4.5.14

Torrone (Valerio Griffa)

Marziale lo chiamava Cupedia, 
gli arabi Kubbaita 
ma in Italia è Cremona 
la città che ne vanta i natali
e Caltanissetta quella
che produce il migliore
Torrere, cioè tostare in latino, o cupedia come dice Marziale a proposito del dolce mandorlato del Sannio? E ancora: halou (dolce in arabo) o kubbaita (in siculo-Arabo)? Chi cerca di trovare un'origine al torrone, si scontra con un filo invisibile che porta inevitabilmente all'origine della mandorla, dato che uova e miele sono universali. Se siano stati i Sanniti o i Romani, per poi passare la ricetta agli arabi, che hanno riportata ad Alicante, a Marsiglia e a Cremona, importante porto fluviale, o che arrivi dalla Cina o dai fenici non si sa.
A Cremona amano ripetere con un sorriso che nel 1441 Bianca Maria Visconti sposava Francesco Sforza, che quel matrimonio sfarzoso vide la nascita del dolce nuziale mandorlato. E, magari ridendo, guardano in alto al Torrazzo, la torre del duomo, XIII secolo, alta 250 braccia e 2 once cremonesi (112 metri), il campanile dorico più alto d'Italia, per il nome del dolce e per la sua forma a barra.
C'è sempre un fondo di verità, nelle leggende: magari, i cuochi rinascimentali hanno voluto fare una cosa esotica, come noi nelle feste serviamo sushi o cheesecake. Fatto sta che Cremona si è cucita addosso la fama di terra del torrone, anche perché il laboratorio Sperlari ha iniziato nel 1836, passando poi nel 1911 alla produzione industriale. È quello il salto, il passaggio da prodotto locale a prodotto conosciuto. Oggi Sperlari continua la produzione nel magnifico stabilimento cremonese degli anni Sessanta, vera archeologia industriale. Il negozio, quello storico, ce l'ha in via Solferino, però. Via del centro dove si trova anche la pasticceria Lanfranchi, locale storico liberty che produce torrone artigianale, in piccole quantità. A metà tra queste due realtà, Rivoltini, nella vicina Vescovato, che fa torroni artigianali su scala industriale. Sperlari e Rivoltini sono anche all'origine della Festa del Torrone, che a metà novembre riempie la città. Morbido (meno asciugato) e croccante, ricoperto di cioccolato, nocciolato, pistacchiato, macadamiato, il torrone ha margini sorprendenti di rinnovamento. Qui, poi, non è solo un dolce natalizio. In città viene proposto anche in molti ristoranti, nei dessert, nei gelati. E anche la città è affascinante come un torroncino, con i suoi vicoli acciottolati, con il suo complesso Duomo con Battistero, con il Palazzo Comunale e la Loggia dei Militi, tutto in una piazza, che dà l'idea di un progetto civico e civile, di un Comune nell'Età dei Comuni. Ma basta girare l'angolo e ritorna la città dei vicoli, dei quartieri, delle chiese, che è l'altra faccia di quella monumentale.
In Italia ci sono tanti altri centri del torrone, per tutti Caltainssetta. Avendo a disposizione una super mandorla, come il pistacchio e il miele mediterraneo, è chiaro che la cubaita nissena è di qualità, vedi quella di Geraci o dell'Antico Torronificio Nisseno.
Montélimar in Provenza (tecnicamente in Dróme Provençale) lo chiama invece nougat, il torrone. Il perché è semplice. Deriva dall'occitano pan nogat, che a sua volta proviene dal latino nux gatum, pane di noci. Nella cittadina della valle del Rodano ci sono 13 produttori, come la Maison Soubeyran o Le Gavial, che fanno visitare i laboratori e degustare, e che esportano con il nome nougat. Il che rafforza il prodotto, in rapporto al torrone italo ispanico. Eh, i Francesi, grandi nel marketing... Anche a Montélimar si racconta una leggenda, secondo la quale fu Tante Manon, ad inventarlo. Tutti, assaggiandolo, dicevano «tu nous gates», ci fai piacere, da cui il nome nougat. La differenza con gli altri? L'uso di miele di lavanda e di mandorle locali, mandorle al 28%, pistacchio al 2%. Fète du Nougat a luglio. La città è bella, con un centro storico interessante, a partire dalla Piazza del Mercato, e poi il Centre d'Art Espace Chabrillan, il Museo della Miniatura, il Museo d'Arte Contemporanea S.Martin. 
Ad Alicante (Alacant), sulla costa di Valencia, si chiama invece turrón o turró in Valenzano ed è simile ai fratelli mediterranei. Mandorle, tostate nel tostador, a cui si aggiunge darà de huevo sbattuta a neve e miei valenciano scaldato, per ottenere dei pani di 5-6 chili, che si vendono a fette, tutto l'anno con punte a Natale. La variante di Jijona (lì vicino) prevede meno mandorle e un colore più scuro. Differenze? Miele e mandorle locali, 60% di mandorle. La cittadina sul mare ha un bel centro storico, dominato dal Castello di Santa Barbara, e notevoli edifici, come la Concatedral de San Nicolas, l'Edificio Carbonell, il Mercado Central.

La Stampa, 29 dicembre 2012

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