12.6.12

"Arbanazzu". Gli eucaliptus del latifondo (di Vincenzo Consolo)

In Uomini e paesi dello zolfo, un suo bel saggio del 1985 inserito nel volume  Di là dal faro (Mondadori 1999), Vincenzo Consolo ripercorre grosso modo l’itinerario che nel Gattopardo compie la famiglia del principe di Salina in viaggio da Palermo a Donnafugata e ricorda la gioia dei viaggiatori quando, nelle terre del latifondo, dopo tanta desolazione, vedono finalmente degli alberi: tre eucaliptus.
Consolo – a commento – riflette sulla funzione e il significato simbolico di quell’albero nel brano che qui riprendo. (S.L.L.) 
E’ l'eucaliptus, di cui parla lo scrittore, l'unico albero che s'incontra in quella distesa, solitario, in gruppi, in boschetti nelle valli e per i dirupi franosi, l'eucaliptus, quest'albero maligno e velenoso come un serpente, che "si trasforma in una vera e propria pompa vivente che, se in un primo momento può risultare utile a bonificare certi terreni acquitrinosi, finisce con il diventare poi un mostro insaziabile, capace di prosciugare in breve tempo sorgenti, disseccare falde sotterranee, depauperare il suolo sottostante..." scrive Fulco Pratesi.
L'eucaliptus diventa simbolo del gabelloto del feudo, del soprastante, del campiere, del picciotto, di quella gerarchia che, per delega del proprietario lontano, ha angariato il contadino, il bracciante, ha sfruttato il lavoro di questi e ha spogliato spesso il proprietario della terra; simbolo del gabelloto mafioso, come le alte, snelle palme davanti alle masserie, alle ville dei feudatari erano simbolo di proprietà e d'aristocrazia.

Postilla (S.L.L.)
Dalle mie parti l'eucaliptus porta un nome spregiativo, arbanazzu. Ignoro l'etimo, ma sospetto che in qualche modo si colleghi all'Albania, che di siffatti alberi è habitat fecondo.
Al mio paese si attribuisce a una figura mitica popolare, una via di mezzo tra il savio e il matto, la seguente invettiva pronunciata in una lingua ibrida, tra il siculo e l'italico: "Puh (vale il rumore dello sputo, ma non posso qui fare il gesto che integra e illustra il suono, n.d.r.), coffa di merda! Tu sei come quelli cosi che nascono come li rosi e muoiono come li macchi d'arbanazzo".    

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