Marziale lo chiamava Cupedia,
gli
arabi Kubbaita
ma in Italia è Cremona
la città che ne vanta i
natali
e Caltanissetta quella
che produce il migliore
Torrere, cioè tostare in
latino, o cupedia come dice Marziale a proposito del dolce
mandorlato del Sannio? E ancora: halou (dolce in arabo) o
kubbaita (in siculo-Arabo)? Chi cerca di trovare un'origine al
torrone, si scontra con un filo invisibile che porta inevitabilmente
all'origine della mandorla, dato che uova e miele sono universali. Se
siano stati i Sanniti o i Romani, per poi passare la ricetta agli
arabi, che hanno riportata ad Alicante, a Marsiglia e a Cremona,
importante porto fluviale, o che arrivi dalla Cina o dai fenici non
si sa.
A Cremona amano ripetere con un sorriso
che nel 1441 Bianca Maria Visconti sposava Francesco Sforza, che quel
matrimonio sfarzoso vide la nascita del dolce nuziale mandorlato. E,
magari ridendo, guardano in alto al Torrazzo, la torre del duomo,
XIII secolo, alta 250 braccia e 2 once cremonesi (112 metri), il
campanile dorico più alto d'Italia, per il nome del dolce e per la
sua forma a barra.
C'è sempre un fondo di verità, nelle
leggende: magari, i cuochi rinascimentali hanno voluto fare una cosa
esotica, come noi nelle feste serviamo sushi o cheesecake. Fatto sta
che Cremona si è cucita addosso la fama di terra del torrone, anche
perché il laboratorio Sperlari ha iniziato nel 1836, passando poi
nel 1911 alla produzione industriale. È quello il salto, il
passaggio da prodotto locale a prodotto conosciuto. Oggi Sperlari
continua la produzione nel magnifico stabilimento cremonese degli
anni Sessanta, vera archeologia industriale. Il negozio, quello
storico, ce l'ha in via Solferino, però. Via del centro dove si
trova anche la pasticceria Lanfranchi, locale storico liberty che
produce torrone artigianale, in piccole quantità. A metà tra queste
due realtà, Rivoltini, nella vicina Vescovato, che fa torroni
artigianali su scala industriale. Sperlari e Rivoltini sono anche
all'origine della Festa del Torrone, che a metà novembre riempie la
città. Morbido (meno asciugato) e croccante, ricoperto di
cioccolato, nocciolato, pistacchiato, macadamiato, il torrone ha
margini sorprendenti di rinnovamento. Qui, poi, non è solo un dolce
natalizio. In città viene proposto anche in molti ristoranti, nei
dessert, nei gelati. E anche la città è affascinante come un
torroncino, con i suoi vicoli acciottolati, con il suo complesso
Duomo con Battistero, con il Palazzo Comunale e la Loggia dei Militi,
tutto in una piazza, che dà l'idea di un progetto civico e civile,
di un Comune nell'Età dei Comuni. Ma basta girare l'angolo e ritorna
la città dei vicoli, dei quartieri, delle chiese, che è l'altra
faccia di quella monumentale.
In Italia ci sono tanti altri centri
del torrone, per tutti Caltainssetta. Avendo a disposizione una super
mandorla, come il pistacchio e il miele mediterraneo, è chiaro che
la cubaita nissena è di qualità, vedi quella di Geraci o
dell'Antico Torronificio Nisseno.
Montélimar in Provenza (tecnicamente
in Dróme Provençale) lo chiama invece nougat, il torrone. Il
perché è semplice. Deriva dall'occitano pan nogat, che a sua
volta proviene dal latino nux gatum, pane di noci. Nella
cittadina della valle del Rodano ci sono 13 produttori, come la
Maison Soubeyran o Le Gavial, che fanno visitare i laboratori e
degustare, e che esportano con il nome nougat. Il che rafforza il
prodotto, in rapporto al torrone italo ispanico. Eh, i Francesi,
grandi nel marketing... Anche a Montélimar si racconta una leggenda,
secondo la quale fu Tante Manon, ad inventarlo. Tutti, assaggiandolo,
dicevano «tu nous gates», ci fai piacere, da cui il nome nougat.
La differenza con gli altri? L'uso di miele di lavanda e di mandorle
locali, mandorle al 28%, pistacchio al 2%. Fète du Nougat a luglio.
La città è bella, con un centro storico interessante, a partire
dalla Piazza del Mercato, e poi il Centre d'Art Espace Chabrillan, il
Museo della Miniatura, il Museo d'Arte Contemporanea S.Martin.
Ad Alicante (Alacant), sulla costa di Valencia, si chiama invece turrón o turró in Valenzano ed è simile ai fratelli mediterranei. Mandorle, tostate nel tostador, a cui si aggiunge darà de huevo sbattuta a neve e miei valenciano scaldato, per ottenere dei pani di 5-6 chili, che si vendono a fette, tutto l'anno con punte a Natale. La variante di Jijona (lì vicino) prevede meno mandorle e un colore più scuro. Differenze? Miele e mandorle locali, 60% di mandorle. La cittadina sul mare ha un bel centro storico, dominato dal Castello di Santa Barbara, e notevoli edifici, come la Concatedral de San Nicolas, l'Edificio Carbonell, il Mercado Central.
Ad Alicante (Alacant), sulla costa di Valencia, si chiama invece turrón o turró in Valenzano ed è simile ai fratelli mediterranei. Mandorle, tostate nel tostador, a cui si aggiunge darà de huevo sbattuta a neve e miei valenciano scaldato, per ottenere dei pani di 5-6 chili, che si vendono a fette, tutto l'anno con punte a Natale. La variante di Jijona (lì vicino) prevede meno mandorle e un colore più scuro. Differenze? Miele e mandorle locali, 60% di mandorle. La cittadina sul mare ha un bel centro storico, dominato dal Castello di Santa Barbara, e notevoli edifici, come la Concatedral de San Nicolas, l'Edificio Carbonell, il Mercado Central.
La Stampa, 29 dicembre 2012
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