Ieri – 90 anni fa – è
nata la ragazza del secolo scorso. E’ una delle buone cose prodotte
dal ‘900. E siccome la sua testa è ancora quella della ragazza, è
possibile ricordare un compleanno su cui di solito, quando si ha la
nostra età, si preferisce sorvolare. Del resto non siamo qui a
celebrare, ma semplicemente a felicitarci di poter ancora
confrontarci con Rossana sul che fare in questo nostro maledetto
tempo così gravido di sconfitte più grosse di quanto avessimo
previsto e appesantito da problemi sempre più difficili da
affrontare. Per fortuna non siamo disposti a subìre e per questo ci
piace poter dire assieme a Rossana: ci siamo ancora.
Vorrei mettere il punto
qui a questo scritto. Entrare nel merito della persona di Rossana
Rossanda è troppo difficile. Anche per via di un rapporto che per
più di mezzo secolo non è stato per me solo di “militanza”, ma
anche di intimità umana, finirei nella melanconia del ricordo dei
compagni con cui le nostre vite si sono intrecciate e che via via
abbiamo perduto in questi anni. Chi prima, chi dopo.
Né posso spiegare
Rossana ai lettori de il manifesto, sarebbe ridicolo. E tuttavia,
anche per poter pensare che fra i lettori di questo giornale ci sia
qualcuno più giovane che la conosce meno dei “vecchi”, qualcosa
su di lei vorrei dirla. Innanzitutto che avrebbe voluto occuparsi di
storia dell’arte, ma poi non l’ha potuto fare perché ci sono
tempi in cui la storia ti acciuffa. Il 1943 era uno di questi tempi;
e poi non c’è stata più interruzione, perché dopo il 1945 è
vero che era arrivata la pace ma bisognava darle un senso e per
questo costruire quel Pci che per molti decenni ha assorbito
l’intelligenza e l’impegno di tanti.
Ma ho citato la storia
dell’arte poi abbandonata, perché Rossana ha sempre conservato,
grazie a quella prima vocazione, una giusta distanza critica –
culturale – rispetto alle rozzezze di cui è macchiata anche la
migliore politica. Il suo modo di scrivere, del resto, porta questo
segno: sempre la mano di una straordinaria scrittrice, anche quando
doveva trattare di uno sciopero di netturbini. E una residua
nostalgia, nascosta, per la passione cui aveva sentito il dovere di
rinunciare.
Rossana la sua vita
comunista l’ha iniziata, e proseguita per molti anni, in quel
partito durissimo che era la federazione di Milano. A noi di Roma,
abituati al carattere variopinto dei poveri sottoproletari delle
nostre borgate, alle stravaganze del popolino artigiano, quel partito
milanese tutto operaio, una forza inquadrata e così classica, nel
senso che sembrava uscita dalle pagine dei classici del marxismo,
appariva un alieno. Credo che per i più giovani sia persino
difficile oramai immaginarselo, tanto più se vanno oggi a vedere
cosa è diventata la fortezza rossa di Sesto san Giovanni.
Per capire Rossana
bisogna ricordare quel partito milanese, rispetto al quale,
nonostante le sue rigidità, di cui era ben cosciente, lei non ha mai
voluto restare ai margini. Anzi: è stata una grande, mitica,
direttrice della altrettanto mitica Casa della Cultura milanese di
via Borgogna proprio perché il punto focale per lei è restato la
fabbrica. E’ proprio per la centralità che ha sempre conferito
alla problematica operaia, alla rappresentanza del lavoro, che
Rossana è stata una straordinaria organizzatrice culturale, che ha
saputo gestire il rapporto con gli intellettuali, senza settarismo ma
anche senza indulgenze, quando, lasciata Milano, è venuta a Roma a
dirigere la commissione culturale del partito.
Questo segno originario
non si è mai sbiadito: il lavoro, la fabbrica, la Fiom, sono stati,
anche nel Manifesto, e più in generale nel dibattito di questi
ultimi decenni, il metro su cui misurare la politica. E anche la base
della sua severità.
Mi chiederete perché mai
abbia voluto nello scrivere di Rossana scegliere questo tratto della
sua personalità, che è stata e resta così poliedrica negli
interessi, così curiosa del nuovo — il femminismo, i tanti mondi
che si aprono sulla Terra, il cinema (il suo ultimo libro scritto con
Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri), la letteratura, la filosofia.
Perché Rossana è quanto c’è di più lontano da un’intellettuale
borghese (e scusate se ricorro ad un’espressione così antiquata).
Al di là delle tante cose che ha dato – e continua a dare — alla
nostra storia – aver tenuto il timone per non smarrire questo asse
operaio, che resta, malgrado tutte le trasformazioni intervenute, una
bussola per non perdersi – questo a me pare il segno costante, più
importante dell’avventura de il manifesto. Molto lo dobbiamo a
Rossana. Cogliamo l’occasione dei suoi 90 anni per ringraziarla. E
per dirle che la sua venuta al mondo nel secolo passato non ha
“esaurito la sua spinta propulsiva”.
“il manifesto”, 23
aprile 2014
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