Contano almeno due punti
di vista fondamentali, nella definizione della natura di una rivista.
In primo luogo, ci sono riviste che descrivono la cultura e altre che
fanno cultura. Senza dubbio "Politecnico" va posta in
quest' ultimo gruppo. In secondo luogo ci sono riviste ideate da un
gruppo molto compatto di intellettuali in grado di svolgere un
discorso abbastanza unitario, in quanto partono da una prospettiva
culturale omogenea; altre riviste invece sono come dei crocevia o
"cross-roads", dove formazioni culturali diverse e idee
diverse si incontrano, si illuminano a vicenda o si scontrano, sicché
la rivista è una sorta di campo di tensioni ideologiche e culturali.
E' chiaro che "Politecnico" sta nuovamente nel secondo
gruppo; ed è proprio il suo favoloso programma di fusione delle
correnti di pensiero della sinistra italiana ad attirarci ancora
oggi: dietro "Politecnico" sentiamo l' entusiasmo
nell'immediato dopoguerra degli intellettuali di sinistra, volti a
progettare un nuovo rapporto fra società e cultura con quel tanto di
impreciso e di utopico che sempre accompagna i grandi progetti,
soprattutto se progettati da più menti.
"Politecnico",
come si sa, fu prima un settimanale, dal 29 settembre 1945 al 6
aprile 1946; ai 28 numeri del settimanale seguì il mensile, dal 1
maggio 1946 al dicembre 1947. Benchè la bibliografia su questo
periodico sia amplissima e assai varia, il recente libro di Marina
Zancan merita rilievo in quanto dice alcune cose nuove. ("Il
progetto "Politecnico". Cronaca e strutture di una
rivista", Marsilio, pagg. 244, lire 22.000). Una prima novità
del libro consiste nell'utilizzazione di nuove fonti: la Zancan ha
ottenuto l' accesso all'archivio Einaudi, a quello dell' Istituto
Gramsci, del Pci, e ha avuto così modo di inserire nel volume alcune
importanti lettere finora inedite. I dati raccolti illuminano sia la
genesi di "Politecnico" (e prima ancora dell'idea della
rivista, in un momento in cui ebbero essenziale importanza i rapporti
fra Curiel, Pintor e Vittorini), sia la crisi del settimanale e la
sua successiva trasformazione in mensile.
Per ciò che riguarda
quella crisi, oltre alle difficoltà economiche (mai ben provate) e
al difficile rapporto creatosi col Pci, non fu senza importanza, la
resistenza passiva degli intellettuali del gruppo torinese della
Einaudi, che in varie lettere attestano la loro insoddisfazione
riguardo agli esiti della rivista. Né si può dire che il mensile
incontrasse migliore accoglienza nell' ambiente torinese; la Zancan
pubblica una interessantissima lettera inedita di Vittorini a Felice
Balbo, dove lo scrittore offre un quadro abbastanza drammatico della
solitudine in cui egli era lasciato dagli amici di Torino. Eccone
qualche riga: "Oggi il senso di scriverti è di pregarti
un'ultima volta a fare con me questa rivista, invece di startene
fuori anche tu a vedere come riesco a cavarmela, e cioè,
praticamente a scommettere che non me la cavo. Tutta la gente che
stimo mi sta attorno come tu fai. E non è un modo di essermi, alla
fine, nemico? Vorrei che ci fosse Pintor. Egli non mi sarebbe mai
stato nemico, e "Politecnico" oggi lo faremmo certo
insieme". La lettera è del 10 novembre 1947, allorchè la
rivista sta per chiudere i battenti.
Un altro aspetto messo in
luce in modo nuovo, per la sensibilità particolare che oggi abbiamo
verso i problemi della comunicazione culturale, è la descrizione dei
rapporti che si instaurano fra la rivista e i suoi lettori:
soprattutto nel settimanale (il mensile ha destinatari colti) si
cerca di coinvolgere il lettore con rubriche, interviste, discussioni
col pubblico; si cerca di attuare quello che oggi definiremmo il
"lavoro del pubblico" dentro il giornale. Ciò fa parte
della funzione di laboratorio che "Politecnico" si diede
nell' affrontare i principali problemi della società dell' immediato
dopoguerra: realtà regionali, scuola, femminismo, industria ecc. Si
nota subito come il discorso artistico e quello scientifico vengano
qui unificati proprio dal bisogno di comunicazione, si tratti di
comunicazione divulgativa (nel settimanale) o informativa (più nel
mensile). Non a caso la Zancan parla di "racconto continuo":
vari generi di scrittura, cronache, documenti, racconti, collaborano
a produrlo.
E fa molto bene l'
autrice a insistere sui valori grafici della rivista, affidata al
famoso Albe Steiner: nel settimanale la voluta asimmetria
dell'aspetto iconico suggeriva percorsi di lettura e collegamenti,
mentre in entrambe le fasi, settimanale e mensile, l'immagine non fu
mai una semplice illustrazione, ma una integrazione del discorso.
Vorrei ricordare un caso che a me pare assai significativo: nel n.
30, giugno 1946, a commento dell'articolo "Le città del mondo.
New York", noi troviamo riprodotta la Torre di Babele di
Brueghel e, più sotto, un grattacielo: l'articolo di Vittorini su
New York celebra un nuovo mito della Torre di Babele definitivamente
costruita e della "confusio linguarum" ("confusione
delle parlate") come felice coesistenza di "bianchi con
negri, arabi con ebrei, turchi ed armeni, sloveni e italiani, boemi e
tedeschi, inglesi con russi; impareranno a capirsi, e tireranno su
fino all'ultimo suo piano la torre. E la copriranno per abitarla una
buona volta al sicuro dai fulmini e dalle paure".
Come parla oggi a noi
questa rivista di quarant'anni fa? E' giunto il momento, mi sembra,
di mettere "Politecnico" in rapporto con vari altri
periodici dell' epoca, che in modi ora simili ora assai diversi
affrontarono il problema del compito degli intellettuali nella
società: da "Rinascita", "Società", "Mondo"
di Firenze, a "Ponte", "Corrente", "La
ruota", "Inventario" ecc. Allora veramente si metterà
a fuoco uno stimolante capitolo della nostra Storia.
"la Repubblica", 6 ottobre 1984
Nessun commento:
Posta un commento