16.7.12

Stragi naziste. Senza memoria e senza giustizia (di Franco Giustolisi)

All’inizio di febbraio 2012 la Suprema Corte dell’Aja, ribaltando la precedente giurisprudenza, liberò lo stato tedesco dall’obbligo di risarcire le vittime del nazismo. “Il manifesto” affidò il commento della notizia a Franco Giustolisi, l’autore L'armadio della vergogna. Che nell’articolo sotto riportato invita a non dimenticare le responsabilità fasciste e dei governi italiani. (S.L.L.)

C'è da stupirsi della sentenza della Corte dell'Aja? Direi proprio di no. Il destino seguita ad accanirsi contro le vittime del nazifascismo, decine e decine di migliaia: bimbetti in braccio ai genitori, altri, ancora in fieri, strappati dal ventre delle madri con mani rapaci ed assassine, che poi si divertiranno a far bersaglio di quei corpicini. Vecchi ciechi irrisi e inseguiti fino alla mitragliata finale, una donna impalata perché non voleva consegnare, gentilmente, i suoi gioielli. Ricordate? Marzabotto, Stazzema, Fivizzano, Fosse Ardeatine, Capistrello, Turchino, Borgo Ticino ... e migliaia, migliaia, migliaia di nostri militari trucidati, fu detto a Norimberga dal pubblico accusatore, generale Taylor Ford, «nel modo più orribile di tutte le guerre moderne». Avevano obbedito agli ordini sia pure di un sovrano fellone, il terzo degli Emanueli di casa Savoia, e a quelli del suo altrettanto fellone compagno di fuga, ovvero Pietro Badoglio. Cercarono di resistere ma il duce li aveva mandati a morire senza armi e con le scarpe di cartone. Dovettero arrendersi. Bandiera bianca, alt, fermi tutti. Macché, Hitler voleva vendetta e sangue, fu lo sterminio. A Cefalonia, come a Lero, come a Coriza, come a Rodi ... Fu il destino ma con cervello e braccia umane. Erano uomini in carne ed ossa coloro che comandarono di nascondere i fascicoli delle stragi in quello che ho definito l'Armadio della Vergogna. E furono altri uomini coloro che eseguirono. Siamo tra il 1945 e il 1946, il presidente del consiglio era Alcide de Gasperi, fu lui a dare l'ordine. Non ci sono prove, le hanno fatte sparire, ma metterei ambedue le mani sul fuoco che andò proprio così.
Il procuratore generale militare era allora Umberto Borsari: signorsì, con tanto di battuta di tacchi, allora che i magistrati erano completamente soggetti al potere politico, avevano i gradi e la divisa. Il silenzio coprì la tragedia, la più grande subita dal popolo italiano e la più singolare al mondo. Sparirono i morti, sparirono i responsabili, e ai familiari non toccò altro che piangere, ognuno chiuso nel suo dolore, isolato completamente, ciascuno al corrente soltanto di quel che era avvenuto lì, non si conosceva il dramma collettivo, anche perché funzionò appieno l'arma dell'oblio.
Mezzo secolo dopo si conosceranno i motivi di questo atteggiamento. La Germania doveva riarmarsi in funzione anti-Urss, e se si fosse saputo di quel fango, addio sogni di gloria. E poi il nostro paese si era distinto nel gareggiare con i nazisti in competizioni d'orrore. Roatta, Robotti, Pilzio Biroli e tanti altri si distinsero, non in bellezza, nelle nazioni che il fascismo aveva aggredito. Per circa 800 di costoro era stata richiesta l'estradizione. No, stabilì il governo patrio, li processerò io, ma mentì. Comunque si chiuse la partita con un pari e patta: io non chiedo i nazisti a te tu non chiedi i fascisti a me. L'Armadio si scoprirà poi nel giugno del 1994 e chi, illuso, pensava che finalmente si sarebbe aperto il cammino per la storia, la memoria e la giustizia rimase, appunto, come meritava, cioè con un palmo di naso. In troppi fecero finta di non capire. Quelli del centrodestra conclusero che non c'era alcun disegno dietro l'occultamento di quell'Armadio: i magistrati del tempo, scrissero, si erano comportati così «per disattenzione» e altre «incombenze». Il centrosinistra, alla grande, decise di sostenere, contro ogni logica, che quell'Armadio - bontà loro ne ammisero l'esistenza - era stato ideato da un governo che poteva andare da un immediato dopoguerra agli anni '70.
Ma, per fortuna, sbucarono altri uomini, come i responsabili dell'Anpi di Roma che promossero una mobilitazione dal valore nazionale. Già, perché «fischia il vento, urla la bufera, scarpe rotte eppur bisogna andare ...», ma se non c'erano poveri cristi per un sorso di acqua, un bicchiere di latte, un rifugio di fortuna, magari tra le pecore, i partigiani, come sostiene ognuno di loro, non sarebbero neanche esistiti. E l'Italia, dopo lo schifo fascista, non avrebbe potuto tirar su la testa. Né dimentichiamo tra gli altri uomini d'onore i magistrati militari che, coadiuvati da due sottufficiali multilingue dei carabinieri, Sandro Romano e Franz Stuppner, gli uni e gli altri meritano tutta la nostra stima, sono riusciti a ricostruire un mosaico difficoltosissimo: quale era la formazione che quei giorni era vicina a Marzabotto, o a Stazzema, o a Fivizzano? Sì, ma quale reggimento, quali compagnie, e gli effettivi erano tutti presenti o qualcuno era in ospedale, qualcuno in licenza ecc.? Poi le rogatorie internazionali, condotte con tutti i crismi della regolarità. Come i processi e i tre gradi di giudizio fino alla sentenza definitiva. Il tutto con gli avvocati d'ufficio per coloro che erano sprovvisti di difensori di fiducia e alla presenza di un funzionario dell'ambasciata tedesca. Alla fine del 2010 gli ergastolani nazisti erano 21, io ne riporto l'elenco nella riedizione del mio libro, a fianco la strage per cui sono stati condannati. Ma sono liberi e tranquilli dato che la Germania fa orecchie da mercante. Ma ancor peggio l'Italia, molto peggio.

“il manifesto”, 4.2.2012

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