Ho letto su “la Repubblica” di ieri un’intervista all’avvocata Giulia Bongiorno, presidente finiana della Commissione Giustizia della Camera, diventata famosa per aver difeso e contribuito a salvare dalla condanna per collusione con Cosa Nostra Giulio Andreotti.
L’avvocata ha presentato e vorrebbe fare approvare rapidamente al Parlamento una legge che “ripulisca” Camera e Senato, ma anche altre istituzioni, dai “condannati”. E’ convinta che la tregua determinata dal governo tecnico favorirebbe l’approvazione dell’ineleggibilità dei pregiudicati, che finora è stata snobbata dai grandi partiti ed è stata cavallo di battaglia di Grillo e Di Pietro.
Il meccanismo sarebbe semplice: ineleggibili ed esclusi dalle cariche quelli che hanno avuto una condanna definitiva. La norma scatterebbe per condanne superiori ai tre anni e per reati come corruzione, concussione, concorso esterno alle mafie, reati fiscali e tributari, non escluso il falso in bilancio. Il periodo di esclusione dalle cariche sarebbe doppio rispetto a quello della condanna subita. Secondo la Bongiorno, la legge – per rientrare nella Costituzione che proclama la presunzione di non colpevolezza – non può prevedere divieti per chi ha subito condanne di primo o secondo grado: occorre una sentenza definitiva e inappellabile. Ed aggiunge che “la prescrizione”, anche dopo condanne di primo o secondo grado, non è “tecnicamente” equiparabile a una condanna.
Non sono un esperto giurista, per cui immagino che la famosa avvocata che aiutò Coppi nella difesa del “divo Giulio”, possa trovare argomentazioni da leguleio per contestare il mio ragionare, ma credo che a volte il buon senso debba aver la meglio sul cavillo. Per questo propongo le mie osservazioni.
Prima e marginale. La “prescrizione” avviene su richiesta dell’imputato, il quale può impedirla se vuole “essere assolto” piuttosto che “farla franca”. E’ vero che i processi sono un fastidio per tutti e che anche l’innocente già condannato una o più volte talora ricorre alla prescrizione, ma chi vuole occupare cariche pubbliche deve essere “assolto” e non “prescritto”. Una legge che si fa “una volta per sempre” deve peraltro riguardare il futuro: deve contenere una norma che da ora in poi escluda furbate e che pretenda che gli aspiranti deputati, senatori e ministri non richiedano prescrizioni ed esibiscano assoluzioni.
Seconda e marginale. Nell’intervista non si fa riferimento ai “patteggiamenti”, ma da quel che ho appreso, nell’intento dell’avvocata Bongiorno, anche per le sentenze patteggiate varrebbe il limite dei tre anni, il che allargherebbe ulteriormente le maglie e comunque renderebbe ridicolmente brevi i periodi di esclusione.
Terza e centrale. Il richiamo alla Costituzione è discutibile. E’ sacrosanta la presunzione di non colpevolezza. Sono giuste le garanzie per gli imputati e perfino per i condannati di primo e secondo grado che escludono la privazione della libertà personale. Ma la privazione della libertà personale dei “presunti non colpevoli”, misura di gravissima limitazione dei diritti costituzionali, è consentita ed è perfino frequente per motivi di forza maggiore (la possibilità di reiterare il reato, di inquinare le prove e/o di fuggire). Le carceri sono piene di presunti non colpevoli perché il Parlamento, la Corte Costituzionali e i magistrati hanno ritenuto prevalenti i diritti collettivi alla sicurezza e alla giusta sanzione del crimine su quelli individuali. C’è di più. Le leggi hanno sempre previsto limitazioni all’eleggibilità a tutti i livelli, anche per conflitti d’interessi senza alcun procedimento penale, e mai i giudici della Cassazione o della Corte Costituzionale vi hanno intravisto intollerabili violazioni alle libertà individuali. Il punto è proprio questo: l’ineleggibilità dei condannati non definitivi (e dunque “presunti non colpevoli”) non va concepita come una sanzione, come una pena accessoria, (così di fatto la concepisce la Bongiorno), ma come una garanzia per i cittadini tutti cui vanno garantiti governanti e legislatori al di sopra di ogni sospetto e di ogni conflitto.
Per queste ragioni ho l’impressione che i “maggiori partiti”, primo fra tutti quello fondato da Berlusconi, sbaglino a non appoggiare i disegni della Bongiorno. Quella che lei prepara è una sorta di legge truffa, attraverso le maglie della quale tutti o quasi tutti i parlamentari più chiacchierati potrebbero rientrare in Parlamento: da Marcello Dell’Utri, condannato per associazione mafiosa, al milanese Penati, già stretto collaboratore di Bersani, al famigerato Cesa, a lungo portavoce di Casini, che quando era segretario del ministro Prandini, detto Prendini, raccoglieva per lui le tangenti.
Costui “vuotò il sacco”; poi – grazie ai cavilli – ottenne la prescrizione. L’avvocata Bongiorno dichiara che “tecnicamente” la prescrizione non equivale a una condanna, ma neanche equivale ad una assoluzione. Il suo più celebre assistito, il senatore a vita Andreotti, prescritto per i rapporti con Cosa Nostra, provati fino al 1980, non per questo è da considerarsi assolto.
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