28.7.12

Venezia 1819: il misantropo domato. Schopenhauer & Teresa Fuga (Armando Torno)

Su un “Corriere” di qualche anno fa, Armando Torno, che è uno dei suoi massimi studiosi nel nostro paese, rievoca un amore italiano di Schopenauer, per certi aspetti sorprendente. Vi trova conferma un ignobile scherzo che talora si faceva sul suo cognome: era misantropo e forse anche misogino, ma scopare non gli dispiaceva. (S.L.L.)
Arthur Schopenhauer
Lui aveva terminato allora la sua opera più celebre. Lei sapeva a stento scrivere, nelle lettere lo chiamava «Scharrenhans»
«Le donne sposano gli uomini, mentre gli uomini, ahimè, non sposano che donne»
 «Con tanto piacere ricevei la tua letara sentindo che non ti sei dimenticato di me»

Il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer (1788-1860) non aveva un buon carattere ed era particolarmente geloso della sua vita privata. I cacciatori di sciocchezze sentimentali possono frugare a volontà nelle sue opere, ma da esse escono a mani vuote; riescono, caso mai, a trovare qualche frammento nelle lettere o nelle testimonianze dei suoi frequentatori. Fughe d' amore o perdite di senno non caratterizzeranno la vita del duro Arthur che molti suoi contemporanei, a ragione, hanno considerato un misantropo.
Schopenhauer ci ha lasciato, tra l' altro, alcune battute fulminanti che spiegano meglio di tanti discorsi quel che pensava del gentil sesso. Dal mazzo ne scegliamo una che regalò a una dama in un salotto, la quale cercò di metterlo in imbarazzo chiedendogli: «Sono più astuti gli uomini o le donne?». La risposta del filosofo non si fece attendere: «Le donne, perché sposano uomini; mentre gli uomini, ahimè, non sposano che donne».
Eppure questo pensatore che nel suo libro più divulgativo, i Parerga e paralipomena (c' è una traduzione in due volumi da Adelphi), confessò a chiare lettere di detestare i bambini strillanti, fu protagonista di una singolare avventura amorosa con una veneziana, tale Teresa Fuga. Per carità, non la si creda una storia romantica allo zucchero vissuta tra dichiarazioni quali «tu mi fosti scelta fra tutte»: il loro fu sostanzialmente un sodalizio sessuale di breve durata, perfettamente in linea con la visione che Schopenhauer aveva del mondo. La signora in questione, dal canto suo, non cercò di capitalizzare il sentimento. Il quale visse e si dissipò con rapidità, così come la natura si comporta con i desideri dei sensi.
Ma vediamo le cose con ordine. Bisogna innanzitutto ricordare che Schopenhauer frequentò diverse donne, anche se le indicazioni che restano sono misere. In Italia fu addirittura un sottaniere e in talune occasioni pare si sia spinto più in là del previsto.
Il consigliere governativo Eduard Krüger - conversava con il filosofo negli ultimi anni francofortesi - riferisce che il nostro «era stato fidanzato a Firenze con una donna di alto lignaggio, ma che aveva rotto il fidanzamento dopo aver appreso che costei era malata di polmoni». Di un proposito simile Arthur avrebbe parlato anche al commediografo Georg Römer. Tali notizie si leggono nei Colloqui (c' è un' edizione italiana, pubblicata da Rizzoli e curata da Anacleto Verrecchia). Ma è anche vero che in queste pagine si ricorda, dopo il racconto, la precisazione dello stesso Schopenhauer: «Una moglie non si confà a un filosofo». Tutte queste indicazioni potrebbero essere depistanti.
In una lettera indirizzata alla sorella Adele (talmente brutta che non riuscì a trovare marito), Schopenhauer parla di una storia simile ma la situa a Venezia; nel maggio 1819 ancora Adele scrivendo al fratello riparla della faccenda, dicendo tra l' altro: «Spero finisca bene - l' amata è ricca e di alto ceto e, tuttavia, pensi che vorrebbe seguirti?». Ma, pur credendo a questa storia, la donna in questione non poteva certo essere la ricordata Teresa Fuga, con cui Schopenhauer ebbe in comune il solo progetto di sfogare i sensi. Il perché si può facilmente dedurre leggendo un'altra lettera che questa veneziana invia ad Arthur nella primavera del 1819 per confermargli la sua disponibilità ad incontrarlo. La missiva è sgrammaticata sino al comico e persino il nome è sbagliato: la vispa Teresa la indirizza ad « Arthur Scharrenhans», probabilmente perché si era dimenticata il cognome vero. Ma è il contenuto dello scritto che dissipa ogni dubbio e rivela la disinvoltura di costumi della signora Fuga.
Dopo aver confessato che con «tanto piacere ricevei la tua letara sentindo che non ti sei dimenticato di me», Teresa invita Arthur a trascorrere un po' di tempo con lei, anche se ha un amico. Ma questi «va sempre via di venezia e non mi viene a trovare solo che qualche volta e poi sai domenica va in campagna e starà quindisi giorni e anche vinti».
L' amico, insomma, è fuori. Ma non manca un impresario che gioisce con la donna. Anche questi però sembra non dare fastidio: «raporto al impresario non lo o più e sono molto tempo che tengo questo altro». Probabilmente quest' ultimo non doveva costituire un impedimento perché merita una sola citazione e sembra innocuo. Certo, poi c' erano degli inglesi, ma dalla lettera deduciamo che anche i figli di Albione non ostacolano l' incontro: «inglesi scapati di nigeltera e venuti a venezia per disparazione non ne o de quei per far la amore».
Il traffico nella camera di Teresa aveva dunque una pausa e Arthur poteva recarsi per trasformare le sue teorie sul sesso in realtà. Per amor di precisione va ricordato che in questa lettera la Fuga aveva aggiunto una «Cansoneta venesiana» e un «Prendice», ovvero un brindisi d' amore.
Schopenhauer li trascrisse di propria mano in margine ai fogli «non solo in un italiano migliore, ma anche a rima baciata» (così puntualizza Verrecchia nelle note alla ricordata edizione italiana dei Colloqui).
Comunque andarono le cose - ci sembra superfluo precisare quel che successe nei giorni veneziani del filosofo - Teresa avrà l' onore di finire in un taccuino di Arthur. Della sua vita, oltre le disinvolte notizie ricavate dalla lettera, sappiamo quasi nulla: era nata a Murano il 31 luglio 1793 e non si sa nemmeno quando morì. Anche Rüdiger Safranski nella sua biografia Schopenhauer e gli anni selvaggi della filosofia (appena tradotta da Longanesi) isola questo amore dagli altri, riportandolo con una certa simpatia. Noi ci sentiamo di aggiungere che, dal punto di vista del filosofo, è anche il più vero, decisamente meno tormentato della relazione che ebbe con Caroline Medon, altra fiamma piuttosto vivace che comunque finì nel testamento di Arthur.
Va aggiunto che Teresa Fuga frequenta Schopenhauer dopo che questi ha consegnato il manoscritto de Il mondo come volontà e rappresentazione, la sua opera di riferimento (di essa è uscita da poco un' altra traduzione italiana nella Bur, a cura di Sossio Giametta). Nessuna meglio di questa veneziana poteva rappresentare la soluzione del problema dell' amore, così come è affrontato nei Supplementi a Il mondo: il sentimento che genera la vita è, nella visione schopenhaueriana, un inganno della natura utile soltanto per perpetuare la specie. Dopo di esso l' uomo «non si ritrova più felice di prima».
Certo, sull' amore si può ricamare quel che si vuole, ammantarlo di tutte le dolcezze del creato, ma quanto si legge nelle pagine del nostro filosofo è di un pragmatismo totale, sorretto da una logica ferrea: la bellezza eccita e l'interesse della specie si impadronisce di noi. L' innamoramento ha riempito intere biblioteche ma «per quanto etereo possa apparire, è radicato esclusivamente nell' istinto sessuale, anzi non è nient' altro che istinto sessuale più determinato, più specializzato, meglio individuato, nel senso più rigoroso del termine».
La soluzione? Schopenhauer la trovò in Teresa Fuga...

“Corriere della Sera”, 30 agosto 2004

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