«Sono nato nel 1894 a Odessa, nella Moldavanka, sono figlio di un commerciante ebreo. Per l'insistenza di mio padre ho studiato fino a sedici anni la lingua ebraica, la Bibbia, il Talmud. A casa avevo vita difficile perché da mattina a notte mi obbligavano a studiare un'infinità di discipline. Mi riposavo a scuola».
E' in questo modo che Isaak Babel, giovane speranza della letteratura sovietica, si presenta in una nota autobiografica che redige a trent'anni per un volume sugli «scrittori russi contemporanei», mentre si accinge a scrivere la sua prima opera teatrale, Tramonto, e a riunire i suoi Racconti di Odessa, che faranno di lui il più ebreo degli scrittori sovietici. Negli anni che seguiranno non otterrà il riconoscimento che avrebbe meritato: una lunga interdizione graverà sull'uomo e sulla sua opera, al punto che la data della sua morte, rimasta un mistero anche dopo la sua riabilitazione, sarà resa nota soltanto cinquantacinque anni più tardi, all'apertura degli archivi del carcere moscovita della Lubjanka, sua ultima residenza.
Oggi si sa del suo processo e si conoscono le sue ultime parole: «Chiedo solo una cosa: la possibilità di terminare il mio lavoro...», l'ultima deposizione, prima di essere giustiziato, il 27 gennaio 1940. Dal 1930 non pubblicava nulla; non si conosce nessun suo manoscritto posteriore al 1934, poiché tutte le sue carte sono state distrutte al momento dell'arresto nella dacia di Peredelkino - il «villaggio degli scrittori» nei dintorni di Mosca - il 15 maggio 1939.
E' in questo modo che Isaak Babel, giovane speranza della letteratura sovietica, si presenta in una nota autobiografica che redige a trent'anni per un volume sugli «scrittori russi contemporanei», mentre si accinge a scrivere la sua prima opera teatrale, Tramonto, e a riunire i suoi Racconti di Odessa, che faranno di lui il più ebreo degli scrittori sovietici. Negli anni che seguiranno non otterrà il riconoscimento che avrebbe meritato: una lunga interdizione graverà sull'uomo e sulla sua opera, al punto che la data della sua morte, rimasta un mistero anche dopo la sua riabilitazione, sarà resa nota soltanto cinquantacinque anni più tardi, all'apertura degli archivi del carcere moscovita della Lubjanka, sua ultima residenza.
Oggi si sa del suo processo e si conoscono le sue ultime parole: «Chiedo solo una cosa: la possibilità di terminare il mio lavoro...», l'ultima deposizione, prima di essere giustiziato, il 27 gennaio 1940. Dal 1930 non pubblicava nulla; non si conosce nessun suo manoscritto posteriore al 1934, poiché tutte le sue carte sono state distrutte al momento dell'arresto nella dacia di Peredelkino - il «villaggio degli scrittori» nei dintorni di Mosca - il 15 maggio 1939.
da "Avvenimenti" 1991
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