14.7.12

Sessantotto. Il segretario del Pci, Luigi Longo, sul movimento studentesco.

Dell'articolo di Luigi Longo Il movimento studentesco nella lotta anticapitalistica, apparso su «Rinascita» del 3 maggio 1968, c’è già traccia in questo blog.
L’articolo era in qualche modo una continuazione del dialogo diretto instaurato con gli esponenti del movimento studentesco tra cui Oreste Scalzone. Fu pubblicato ad apertura di un «Contemporaneo», il supplemento monografico del settimanale del Pci, dedicato alle Prospettive delle sinistre, il 3 maggio. Ne riprendo qui alcuni dei passaggi più importanti. (S.L.L.)

Il movimento studentesco 
nella lotta anticapitalistica
di Luigi Longo
Intellettuali, studenti e rivoluzione
Nessuno può negare l'ampiezza e la profondità del movimento studentesco in Italia. Sulle sue ragioni e i suoi aspetti, ho avuto interessanti conversazioni con studenti, comunisti e non comunisti, che sono parte attiva del movimento.
Ad uno dei nostri ultimi congressi, noi indicammo, per la prima volta, nel documento conclusivo, gli intellettuali di avanguardia tra le forze motrici della rivoluzione d'Italia. È evidente che sarà dagli studenti che verranno le nuove generazioni di intellettuali di avanguardia: l'ampiezza, la forza, lo slancio assunti attualmente dal movimento studentesco sono una promessa in questo senso. Per questo, io non considero affatto come un arbitrio, come un qualche cosa che non spetta agli studenti, in quanto tali, passare dalle considerazioni dei loro problemi più specifici a quelli più generali della rivoluzione italiana. Al contrario, questa estensione del proprio campo di indagine e di lotta è del tutto naturale, da salutare e da incoraggiare.

I comunisti nel movimento
Non si può negare che ci sia stato distacco tra il partito, le sue impostazioni, la sua attività nelle università, e la realtà politica ed organizzativa che si è venuta creando nel campo studentesco, e in certi suoi settori, particolarmente «attivi», particolarmente dinamici. Certi fermenti politici e culturali esistenti nelle università, solo tardivamente hanno interessato i nostri compagni, le nostre organizzazioni. Perché?
Io credo che si possa dire che la preoccupazione di difendere il partito dagli attacchi alla sua unità ed alla sua compattezza, ha chiuso i nostri compagni in una difesa rigida, muro contro muro, per così dire, senza nessuna apertura alla comprensione delle ragioni ed anche alla contestazione degli argomenti altrui. Sono questi difetti e carenze che dobbiamo superare, in ogni modo e con ogni sforzo. Essere presenti nella realtà del movimento non vuole solo dire registrare quello che avviene, ma intervenire continuamente, con il dibattito e con l'azione, a chiarire situazioni, a vincere dubbi, a respingere errori. Non si tratta di fare superficiali richiami a tesi e schemi prefabbricati, ma, senza nessuna persuasione né di superiorità né di infallibilità, si tratta di confrontare posizioni con posizioni, opinioni con opinioni, nella loro reale concretezza, sforzandosi ogni volta di comprendere le origini, il significato, la portata anche di quanto a prima vista appare assurdo e distorto. Del resto, questo è il solo modo di restare nel «vivo» e nel «concreto» delle questioni, di misurare le nostre ragioni al confronto delle ragioni altrui e di farle avanzare, assimilando anche quanto di buono e di valido troviamo negli altri.

Dibattiti e contrasti possono dare nuovo slancio alla lotta
Dobbiamo respingere come negativa, e direi non da comunisti, la tendenza a non parlare delle cose sgradevoli, a tacere o negare le differenziazioni ed i contrasti. Non possiamo immaginare che un movimento operaio e comunista della forza del nostro, che si pone obiettivi di profondi rivolgimenti politici e sociali, che deve assimilare e omogeneizzare continuamente forze politiche e sociali diverse, che porta ogni giorno alla lotta milioni e milioni di lavoratori e che è quindi oggetto continuamente dell'aggressione e della provocazione avversaria, non possiamo immaginare, dico, che questo nostro movimento possa svolgersi nella bambagia, senza dibattiti vivaci e anche duri contrasti interni.
Finché ci si muove con la preoccupazione, realmente sentita, di realizzare nei momenti decisivi della lotta il massimo di unità e di compattezza, dibattiti e contrasti non possono nuocere, ma sono in grado di risolversi in nuovo slancio e in nuova forza da dare alla lotta. Possiamo ben dire che il dibattito interno, franco ed anche duro, è una forma di sviluppo del movimento, quando esso non è fatto a scopi di disgregazione e di divisione delle nostre forze. Ma io credo che, anche in questo caso, la migliore difesa non sta nell'assumere posizioni rigide di chiusura che poi si risolvono in posizioni di passività, ma di combattere apertamente, vivacemente le posizioni avverse, combattendo anche, se vi sono, intenti disgregatori.

Autonomia, non contrapposizione
Dal momento che si pone il problema del rapporto movimento studentesco-classe operaia, non si può non porre il problema del rapporto movimento studentesco-Partito comunista, non nel senso di una subordinazione o integrazione di quello a questo, e nemmeno nel senso di una contrapposizione o di una concorrenza tra di loro, ma nel senso di contatti di collaborazione e di intese nell'azione. Noi riconosciamo che il movimento studentesco ha bisogno di una sua autonomia, che questa autonomia può assumere le forme che più corrisponderanno alle sue esigenze ed alla sua maturità; ma affermiamo che esso non può contrapporsi al movimento operaio ed alla sue maggiori organizzazioni politiche e sindacali, pena la riduzione a strumento di divisione del movimento operaio e, in ultima analisi, a strumento di integrazione di questo nel sistema. (...)

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