogni collaborazione coi nazisti e annoverava tra i suoi clienti ebrei facoltosi come i Rothschilds. Eppure secondo l'autore solo grazie ai suoi contatti coi nazisti la stilista avrebbe potuto consolidare il controllo sulla sua società. In più, Coco lavorava con ogni mezzo alla liberazione del nipote André, imprigionato in un campo tedesco. Il nome di Chanel non è il solo finito nel frullatore dei presunti collaborazionisti francesi. Veri e propri monumenti nazionali come Edith Piaf, i fratelli Cartier, Jean Cocteau, Maurice Chevalier e Sasha Guitry sono stati infangati da simili accuse. Eppure, come adombra Vaughan, sarebbe stato difficile per Coco Chanel risiedere all'hotel Ritz occupato dai tedeschi senza la protezione dell'ufficiale playboy Hans Guenther von Dincklage: «Lui manipolava lei e lei manipolava lui. Non le interessava di Hitler o del nazismo, ma solo di vestiti e di affari», sintetizza l'autore.
Ma per capire come sia considerata ancora oggi Coco Chanel dalla Francia e dal mondo, bisognava entrare questo luglio, in piena settimana della moda, al Grand Palais di Parigi. Quel padiglione di vetro costruito per l'esposizione universale del 1900 tra gli Champs Elysées e la Senna, era stato trasformato dal designer di Chanel Karl Lagerfeld in una notturna Place Vendome (proprio quella dell'hotel Ritz) degli Anni 30. E al centro, tra signorine che sfilavano in colori scuri, in cima ad un obelisco di tulle e paillettes, svettava lei. Coco. E d'altra parte al Festival del cinema di Cannes, a fine maggio, Midnight in Paris di Woody Allen omaggiava proprio quegli anni d'oro della Francia e per farlo ne citava la stilista simbolo. Nel film, che in Italia esce a Natale, infatti la protagonista Adriana si reca a Parigi proprio per lavorare da Chanel. La interpreta Marion Cotillard. Una delle due attrici francesi del momento. L'altra è Audrey Tautou, protagonista del film Coco avant Chanel solo due anni fa. Perché le attrici sono da sempre una conferma del fascino della stilista. Da Marilyn Monroe che raccontava di dormire indossando solo due gocce di Chanel n. 5, ad Audrey Hepburn che perpetua il tubino nero inventato da Coco in Colazione da Tiffany e nei suoi continui seguiti. Come l'ultimo Un regalo da Tiffany di Melissa Hill, romanzo primo in classifica in Italia. Fisiologico che un siffatto mito non crolli facilmente, ma il lavoro di Hal Vaughan è costruito per provarci. L'autore ha lavorato a lungo nel Servizio informazioni degli Stati Uniti prima di diventare un giornalista basato a Parigi. Qui Vaughan si è appassionato alle storie dell'occupazione nazista, incappando pure in quella di Coco. Va aggiunto però che dopo la guerra la stilista, accusata di collaborazionismo, si trasferì in Svizzera e vendette tutto al socio, il finanziere ebreo Pierre Wertheimer, imparentato tramite la moglie coi banchieri Lazard. Tornata nel 1953, riacquistò le sue quote e rivaleggiò con l'astro nascente Christian Dior, arrivando a vestire col suo nuovo tailleur di maglia anche Jacqueline Kennedy. Su quanto accaduto durante la guerra resta così il mistero di un carattere contraddittorio: la stilista cedeva spesso ad espressioni antisemite ma al contempo prima e dopo la fine della guerra il suo principale socio fu sempre un ebreo. Anche per questo, Coco Chanel resta il simbolo della donna all'ennesima potenza.

“La Stampa” 22 agosto 2011

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