Importante sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo riguardo al suicidio dei detenuti. Per la Corte, il suicidio di un detenuto che abbia mostrato problemi psicologici e tendenze suicide costituisce da parte dello stato interessato una violazione dei diritti umani, in particolare dell'articolo 2 (diritto alla vita) e dell'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell'uomo ove l'amministrazione non abbia messo in atto adeguate misure di prevenzione e controllo a seguito di segnalazione del servizio medico competente. Il caso riguardava il suicidio in un carcere francese, per impiccagione, di un condannato ex tossicodipendente. I giudici europei hanno stabilito che lo Stato era venuto meno al suo dovere di una particolare attenzione ad impedire a un prigioniero vulnerabile di suicidarsi.
Il detenuto, in custodia cautelare nel carcere de La Santé (Parigi) con l'accusa di aggressione armata ripetuta nei confronti della sua compagna, questa volta con conseguente totale inabilità al lavoro per più di otto giorni. Il giorno successivo, essendo stato un tossicodipendente per diversi anni, gli fu permesso di vedere uno psichiatra del servizio medico e psicologico del carcere, e successivamente ha continuato a vedere lo psichiatra, una o due volte al mese. Dopo alcuni mesi veniva posto nel blocco di punizione in seguito ad un incidente con una guardia carceraria, ricevendo dieci giorni di sanzione disciplinare per insulto e spintoni ad un membro del personale. Lo stesso giorno, un medico gli prescriveva dei calmanti e fissava una consultazione per lui con uno psichiatra, scrivendo nella cartella che secondo le guardie l'uomo aveva già commesso due tentativi di suicidio. Successivamente lo psichiatra osservava che il detenuto non stava affatto bene e sembrava "In grado di mettere in atto le sue inclinazioni suicide".
Dopo la condanna a cinque anni di carcere e al confinamento in una cella disciplinare per un incidente con un altro detenuto, una mattina l'uomo è stato ritrovato impicato ad una barra della sua cella. I tentativi di rianimazione non davano risultati.
Le sorelle dell'uomo si rivolgevano alla Corte europea dei diritti dell'uomo invocando l'art. 2 (diritto alla vita), lamentando che le autorità avevano omesso di adottare misure adeguate per proteggere la vita del fratello quando era stato collocato nella cella disciplinare. Invocando l'articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), lamentavano poi che la sanzione disciplinare applicata al loro fratello era inadatta ad una persona nel suo stato d'animo.
La Corte aveva già sottolineato in precedenti casi che le persone in custodia si trovano in una posizione vulnerabile e che le autorità hanno il dovere di proteggerle. Ci sono misure generali e precauzioni disponibili per ridurre le opportunità di autodanneggiarsi senza violare l'autonomia personale. Infine, la Corte ha ribadito che nel caso di persone malate di mente è necessario prendere in considerazione la loro particolare vulnerabilità. Secondo gli esperti, visto il comportamento dell'uomo e le annotazioni degli psichiatri, è probabile che il suo trasferimento al blocco di punizione fosse avvenuto in un momento in cui il suo equilibrio mentale era già fragile.
La Corte doveva stabilire se le autorità avevano fatto tutto quello che ci si poteva ragionevolmente aspettare da loro per evitare il rischio di un nuovo tentativo di suicidio. La Corte ha rilevato una serie di carenze: nessuna notifica particolare era stata data al medico del competente servizio prima o al momento della decisione di mettere il prigioniero in una cella disciplinare, e non erano state date istruzioni di sorveglianza speciale per garantire la compatibilità della misura disciplinare con lo stato di salute mentale del detenuto. La Corte ha sottolineato che la Raccomandazione R (98) 7 del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa raccomanda che il rischio di suicidio debba essere sotto valutazione costante da parte del personale sia medico che di custodia. La Corte ha ritenuto perciò che le autorità abbiano fallito nel loro obbligo attivo di proteggere il diritto alla vita dell'uomo. Ne consegue che vi è stata una violazione dell'articolo 2.
Anche se secondo il parere degli esperti l'uomo non aveva nessun disturbo mentale o sintomi psicotici acuti o cronici, la sua storia di tentativi di suicidio, la sua condizione psicologica che i medici diagnosticavano come "borderline", e il suo comportamento estremamente violento avrebbero richiamato ad una vigilanza speciale da parte delle autorità, che avrebbero dovuto almeno consultare il suo psichiatra prima di metterlo nel blocco punizione, ed avrebbero dovuto tenerlo comunque sotto un adeguato controllo durante il suo soggiorno. La Corte ha ritenuto che la collocazione del prigioniero in una cella disciplinare per due settimane non era compatibile con il livello di trattamento richiesto per una persona con tali disturbi mentali. Di conseguenza, vi è stata anche una violazione dell'articolo 3.
La Corte, che ha deciso con il parere contrario di uno dei suoi membri, ha dichiarato che la Francia dovrà versare ai familiari ricorrenti 40.000 € totali per danno non patrimoniale.
La sentenza non è definitiva, poichè la Francia potrà appellarsi davanti alla Grande Camera, ma è importante per i principi enunciati, applicabili in tutti i Paesi firmatari della Convenzione europea dei diritti, fra cui figura l'Italia.
In Osservatorio sulla legalità e i diritti
http://www.osservatoriosullalegalita.org/
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