Tra
il 2012 e il 2013 il Palazzo Marino di Milano ospitò una mostra che
aveva per tema “Amore e Psiche”, il mito filosofico raccontato
nell'antichità da Apuleio, che si è offerto come soggetto a diversi
scultori e pittori. Il punto di forza dell'esposizione, gratuita, era
costituito da due opereprovenienti dal Louvre: un celebre gruppo
scultoreo di Antonio Canova e un famoso dipinto di François Gérard.
Da “La Stampa” riprendo ampi stralci di due articoli illustrativi
e di un'intervista a Pomaréde, direttore della sezione pittura del
Louvre. (S.L.L.)
Amore e Psiche di
Canova.
Nel marmo la
leggerezza di una farfalla
Il giardino comincia già
fuori, in piazza della Scala, all’entrata della mostra e procede
tra i profumi che si diffondono nella Sala Alessi oltre le tre pareti
ricoperte di erba sintetica fino all’ultimo spazio destinato
all’incantevole Amore e Psiche stanti del Canova. Nulla meglio di
questo prato ripensato alla maniera neoclassica per illustrare la
favola di Apuleio nelle Metamorfosi, dove la coppia mitologica
raffigura l’unione fra anima umana e amore divino. Un luogo adatto
a ospitare il capolavoro, forse non il più celebre ma prediletto
dall’autore, il campione italiano del Neoclassicismo.
Antonio Canova voleva
calarsi nello spirito e nel clima dei classici, greci e latini, tanto
da farsi leggere nel suo studio mentre lavorava fin tre volte al
giorno i testi di Omero, Tacito, Polibio. Felice esito dell’amore
intenso per la classicità evocata dal Winckelmann, il bello ideale
universale e la quieta grandezza, la scultura in arrivo dal Louvre
grandeggia nella luce che la avvolge e nella platonica serenità che
promana.
Due teneri giovinetti
sono fissati nel marmo candido (Canova li definiva «un gruppetto
pudico») e dominano la scena ravvicinati nel turbamento dei corpi
nudi levigati e sinuosi sopra il piedestallo adorno di preziose
ghirlande di fiori. Il dio poggia la testa sulla spalla di lei
cingendola castamente con il braccio, Psiche di bellezza mirabile e
dalla nudità appena celata dal delicatissimo velo ai fianchi, posa
delicatamente la farfalla, simbolo dell’anima, nella mano di lui. È
un gesto sublime, un attimo sospeso, fuori dal tempo, dove l’umano
si lega all’eterno. Il prodigio delle dita, la grazia nelle pose,
la finezza dei riccioli nella capigliatura di Psyche e lo squisito
panneggio sui fianchi raccontano sino a che punto il marmo potesse
piegarsi al soffio nuovo dell’arte di Canova, alla «bella natura»,
il suo ideale di bellezza perfetta.
Alti 150 centimetri
circa, i due adolescenti si incontrano e congiungono a nozze,
immemori delle mille prove sostenute e dei dissidi celesti
nell’Olimpo che li hanno divisi, uniti nella lucentezza e candore
del marmo di Carrara dove Canova agitava lo scalpello con la facilità
d’un pennello. Figlio d’uno scalpellino di Possagno, dove era
nato nel 1757, aveva presto imparato, anche dai copisti di marmi
antichi a Roma, a modellare la materia con maestria e scienza
personale. Un procedimento che conduceva dal bozzetto vibrante di
creta al gesso affidato agli aiutanti, da volgere poi al marmo con
numerose rifiniture, come raccontò Hayez. Canova realizzò il gruppo
nel 1797 a Roma, mentre si diceva così preoccupato per la desolata
nostra nazione e «l’Europa tutta talmente ruinosa che sarei
contento di andare in America». L’opera era destinata al
colonnello John Campbell in sostituzione della versione famosa
(sempre al Louvre) Amore e Psiche giacenti 1787- 83; finirono
entrambe nel 1801 per 2000 zecchini a Gioachino Murat, esposte nella
galleria del castello di Villiers, dove Napoleone potè ammirarle.
Fama e gloria coronarono
il Canova già in vita, come forse nessuno degli artisti amici o
ammirati, quali Mengs, Thorwalsen, e fin Piranesi o Batoni, Gavin
Hamilton, Proudhon, neppure David. Non volle o mai riconobbe allievi,
collezionò cariche e incarichi, con l’esimio merito di ricondurre
nel 1815 in Italia dal Louvre alcune opere sottratte dai francesi,
incaricato da Pio VII come delegato dello Stato Pontificio a Parigi.
Fu venerato e onorato da Papi e dai sovrani d’Europa, per cui
lavorò, compresi Napoleone e Giuseppina Beauharnais e il figlio
Eugenio vicerè d’Italia con sede a Milano e Monza. Fedele alla
propria arte e condizionato da una salute cagionevole mori a Venezia
nel 1822, per poi riposare a Possagno dove è affidato alla storia
nel museo a lui dedicato. Oggi il suo genio torna a risplendere in
questa mostra a Milano, città che seppe apprezzarlo e amarlo. (Fiorella Minervino, La
Stampa, 5.12.2012)
Gérard.
La moderna
sensualità
di due innamorati
Ingres, molto spesso
acidamente critico nei riguardi dei suoi colleghi, aveva dichiarato
una volta che «Gérard ha abbandonato la pittura e la pittura ha
abbandonato lui », aggiungendo però che «quando ha realizzato
Psiche e Amore è stato un grande pittore; ha realizzato un
capolavoro...».
E in effetti per
l’ingrato Ingres (Gérard era stato tra i pochi ad aiutarlo agli
inizi, quando era entrato nello studio di David) questo dipinto,
esposto con grande successo al Salon parigino del 1798, è stato un
punto di riferimento fondamentale. Non tanto come esempio (già
allora in auge) di una tematica mitologica disimpegnata e «graziosa»,
con algide e sofisticate valenze erotiche, ma anche soprattutto per
la peculiare elaborazione del linguaggio neoclassico. Gérard lo
caratterizza con una straordinaria levità e levigatezza pittorica, e
con un formalismo purista tale da subordinare persino la correttezza
anatomica all’armonia complessiva dell’impianto compositivo
(basta osservare la «impossibile» spalla di Psiche o il collo di
Cupido).
Nella suggestiva messa in
scena allestita dentro il grande salone di Palazzo Marino, il quadro
di François Gérard è il co-protagonista insieme al capolavoro di
Antonio Canova, Amore e Psiche stanti, del 1797. La pittura che si
confronta con la scultura una bellissima sfida (incentrata su un tema
mitico e intramontabile) che nonostante la celebrità
dell’avversario, e il fascino assoluto della sua opera marmorea,
Gérard è in grado di sostenere quasi ad armi pari.
Bisogna guardarlo a lungo
il suo dipinto con le figure in grandezza naturale, per rendersi
conto, con uno sguardo attuale (al di là della valutazione storico
-critica della indubbia importanza dell’artista) della straniante e
«moderna» qualità di questa composizione figurativa ma irreale, e
non solo perché mitica.
Più rispettoso di Canova
del racconto che si legge nell’Asino d’oro di Apuleio,
Gérard ci presenta Psiche nel momento in cui l’invisibile (per
lei) Amore le sta per dare un bacio abbracciandola. Ed è per questo
che, sorpresa e misteriosamente incantata, i suoi occhi non guardano
lui ma davanti verso il vuoto, o meglio (e qui l’artificio del
pittore è geniale) verso di noi, i curiosi esterni.
Questo incrocio di
sguardi fra lei e noi crea una sottile e intensa tensione estetica,
che fissa visivamente e direi anche strutturalmente tutta la visione
pittorica. Dico fissa, perché l’artista ha dipinto i personaggi in
modo tale da quasi annullare l’illusione della forza di gravità,
senza ombre portate e senza una convincente integrazione con il
paesaggio che fa da sfondo. Inoltre, una ulteriore essenziale magia
(o astuzia) pittorica è determinata dalla raffinatissima strategia
dell’abbraccio che non è tale.
Infatti le braccia di
Amore sono attorno e vicinissime al corpo di Psiche ma non lo toccano
(anche se c’è una intenzionale ambiguità per quello che riguarda
la mano sinistra che sembra toccare la spalla in direzione del seno).
Tutto ciò crea un effetto di sospensione, una sensazione di aerea
immaterialità e di metafisica idealità.
Così Gérard riesce a
trasmettere attraverso la forma (molto più che nella raffigurazione
descrittiva) un aspetto cruciale del significato profondo della
favola mitica, che ci parla di cose indefinibili come l’anima e
l’amore, e cioè del mistero della vita umana terrena e del sogno
di quella ultraterrena.
Nell’iconografia antica
(per esempio nella copia romana da un originale ellenico) Psiche ha
delle ali di farfalla, ma come nel caso di Canova anche Gérard ha
pensato che fossero sufficienti quelle di Cupido, e ha inserito una
farfalla vera, non nelle mani dei personaggi come ha fatto lo
scultore, ma in volo nel cielo sopra la testa di lei ( psiche in
greco vuol dire farfalla). Questo lepidottero ha una sua precisa
valenza simbolica ed è allo stesso tempo un particolare
naturalistico, dalla fragile e delicata leggerezza. Ma si può
leggere formalmente anche come una metafora strutturale di tutto
l’insieme della composizione, che si libra sulla tela con la stessa
eterea grazia sospesa. (Francesco Poli, La
Stampa, 5.12.2012)
Pomaréde:
“Le
due opere raccontano
un tema universale”
Vincent Pomarède è
direttore del Dipartimento di pittura del Louvre. Ed è lui che cura
i rapporti tra l’istituzione parigina e l’Eni che hanno permesso
la realizzazione della mostra su Amore e Psiche a Palazzo Marino.
Direttore Pomarède
quale posto occupano le due opere di Canova e Gérard su Amore e
Psiche nelle collezioni del Louvre?
«I due capolavori si
trovano entrambi in due delle sale più prestigiose e più visitate
del Museo del Louvre: il quadro di Gérard è collocato in una delle
due Sale Rosse, che presentano i principali dipinti francesi del XIX
secolo, mentre la scultura del Canova si trova nella Galleria
Michelangelo dedicata alla scultura italiana dal XVI al XIX secolo,
così chiamata per la presenza dei due Prigioni scolpite dal genio
fiorentino per la tomba di papa Giulio II della Rovere. Anche se le
due opere sono entrambe nell’ala Denon del museo, non sono però
esposte allo stesso piano. Il Louvre, come probabilmente tutti sanno,
per restare fedele alla sua vocazione enciclopedica, presenta in
effetti le sue collezioni in otto diversi dipartimenti, che occupano
spazi distinti nel palazzo. Prima di essere presentate assieme a
Palazzo Marino, queste variazioni in pittura e scultura sullo stesso
tema dell’Amore e Psiche non erano mai state viste assieme, né al
Louvre né in nessuna mostra temporanea».
Queste due opere
neoclassiche possono interessare il pubblico attuale?
«La storia d’amore di
questa celebre coppia mitologica è il simbolo dell’unione tra
l’anima umana (Psiche) e l’amore divino (Eros o Amore). Si tratta
di un tema universale. La bellezza ideale di questi giovani
innamorati, la fragilità e la grazia dell’anima incarnata nella
farfalla, la sensualità sottile e differente di questi due
capolavori, sono cose che ci toccano ancora, ci emozionano, tanto più
che la purezza dei corpi e dei tratti dipinti da Gérard corrisponde
meravigliosamente alla delicatezza dell’esecuzione di Canova». (F. Po., La Stampa, 5.12.2012)
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