L'articolo che segue
parla di un episodio accaduto durante la Grande Guerra e precisamente
durante la cosiddetta “Tregua del Natale 1914” sul fronte
franco-tedesco in una zona in cui si affrontavano dalle trincee
combattenti inglesi (alleati della Francia) e combattenti tedeschi.
Tregue in occasioni di feste ci sono state abbastanza spesso nel
corso delle guerre, in genere frutto di contatti riservati tra Stati
maggiori o capi militari, ma quella del 1914 fu promossa dal basso e
comprese momenti di incontro e fraternizzazione con i “nemici”.
Situazioni analoghe di ebbero anche su altri fronti di guerra nei due
Natali successivi, 1915 e 1916, sebbene più limitati a causa delle
minacce e delle rappresaglie degli Stati Maggiori. Ho tagliato le
puntuali note bibliografiche, che chi vuole potrà recuperare
nell'ottimo sito di provenienza “Futbologia – Il pallone al cubo”
- http://blog.futbologia.org/.
Credo che – nel momento in cui risorgono quei nazionalismi
aggressivi che misero fine a lungo periodo di pace e di progresso
civile in tutta Europa - bisognerà utilizzare il centenario della
Grande Guerra, per una grande campagna contro il risorgente
militarismo e per la solidarietà tra i popoli. (S.L.L.)
Tommies della London
Rifle Brigade posano con Saxons del 104° e 106° Reggimento
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La “Tregua di Natale”,
quella piccola pace nella Grande Guerra come efficacemente viene
chiamata nel titolo del saggio di Michael Jürgs (Il Mulino, 2005),
si aprì spontaneamente e senza intervento di diplomazie alla vigilia
del primo natale di guerra. Il conflitto, iniziato ufficialmente solo
cinque mesi prima, si era già impantanato tra le lunghe linee di
trincea che correvano parallele come binari di treno nel fango dei
campi di Fiandra.
Accadde nella notte del
24 dicembre 1914. Un po’ ovunque lungo la linea del fronte uomini
morti di stanchezza e stanchi di morte uscirono dalle trincee
sollevando le mani e incamminandosi nella sottile striscia di terra
confusa dalle detonazioni che li separava. Infagottati nei lunghi
trench, con le sciarpe di lana e le pelli di montone sopra la livrea
del reggimento, soldati di opposti schieramenti si incontravano
faccia a faccia per la prima volta nella terra di nessuno. Si
scoprirono pari dietro le divise, sopperendo a lingue diverse con
segni e sguardi, facendo le cose che fanno gli uomini quando si
trovano a condividere uno stesso destino nero, in trincea come in
carcere o in ospedale. Si scambiarono auguri, champagne con
cioccolata, muffin con Pfefferkuchen e altre delicatessen estratte
dai pacchi dono, guardarono assieme fotografie di figli e mogli
tirate fuori come reliquie dai portafogli. La piccola pace si estese
al giorno di Natale e da qualche parte anche ai giorni successivi,
gli uomini si lasciarono fotografare assieme, arrivarono a scambiarsi
indirizzi e promesse di reciproca ospitalità a guerra finita. Del
resto, chi appena qualche mese prima viveva del suo lavoro al porto
di Liverpool aveva in comune più cose con il suo omologo di Kiel –
portasse anche l’elmo chiodato di un reggimento sassone – che con
il suo stesso superiore graduato, scarpe pulite e frequentazioni
d’accademia, che in trincea arrivava solo per le ispezioni e viveva
la guerra nelle ville di campagna requisite. La guerra di trincea era
per proletari inglesi, francesi, tedeschi, stessa carne da cannone.
Si direbbe marxianamente: è la classe baby, e non è acqua.
Se lo scoppio della pace
– si legge nei diari – si deve ai tedeschi, i palloni uscirono
fuori dalle trincee inglesi. La presenza di footballers tra
gli uomini della British Expeditionary Force era cosa abbastanza
consueta, in anni in cui il calcio è già lo sport più popolare.
Palloni in cuoio e scarpette chiodate si trovavano, insolitamente,
nello zaino di più di un soldato, anche se i professionisti della
First Division nell’inverno del ’14 continuavano a solcare i
campi domestici e non quelli trincerati, perché nel primo anno di
guerra il campionato inglese non era stato sospeso. Nelle retrovie
giocare a calcio era attività praticata tanto dalla truppa quanto
dal principe di Galles e durante la frettolosa piccola pace sarebbe
stato naturale calciare un pallone, così come si bevve e si fumò.
In effetti, specie da parte anglosassone, la “Tregua di Natale”,
o Christmas truce, evoca nel ricordo proprio l’episodio del
Football match, la partita di calcio disputata dai soldati
nella No Man’s Land tra le due trincee.
Il primo a rendere noto
l’episodio fu un anonimo maggiore medico intruppato nella London
Rifle Brigade in una lettera al Times pubblicata il 1° di gennaio
1915, nella quale si parlava di una partita di calcio giocata “tra
noi e loro” nella terra di nessuno. Ma racconti di partite giocate
un po’ ovunque durante quel Natale ce ne sono diversi. La
narrazione più precisa è di parte tedesca, appartiene al tenente
Johannes Niemann, del 133° Reggimento reale sassone, e ricorda la
partita giocata contro gli Scottish Seaforth Highlanders disputata
nella linea del fronte tra Frelinghien e Houplines. Cominciò quando
uno scozzese apparve con un pallone sotto il braccio, come se fosse
la cosa più normale da farsi: così scozzesi e tedeschi formarono le
squadre, per marcare la porta furono usati gli elmetti e la partita
ebbe inizio. «Era difficile giocare sul terreno ghiacciato, ma
continuammo rispettando quanto più possibile le regole del gioco,
tranne che per il fatto di giocare solo un’ora e senza nessuno che
arbitrasse». I soldati si rincorrevano e giocavano con un entusiasmo
infantile. Quando folate di vento alzavano il kilt agli scozzesi,
mostrando le natiche illividite dal freddo, dal pubblico di parte
tedesca partivano fischi di approvazione all’indirizzo di quelle
strane fräulein. Alla fine i tedeschi vinsero per 3-2, non ci
è dato il nome dei marcatori.
Con lo stesso risultato
di 3-2 per i Sassoni si chiuse il match giocato contro i Lancashire
Fusiliers, ma stavolta la narrazione è di parte inglese e, più
epica, parla di un barattolo di conserva vuoto usato al posto del
pallone. In più, ci fosse stato un arbitro e un fischietto, la terza
rete dei tedeschi non sarebbe stata concessa per un evidente
fuorigioco. Secondo altre fonti, era stato il reggimento Bedfordshire
a perdere contro i sassoni, sempre con il ricorrente risultato di
3-2, ma qui solo perché si era dovuta interrompere la partita quando
il pallone di cuoio era volato in cima a un reticolato bucandosi, e
ricordando così a tutti che le buche, i cavalli di frisia e il filo
spinato rendono i terreni poco adatti al gioco del calcio. Ancora di
una partita finita 3 a 2 per i tedeschi parla una lettera pubblicata
da un anonimo sulla Westmorland Gazette il 9 gennaio 1915: «Ad uno
dei nostri hanno dato una bottiglia di vino da bere alla salute del
Re. Il reggimento ha poi giocato una partita di calcio contro i
tedeschi, che li hanno battuti per 3 a 2. Questa gente ha detto che
non avrebbe sparato ai nostri, ma hanno avvisato di stare attenti a
quelli alla loro sinistra».
Stando a Michael Jürgs
la partita, anzi le partite, sarebbero mitografia alimentata da uno
stesso racconto, forse anch’esso inventato: «Che in diversi
settori si siano svolte partite vere e proprie, con arbitri a
fischiare gli intervalli tra i due tempi, e alla fine una vittoria
dei sassoni sugli scozzesi per tre a due, è una leggenda».
Tuttavia viene naturale
pensare a una partita di calcio nel clima irreale di una tregua nata
dal basso, principiata da qualcuno che canta Stille Nacht da
una parte e seguito a ruota da Silent Night dall’altra,
finita poi in una sorta di euforica scampagnata tra sigari e alcool.
Almeno come progetto: «Molti tedeschi erano di Londra, e speravano
che la guerra finisse presto. Uno di loro ha persino suggerito di
farla fuori con una partita di calcio, o con un combattimento a palle
di fango, in modo tale che nessuno fosse ferito. Ti sarebbe piaciuto
essere qui quel giorno. Che cose divertenti capitano in questa
guerra!».
Ernie Williams, fuciliere
del Cheshire Regiment racconta di una partita presso Wulvergem, in
Belgio: «Costruimmo delle specie di porte, due ragazzi vi si misero,
e cominciarono tutti a correre dietro il pallone. Erano almeno un
paio di centinaia di uomini». Prima che la ricreazione finisse, ci
fu spazio per lo scambio di memorabilia e le foto ricordo:
«Sul campo congelato era una bella impresa. Uno di noi aveva la
macchina fotografica. Allora i calciatori delle due squadre si
ordinarono rapidamente in gruppo, sempre a file allegramente
multicolori, con il pallone al centro».
Traiamo una conclusione:
anche se non ci fu quest’unica, emblematica partita mondiale finita
dovunque 3 a 2, ritualmente giocata tra squadre in divisa, Fritz vs.
Tommies, quindici anni prima della prima Coppa Rimet e cinquant’anni
almeno prima della prima UEFA, le testimonianze concordano sul fatto
che gli uomini della tregua inseguirono comunque un pallone di cuoio
o una palla di stracci o una scatola di biscotti. Probabile è che,
rimossi i cadaveri, la terra tra le due trincee si trovò ad essere
campo libero, e si giocò come si fa ancora sui prati, nei cortili,
nei posti scomodi che solo la fantasia identifica come campo di
gioco. Probabile è che si ebbero tante spontanee e caotiche partite,
spesso a formazioni miste, tante quante gli episodi conosciuti di
fraternizzazione. A centinaia, come in un quadro di Bruegel,
inseguirono la palla, segnarono fra pali fatti con bastoni o pile di
cappotti o elmetti chiodati e sotto traverse solo immaginate,
scivolarono in tackle inchiodandosi senza cattiveria gli anfibi nei
polpacci, felici di non avere arbitri né graduati tra gli
spettatori. Che strano fairplay s’impose tra chi era solito
spararsi addosso: quando qualcuno cadeva nel fango, «dato che in
uniforme e stivali è davvero difficile giocare in modo elegante»,
sportivamente l’avversario, qui tecnicamente un nemico, lo aiutava
a tirarsi in piedi.
Kurt Zemisch, del 134°
Reggimento reale sassone, scrive nel suo diario: «Alla fine gli
Inglesi tirarono fuori un pallone dalle loro trincee e subito ne
seguì una animata partita. Una meraviglia, qualcosa che ancora mi
appare difficile da credere. L’ufficiale inglese aveva la stessa
sensazione di stupore (…) Dissi che non avremmo sparato neanche
per Santo Stefano. Loro furono d’accordo. Quella sera l’ufficiale
inglese ci chiese se fossimo d’accordo ad organizzare una vera
partita di calcio, da tenersi tra le due trincee, il giorno
seguente».
Pare che durante i primi
giorni il ritorno a uno stato di belligeranza fosse difficoltoso, che
il comportamento dei soldati risultasse inadeguato, si racconta di
soldati ricalcitranti e di colpi sparati verso l’alto. La vera
partita a cui fa riferimento Zemisch non si ebbe, causa il primo di
quegli avvicendamenti che raffreddarono la pace e riportarono la
guerra al consueto massacro, un po’ per la naturale rotazione delle
truppe, un po’ perché i comandi decisero di spostare altrove le
milizie che avevano fraternizzato.
Naturalmente vi erano
anche soldati che non avevano partecipato alla tregua, quelli che
avevano vissuto i momenti di familiarizzazione come atti di
tradimento. Il Gen. Sir Horace Smith-Dorrien, comandante del British
II Corps, venuto a conoscenza dei fatti aveva dichiarato irritato:
«Ho emesso ordini severi che in nessun caso sono ammesse relazioni
con le truppe avversarie. Per concludere in fretta questa guerra,
dobbiamo mantenere lo spirito combattivo e fare tutto il possibile
per scoraggiare rapporti amichevoli». Queste invece le lapidarie
parole di uno dei soldati contrari di parte tedesca: «Queste cose
non dovrebbero accadere in tempo di guerra. A voi tedeschi non è
rimasto alcun senso dell’onore?» (Cap. Adolf Hitler, 16º
Reggimento di Fanteria Bavarese).
Dal sito "Futbologia. Il Pallone al cubo", 25 dicembre 1913
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