George Sand: basta il suo
nome e subito due immagini tornano alla mente: quella d'una donna
che, suscitando scandalo nella Parigi dei primi anni dell'800, si
presentò nei salotti vestita da uomo ostentando un sigarette fra le
dita e quella dell'amante appassionata di Chopin che fuggì con lui a
Maiorca per un intero inverno. Ma a far giustizia di questi due
luoghi comuni e a illuminare la vera personalità della scrittrice
tanto amata da Proust che, all'inizio della Recherche, di lei
loda «la distinzione morale» e «la tenerezza naturale», giunge
ora tradotta in italiano e pubblicata dalla Tartaruga la sua
autobiografia, intitolata appunto Storia della mia vita.
E così scopriamo che la
scelta di vestirsi da uomo fu dettata da desiderio di libertà e
ristrettezze economiche: separatasi dal marito, giunta a Parigi,
avida di sprovincializzarsi e affamata delle idee e delle
consuetudini del suo tempo, George Sand scoprì che aveva ragione
Balzac quando sosteneva che «non si può essere donne a Parigi a
meno d'avere venticinquemila franchi di rendita». E poiché le sue
risorse erano infinitamente minori, per poter camminare per Parigi da
sola, non spannucciarsi gli scarpini da donna sui selciati malmessi,
decise di seguire il suggerimento di sua madre e di travestirsi da
uomo. Scrive infatti: «Mi feci dunque fare una rédingote-garritta
in grosso panno grigio, con pantaloni e gilet uguali. Con il cappello
grigio e una grande cravatta di lana, ero uno studentello del primo
anno fatto e sputato! Non posso dire quanto piacere mi procurassero
gli stivali: ci sarei persino andata a letto, come aveva fatto mio
fratello quando era giovane e per la prima volta ne aveva portato un
paio. Con i piccoli tacchi ferrati ero solida sui marciapiedi e
volavo da un capo all'altro di Parigi. Avrei fatto il giro del mondo.
E poi i miei vestiti non temevano niente. Uscivo con qualsiasi tempo,
ritornavo a qualsiasi ora, andavo a tutti i teatri. Nessuno mi notava
e sospettava il mio travestimento».
Nessun desiderio di
épater les bourgeois, dunque. Quanto al viaggio a Maiorca,
più che una fuga passionale fu una convalescenza familiare. Chopin
era tisico, il suo stato di salute nel 1838 si era particolarmente
aggravato e George, che aveva per molti dei suoi amori un'attenzione
e un atteggiamento quasi materni, decise che bisognava strappare il
musicista a Parigi e fargli passare l'inverno in un clima più mite,
alle Baleari. Fu così che imbarcò se stessa, i suoi due figli e
Chopin per Valdelmosa, a Maiorca. Il soggiorno non fu dei più
piacevoli: l'irregolarità della coppia turbava gli abitanti, che
oltretutto temevano il contagio della malattia e costrinsero la Sand
a bruciare tutti i mobili delle case da lei abitate, il che rendeva
il viaggio insopportabile oltre che molto costoso.
Basta dunque avvicinarsi
all'autobiografia o alle lettere — ne scrisse più di quarantamila
lungo l'arco della sua vita, poi raccolte e catalogate stupendamente
da Georges Lubin — perché venga, come scrive Angela Bianchini,
«cancellata, dimenticata, sepolta per sempre la stereotipa immagine
della donna-uomo in tuba e pantaloni, commercializzata dai
singhiozzanti film Anni Trenta, con Chopin che quando non suonava,
tossiva a spaccarsi il petto a Maiorca o de Musset che componeva
poesie dimenandosi in un letto del Danieli a Venezia».
George in realtà si
chiamava Amantine-Aurore-Lucie Dupin e già prima di nascere aveva
seminato lo scompiglio nella sua famiglia: suo padre, giovane e
bellissimo ufficiale, aiutante di campo di Napoleone e pronipote di
Federico Augusto elettore di Sassonia, si era innamorato di
Antoinette-Sophie-Victoire Delaborde, figlia d'un mercante d'uccelli
del lungosenna di Parigi e aveva deciso di sposarla suscitando le ire
violentissime di sua madre. Pochi anni dopo la nascita della
primogenita e d'un altro figlio vissuto pochi mesi, il padre di
Aurore muore per una banale caduta da cavallo. Restano tre donne: la
piccola, sua madre e la nonna che non si sopportano vicendevolmente e
che fanno della bambina motivo di reciproco ricatto fin quando la
madre di Aurore cede la tutela della piccola alla nonna e se ne va a
Parigi. Aurore cresce così a Nonhant nel Berry, in quella casa che
diverrà poi rifugio perenne della sua esistenza e che sarà tanto
celebrata nei suoi innumerevoli romanzi. Dalla nonna e dal precettore
Deschartres, che già aveva allevato suo padre, riceve una educazione
libera, e molto maschile: va a cavallo, s'occupa di scienze naturali,
studia il latino. A sedici anni, dopo la morte della nonna e un
soggiorno in collegio, giunge a Parigi. È ancora una fanciulla che
pensa al matrimonio, a una vita quieta, a un destino qualsiasi.
Difatti il suo matrimonio
con Casimir Dudevant è dei più normali: Aurore ha diciotto anni e,
non lo sa, ma è in cerca di se stessa. La sua prima gravidanza non è
delle più facili e deve passarla a letto con le coltri coperte
d'uccellini salvati al freddo dell'inverno: «ricoprirono il mio
letto con un panno verde, fissarono agli angoli grandi rami d'abete e
vissi cosi in questo boschetto, circondata da fringuelli, pettirossi,
verdoni e passerotti, che subito addomesticai sulle mie ginocchia».
Ma a ventisei anni il suo
matrimonio è già in crisi e Aurore decide di trasferirsi a Parigi:
è innamorata di Jules Sandeau, un timido aspirante poeta
diciannovenne che proviene dalla sua stessa regione. Con lui scrive e
pubblica il suo primo romanzo, Rose et Bianche, firmato Jules
Sand. Sandeau l'aiutò ben poco, se non offrendole la prima sillaba
del suo pseudonimo, scelto soprattutto per motivi familiari: se
avesse usato il suo cognome da ragazza, Dupin, avrebbe suscitato le
ire di sua madre, mentre se avesse usato quello da sposata avrebbe
irritato la suocera, la baronessa Dudevant. Un anno dopo appare sul
frontespizio d'un libro il nome George Sand: Aurore ha scritto e
pubblicato Indiana ed è finalmete entrata nel mondo
letterario. Non fu un debutto facilissimo: nella sua biografia
ricorda i tentativi fatti per trovarsi un mestiere (provò anche a
fare la miniaturista), i suoi approcci col giornalismo, la ricerca
d'uno stile, la volontà di emergere.
Ci riuscirà, dando
l'avvio a una fluviale produzione — si contano circa 107 opere —
che da sempre ha suscitato lo stupore e la curiosità di quanti si
sono occupati del suo lavoro. Anche Henry James, nonostante la sua
stessa prolificità di scrittore, nutrì un vivo interesse
professionale per la produttività della Sand e dopo aver analizzato
minuziosamente la sua vita e le sue opere giunse alla conclusione che
era sua abitudine «scrivere di notte, cominciando quando tutti gli
altri erano andati a letto». E una notazione che riporta Ellen Moers
nel suo Grandi scrittrici, grandi letterate, in cui accomuna
il lavoro della Sand alla fatica che tutte le donne han sempre fatto
per trovare lo spazio e il tempo da dedicare alla scrittura,
ricordando che anche Sylvia Plath era abituata a scrivere le sue
mirabili composizioni «verso le quattro del mattino — quell'ora
ancora bluastra, quasi eterna, prima del pianto del bambino, prima
della vitrea musica del lattaio che posa le bottiglie».
George scrive per
passione, ma anche per necessità: la piccola rendita — presa dai
suoi beni — che il marito le ha assegnato le è del tutto
insufficiente per vivere, anche nelle condizioni semplici che si è
scelta. Per qualche anno abita in una piccola soffitta e adopera come
studio un pianterreno invaso dai calcinacci e in via di
ristrutturazione che le offre il silenzio, la solitudine e la
frescura di cui ha bisogno per concentrarsi. Inoltre vuole occuparsi
almeno per sei mesi all'anno dei figli e del loro mantenimento.
Quando — seguendo una voga che appartiene a molta letteratura
francese dell'800 — si concede un viaggio in Italia, a Venezia è
costretta a interrompere il suo itinerario e a rinchiudersi in una
stai; za d'affitto per mandare velocemente degli scritti al suo
editore: è rimasta senza soldi e non ha neppure di che tornare a
Parigi. È quello il periodo del suo grande amore per il poeta Alfred
de Musset. De Musset è malato, soffre di allucinazioni e crisi
cerebrali e George ha bisogno dell'aiuto di due uomini per tenerlo
sotto controllo nei momenti di particolare agitazione. Con terrore lo
vede correre nudo per la camera cantando e urlando. Nella sua
autobiografia accenna velocemente a questo periodo e alle cure che
diede a de Musset, sottolineando solo le fatiche che le costarono. In
realtà, a Venezia l'amore fra de Musset e la Sand ebbe una brusca
interruzione: George aveva accettato la corte d'un medico veneziano,
il dottor Pagello, e de Musset, che ritorna convalescente a Parigi,
non distingue quali siano le sue visioni e quale la realtà, non
comprendendo cosa sia avvenuto. Da Parigi — come riporta Frantine
Mallet nella biografia da lei scritta su George Sand — de Musset le
scrive «ti amo ancora con amore», e lei risponde «ti amo e basta».
In effetti la loro
relazione riprende poco dopo a Parigi, per concludersi
definitivamente pochi mesi dopo, nel 1835. Nel carnet amoroso di
George Sand si contano — stando ai biografi più minuziosi —
circa quindici amanti: a volte brevi incontri come quelli con
l'attore Bocage. esili relazioni come quella che ebbe col precettore
di suo figlio Felicien Malefille. oppure lunghi legami come quello
con Chopin. durato dal 1838 al '46 e quello ancora più duraturo che
la unì per quindici anni, fino alla di lui morte, ad Alexandre
Manceau. un incisore che fu anche suo segretario.
L'amore per Chopin fu
segnato da una tenerezza appassionata, anche se George era
preoccupata della reticenza mostrata dal musicista nei confronti
dell'amore fisico. In una lettera a Gryzmala. notabile polacco,
esiliato e confidente del musicista, George racconta che non le pare
possibile separare l'amore dai piaceri della carne. Col tempo se ne
farà una ragione, per lo meno per quel che riguarda Chopin.
Ma queste sono notizie
che non compaiono nella storia della sua vita che nell'edizione
italiana percorre gli anni che vanno dal 1822 al 1846, il periodo
della sua maturazione sia come donna che come intellettuale. George
mescola avvenimenti a riflessioni, parla della gioia di partorire e
dei piaceri dello scrivere, dei suoi rapporti con la religione e
della sua amicizia per Balzac, della necessità dell'indipendenza
femminile e delle sue relazioni culturali. Tutte, o quasi, per sua
stessa ammissione, maschili: «con poche eccezioni, in genere io non
sopporto la frequentazione delle donne, non perché le senta
inferiori a me per intelligenza (...) ma la donna in genere è un
essere inquieto e nervoso che riesce a comunicarmi mio malgrado il
suo eterno turbamento (...). Alcune sono vanitose appena diventano
serie e quelle che non sono artiste di professione arrivano spesso a
uno smisurato orgoglio appena escono dallo studio dei cicalecci e
delle esagerate preoccupazioni per le piccole cose...».
"Noi donne", 1981
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