Il mensile “La città
futura” nacque nel febbraio 1964 come “mensile degli studenti
comunisti”, riprendendo la testata di quel numero unico della
Federazione giovanile socialista piemontese che nel 1917 era stato
curato interamente da Antonio Gramsci. In quell'anno ne uscirono solo
tre numeri, in cui si cercava di mettere a fuoco il rapporto
“intellettuali e politica” e in cui l'attenzione prevalente era
riservata ai dibattiti sull'Università, ai movimenti che la
percorrevano, all'urgenza di una riforma. Nel primo numero c'è, per
esempio, un articolo di Luigi Berlinguer sulle proposte di legge
sull'Università e uno di Renato Nicolini sull'esperienza democratica
degli studenti di architettura a Roma; nel n.4/5 di giugno-luglio,
l'ultimo della serie, Alessandra Spremolla ragiona della facoltà di
lettere e della formazione degli insegnanti.
La testata rinasce nel
1965 come “mensile dei giovani comunisti”, che si accompagna come
strumento di riflessione a “Nuova Generazione”, il settimanale
della Federazione giovanile comunista italiana. Il legame de “La
città futura” con la Fgci è garantito dalla direzione di Achille
Occhetto, che al tempo è segretario nazionale della giovanile, ma il
non presentarsi come “organo” ufficiale dell'organizzazione
testimonia un'intenzione di dinamicità e di apertura, che è nei
fatti collaterale all'inquieta ricerca che nel Partito sviluppa
Pietro Ingrao. E, in effetti, senza chiusure settarie appare la parte
internazionale ove si discutono problematicamente le posizioni
cinesi, le lotte del “movimento” americano, le esperienze di
socialismo africano, la guerra di liberazione in Vietnam, il
pacifismo. Più ricca e varia è la parte teorico-culturale: c'è più
Marx, più Brecht, ma anche Pasolini, i surrealisti e un dibattito
sull'Unione sovietica e la III Internazionale con meno cautele che in
passato. La novità più importante è però l'attenzione alla
fabbrica e al cantiere, alle lotte sindacali e politiche del lavoro,
alla giovane classe operaia. Vi compaiono articoli sulla Siemens,
sulla Fiat, sulla Perugina (di Mandarini e Mantovani), sugli edili,
sul controllo e potere operaio.
Dopo il congresso del
febbraio 1966, in cui la posizione di netta opposizione al
centrosinistra e alla unificazione “socialdemocratica” di Pietro
Ingrao apparve visibilmente (la platea si svuotò durante il suo
intervento) isolata, del mensile, giudicato troppo spregiudicato
dalla “destra” di Amendola, Napolitano e Cossutta, venne decisa
la soppressione. L'ultimo numero uscì nel giugno del 1966 e,
nell'editoriale di addio, il direttore Occhetto tentò una difesa
dell'esperienza, in un linguaggio molto cifrato. In prima pagina
c'era la foto di un giovane, Paolo Rossi, perugino d'origine, che le
squadracce fasciste avevano ucciso all'Università di Roma, godendo
poi di protezioni nello stesso vertice accademico. In ultima, a
commento, era scritto: “Paolo Rossi – Egli era un giovane
democratico e antifascista, e in Italia, dopo la liberazione, da
tempo muoiono violentemente solo i democratici e gli antifascisti”.
La testata “La città
futura” venne poi rilanciata nel 1977 come settimanale della Fgci
sotto la segreteria di Massimo D'Alema. Ne era direttore Ferdinando
Adornato e aveva Walter Veltroni tra i pilastri della redazione. Durò
fino al 1979. (S.L.L.)
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