26.5.14

Vita e morte del "Politecnico". Una torre per Vittorini (Maria Corti)

Contano almeno due punti di vista fondamentali, nella definizione della natura di una rivista. In primo luogo, ci sono riviste che descrivono la cultura e altre che fanno cultura. Senza dubbio "Politecnico" va posta in quest' ultimo gruppo. In secondo luogo ci sono riviste ideate da un gruppo molto compatto di intellettuali in grado di svolgere un discorso abbastanza unitario, in quanto partono da una prospettiva culturale omogenea; altre riviste invece sono come dei crocevia o "cross-roads", dove formazioni culturali diverse e idee diverse si incontrano, si illuminano a vicenda o si scontrano, sicché la rivista è una sorta di campo di tensioni ideologiche e culturali. E' chiaro che "Politecnico" sta nuovamente nel secondo gruppo; ed è proprio il suo favoloso programma di fusione delle correnti di pensiero della sinistra italiana ad attirarci ancora oggi: dietro "Politecnico" sentiamo l' entusiasmo nell'immediato dopoguerra degli intellettuali di sinistra, volti a progettare un nuovo rapporto fra società e cultura con quel tanto di impreciso e di utopico che sempre accompagna i grandi progetti, soprattutto se progettati da più menti.
"Politecnico", come si sa, fu prima un settimanale, dal 29 settembre 1945 al 6 aprile 1946; ai 28 numeri del settimanale seguì il mensile, dal 1 maggio 1946 al dicembre 1947. Benchè la bibliografia su questo periodico sia amplissima e assai varia, il recente libro di Marina Zancan merita rilievo in quanto dice alcune cose nuove. ("Il progetto "Politecnico". Cronaca e strutture di una rivista", Marsilio, pagg. 244, lire 22.000). Una prima novità del libro consiste nell'utilizzazione di nuove fonti: la Zancan ha ottenuto l' accesso all'archivio Einaudi, a quello dell' Istituto Gramsci, del Pci, e ha avuto così modo di inserire nel volume alcune importanti lettere finora inedite. I dati raccolti illuminano sia la genesi di "Politecnico" (e prima ancora dell'idea della rivista, in un momento in cui ebbero essenziale importanza i rapporti fra Curiel, Pintor e Vittorini), sia la crisi del settimanale e la sua successiva trasformazione in mensile.
Per ciò che riguarda quella crisi, oltre alle difficoltà economiche (mai ben provate) e al difficile rapporto creatosi col Pci, non fu senza importanza, la resistenza passiva degli intellettuali del gruppo torinese della Einaudi, che in varie lettere attestano la loro insoddisfazione riguardo agli esiti della rivista. Né si può dire che il mensile incontrasse migliore accoglienza nell' ambiente torinese; la Zancan pubblica una interessantissima lettera inedita di Vittorini a Felice Balbo, dove lo scrittore offre un quadro abbastanza drammatico della solitudine in cui egli era lasciato dagli amici di Torino. Eccone qualche riga: "Oggi il senso di scriverti è di pregarti un'ultima volta a fare con me questa rivista, invece di startene fuori anche tu a vedere come riesco a cavarmela, e cioè, praticamente a scommettere che non me la cavo. Tutta la gente che stimo mi sta attorno come tu fai. E non è un modo di essermi, alla fine, nemico? Vorrei che ci fosse Pintor. Egli non mi sarebbe mai stato nemico, e "Politecnico" oggi lo faremmo certo insieme". La lettera è del 10 novembre 1947, allorchè la rivista sta per chiudere i battenti.
Un altro aspetto messo in luce in modo nuovo, per la sensibilità particolare che oggi abbiamo verso i problemi della comunicazione culturale, è la descrizione dei rapporti che si instaurano fra la rivista e i suoi lettori: soprattutto nel settimanale (il mensile ha destinatari colti) si cerca di coinvolgere il lettore con rubriche, interviste, discussioni col pubblico; si cerca di attuare quello che oggi definiremmo il "lavoro del pubblico" dentro il giornale. Ciò fa parte della funzione di laboratorio che "Politecnico" si diede nell' affrontare i principali problemi della società dell' immediato dopoguerra: realtà regionali, scuola, femminismo, industria ecc. Si nota subito come il discorso artistico e quello scientifico vengano qui unificati proprio dal bisogno di comunicazione, si tratti di comunicazione divulgativa (nel settimanale) o informativa (più nel mensile). Non a caso la Zancan parla di "racconto continuo": vari generi di scrittura, cronache, documenti, racconti, collaborano a produrlo.
E fa molto bene l' autrice a insistere sui valori grafici della rivista, affidata al famoso Albe Steiner: nel settimanale la voluta asimmetria dell'aspetto iconico suggeriva percorsi di lettura e collegamenti, mentre in entrambe le fasi, settimanale e mensile, l'immagine non fu mai una semplice illustrazione, ma una integrazione del discorso. Vorrei ricordare un caso che a me pare assai significativo: nel n. 30, giugno 1946, a commento dell'articolo "Le città del mondo. New York", noi troviamo riprodotta la Torre di Babele di Brueghel e, più sotto, un grattacielo: l'articolo di Vittorini su New York celebra un nuovo mito della Torre di Babele definitivamente costruita e della "confusio linguarum" ("confusione delle parlate") come felice coesistenza di "bianchi con negri, arabi con ebrei, turchi ed armeni, sloveni e italiani, boemi e tedeschi, inglesi con russi; impareranno a capirsi, e tireranno su fino all'ultimo suo piano la torre. E la copriranno per abitarla una buona volta al sicuro dai fulmini e dalle paure".

Come parla oggi a noi questa rivista di quarant'anni fa? E' giunto il momento, mi sembra, di mettere "Politecnico" in rapporto con vari altri periodici dell' epoca, che in modi ora simili ora assai diversi affrontarono il problema del compito degli intellettuali nella società: da "Rinascita", "Società", "Mondo" di Firenze, a "Ponte", "Corrente", "La ruota", "Inventario" ecc. Allora veramente si metterà a fuoco uno stimolante capitolo della nostra Storia.

"la Repubblica", 6 ottobre 1984

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