18.7.12

Aldo Capitini, libero religioso e rivoluzionario nonviolento (Lanfranco Binni)


La ristampa di Religione aperta, introduzione e cura di Mario Martini, prefazione di Goffredo Fofi, Bari, Laterza 2011, nell’anno del cinquantesimo anniversario della “Marcia Perugia-Assisi per la pace e la fratellanza dei popoli” (1961), è un “atto” significativo della “compresenza” di Aldo Capitini, della sua “presenza aperta” nell’attuale crisi strutturale del capitalismo e dei suoi scenari.  I veri maestri agiscono in profondità e su tempi lunghi. Ed è proprio nei periodi di crisi e disorientamento che le loro insistenze si ripropongono urgenti e necessarie, da incontrare o ri-incontrare nella loro complessità.
Ascoltiamo Capitini: “Nel 1955 l’uscita del mio libro Religione aperta, messo all’Indice da Pio XII, segnò il punto di arrivo della Riforma religiosa da me impostata, riassumendone i temi e affidandola ormai alle posizioni del tutto personali di ciascuno”. Sono parole del 1968, tratte dallo scritto autobiografico Attraverso due terzi del secolo che Capitini consegna ai viventi alla vigilia della morte. Questo scritto, che dovrebbe essere continuamente riletto prima di avvicinare le pagine di qualsiasi opera di Capitini perché ne contiene una chiave di lettura complessiva, costituisce il bilancio ultimo di un’esperienza “religiosa” e “politica” straordinariamente coerente nei suoi fini e nei suoi mezzi, continuamente dichiarata nel suo percorso teorico e pratico.
Capitini ha iniziato a costruire la sua Riforma religiosa negli anni del Concordato del 1929 tra la Chiesa cattolica e la dittatura fascista, opponendo al fascismo la sua intransigente noncollaborazione (e per questo nel 1932 è stato cacciato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa), e alla Chiesa cattolica un puntuale e rigoroso lavoro di decostruzione della sua storia teologica e politica, dalle origini alla Controriforma alla sua condizione presente di strumento di potere al servizio delle classi dominanti e di educazione violenta delle classi popolari alla servitù volontaria.
Al fascismo Capitini, dal 1931 in poi, prima a Pisa e poi a Perugia, oppone un puntuale lavoro di formazione di giovani e giovanissimi ai valori dell’ “apertura” e dell’autonomia consapevole, innescando un processo di formazione di reti antifasciste che si svilupperanno soprattutto dal 1936, nella linea del “liberalsocialismo” (“una sintesi di libertà e di socialismo, criticando nel liberalismo la difesa dell’iniziativa privata capitalistica e nel socialismo vittorioso la trasformazione in statalismo non aperto al controllo dal basso e alla libertà di informazione e di critica per ogni cittadino, anche proletario”, ancora Capitini nel suo scritto autobiografico del 1968). Alla Chiesa cattolica oppone un geniale lavoro di decostruzione sul suo stesso terreno, per “portare il laicismo al punto di produrre la sostituzione di una nuova vita religiosa a quella tradizionale, derivante dalla Controriforma” (ancora Capitini 1968). Qui il discorso dell’ “apertura” si fa ancora più profondo, e investe la “realtà”, la condizione umana, la vita e la morte, sviluppando una concreta alternativa gnoseologica ed esistenziale che rilancia l’inconciliabilità di Michelstaedter e Leopardi, l’illuminismo di Kant, la tensione rivoluzionaria del marxismo, in una prospettiva, teorica e pratica, di autonomia dei singoli e di costruzione di una “realtà liberata”, oltre le semplificazioni dello storicismo positivistico e oltre l’idealismo gentiliano e crociano. La “realtà di tutti”, entrando in verticale nella complessità dei singoli e ponendo al centro la “relazione” tra il “tu” (oltre l’io) e il “tutti”, diventa per Capitini il fine e il mezzo della costruzione della “realtà liberata”. Questo terreno di indagine e costruzione è già aperto e detto nel primo libro di Capitini, Elementi di un’esperienza religiosa (1937), che orienterà la formazione e il lavoro del movimento liberalsocialista nella concezione di Capitini.
Perché scrive Capitini, che valore ha per lui la parola scritta e pubblicata? Scrive per dialogare con “tutti”, per creare collegamenti e relazioni, sviluppare processi. Sarà facile considerare i suoi libri (tutti i suoi libri) dei veri e propri manifesti per orientare la prassi. Nella scrittura dialogica (sempre) di Capitini confluiscono lo studio e la ricerca, e l’immediata comunicazione delle idee, delle “esperienze”, delle proposte, delle indicazioni per una concreta operatività, sempre “sperimentali”, che agiranno oltre e fuori dal libro. L’esperimento (parola chiave per Capitini) dei Centri di Orientamento Sociale tra 1944 e 1948, per la democrazia diretta, per il controllo dal basso, per il rovesciamento della piramide sociale attraverso un nuovo protagonismo delle classi subalterne, sarà il coerente sviluppo delle esperienze “religiose” (“più” che politiche) del libero religioso Aldo Capitini. E il suo liberalsocialismo, la sua Riforma religiosa, saranno radicalmente estranei a qualunque prospettiva di semplice ricambio della classe dirigente (sostituire alla classe dirigente del regime fascista una nuova classe dirigente borghese di liberalproprietari) perché la nuova democrazia non dovrà essere di pochi (dei soliti pochi) ma di “tutti”.
Non andrà così, e il dopoguerra riserva a Capitini nuove esclusioni (nel 1947 viene cacciato dalla sua città, Perugia, a cui ha dato tanto, come organizzatore di reti antifasciste nazionali, come direttore del giornale del CLN, come commissario dell’Università per Stranieri, come organizzatore dei COS; massoni e cattolici non gli perdonano la sua radicale opposizione, e i partiti della sinistra considerano irrilevanti i suoi esperimenti di democrazia diretta e di controllo dal basso). Ma il suo preteso “isolamento” non interrompe affatto il suo percorso di ricerca e costruzione. Anzi, negli anni successivi Capitini si fa “centro” (per costruire reti di “centri”) e intensifica il suo lavoro in alcune direzioni principali:
1. la Riforma religiosa, proseguendo la decostruzione dell’egemonia cattolica nell’Italia democristiana, intervenendo sistematicamente e pubblicamente contro “la religione di Pio XII” e gli attacchi confessionali alla libertà religiosa, alla scuola pubblica, alla Costituzione, opponendo i valori dell’ “apertura” di una realtà liberata anche dall’apparato mitologico della trascendenza, dalla paura della morte; su questo terreno la pubblicazione di Religione aperta (1955) segna davvero un passaggio fondamentale;
2. la “trasformazione della società, per cui […] ho piegato la politica, e l’interesse per me fortissimo per essa, alla fondazione di un lavoro per la democrazia diretta, per il potere di tutti o omnicrazia (come lo chiamo)”, ancora Capitini 1968, secondo un percorso teorico e pratico dichiarato nel volume Nuova socialità e riforma religiosa (1950), il libro più politico di Capitini, centrato sulle esperienze del liberalsocialismo e dei COS, e sugli intrecci tra religione e politica;
3. l’elaborazione della “compresenza” come terreno di massima apertura di soggettività in liberazione: una concezione dinamica della complessità dei singoli (viventi e morti, passato e presente, vita sociale e vita “a parte”); anche in questo caso è Religione aperta a segnare un passaggio decisivo dell’elaborazione teorica di Capitini, che sarà poi consegnata nel volume La compresenza dei morti e dei viventi (1967), il libro di tutta una vita;
4. l’elaborazione teorica e pratica della nonviolenza come fine e mezzo della liberazione dalle logiche di “potenza” e di dominio, per una nuova storia, non antropocentrica, dell’umanità. In Religione aperta la nonviolenza è declinata nelle sue ragioni e implicazioni: “la nonviolenza è lotta”, è Rivoluzione aperta, “ha un dinamismo tale che non può accettare il mondo com’è, ma porta tutto verso una trasformazione: l’umanità, la società, la realtà. Come strumento di conservazione del mondo, la nonviolenza è discutibile; come strumento di trasformazione in meglio, essa ha un valore inesauribile, appunto perché non fa modificazioni e spostamenti in superficie, ma va nel profondo, al punto centrale. […] Non accetta la realtà dove l’animale grande mangia l’animale piccolo; e perciò cerca di stabilire unità amore anche verso gli animali, appunto per iniziare il bene; non accetta la fortuna dei forti e dei potenti, e perciò tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la ricchezza privata, e perciò tende a costituire forme di federalismo nonviolento dal basso e forme di aiuto e reciprocità sociale e fruizione comune di beni sempre più larghe.”  
Nell’opera complessa, profondamente rivoluzionaria, di Aldo Capitini tutto si tiene e tutto si apre, con tenacia di pensiero e senso del processo, con inesausta insistenza; nella sua ultima lettera (24 settembre 1968) a Danilo Dolci, il “libero religioso e rivoluzionario nonviolento” (la sintesi è di Walter Binni, per l’epigrafe sulla tomba del maestro e amico fraterno) scrive: “I giovani del convegno a cui non ho potuto partecipare per via della malattia, non hanno considerato molto la mia proposta di presentarci alle elezioni regionali con una lista di “rivoluzione nonviolenta per la democrazia diretta”, non tanto per essere eletti, quanto per far conoscere la nostra posizione specialmente tra i giovani.”

"micropolis" novembre 2011

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