7.5.14

Gli scacchi. Storia e aneddotica (Karin Sternar - Trieste 1982)

Piacenza, Mosaico pavimentale della basilica di S. Savino. Particolare
In principio furono due re indiani.
Secondo la tradizione i loro nomi erano Hashran e Balhait, e regnarono uno di seguito all’altro.
Il primo inventò (o chiese di inventare, non è chiaro) il nard, un gioco che simboleggiava la dipendenza dell’uomo dal destino e dal caso. Il nard era un gioco basato sui dadi, simile all’odierno backgammon. Il re che lo seguì, invece, volle che ci fosse un gioco che simboleggiasse il dominio della mente umana sul caso e sul destino, che elevasse l’intelletto umano al di sopra del volere del fato. Ed è a questo punto che furono inventati gli scacchi. Ovvero, i loro antenati, il gioco dello shatranj (probabilmente intorno al V o VI secolo).
Gli antenati degli scacchi moderni consistevano in un gioco guerresco basato su sessantaquattro caselle (all’inizio tutte bianche, non di due colori), su cui due avversari accaniti si affrontavano, ognuno col suo re, il suo ministro (il Firzan, al posto dell’odierna regina), due elefanti (Al – fil) gli alfieri), due cavalli e due Ruhks (carri, cioè le odierne torri). E, naturalmente, i Baidaq, cioè i pedoni.
Anni dopo lo stesso gioco, giunto attraverso la via della seta alle grandi città Islamiche, cominciò a simboleggiare la struttura della società in sé, avendo sia potentissimi monarchi che pedoni sfruttati e nobiltà ricca di privilegi.
All’inizio del IX secolo il gioco si diffuse verso occidente, verso Costantinopoli. Probabilmente, il gioco fece la sua prima comparsa nell’odierna Europa nell’anno 822, quando un fuoriuscito arabo li presentò all’allora emiro di Cordova, Abd-al-Rahman II. Gli scacchi si diffusero in Italia attraverso la Sicilia, e raggiunsero l’Occidente secondo due direzioni: quella spagnola, e quella russa. Anche in Europa continuarono a simboleggiare la perenne dicotomia tra dominio del Fato e dominio dell’intelligenza. All’interno della basilica di San Savino a Piacenza, l’anonimo autore di un mosaico li ha usati per rappresentare un’antichissima disputa filosofica. Nel mosaico pavimentale, nell’angolo in basso a sinistra è raffigurata una partita a dadi e in quello a destra una partita a scacchi.
E cosa poteva mai farci un mosaico del genere, in un luogo di culto?
Semplice: il gioco dei dadi, a sinistra, rappresenta l’uomo dominato dal fato, in un mondo caotico e senza regole, dove l’essere umano è lasciato a se stesso ed è in balia degli eventi.
Alla sua destra invece, l’uomo che gioca a scacchi è padrone della sua mente e del suo destino, e gestisce da solo il proprio mondo, in virtù delle sue capacità e della sua intelligenza. Ed ecco riproposto, a secoli di distanza, l’antico duello tra nard e scacchi, solo in forma medioevale.
Ma come si giustificano le modifiche che il gioco ha subito attraverso i secoli? Prima di tutto, l’elefante, animale poco conosciuto in Europa, venne sostituito dall’alfiere (in Inghilterra dal Bishop, il vescovo, in Francia dal Fou, il giullare). I pezzi divennero quelli a noi familiari, dalle forme antropomorfe, perché le leggi cristiane non proibivano la rappresentazione della figura umana, al contrario delle leggi dell’Islam. C’era poi il problema della regina. Secondo la storica Marilyn Yalom, la sostituzione del pezzo del “Ministro” fu ispirato o dalla potente regina Adelaide, moglie di Ottone I del Sacro Romano Impero, o dalla sua successiva regina Teofano. Resta da notare che, almeno all’inizio, le possibilità di mosse del pezzo della Regina erano molto limitate, cioè solo di una casella alla volta, lateralmente. Ciò che cambiò le cose fu l’ascesa al potere, nel ‘500, di Isabella di Castiglia, Elisabetta d’Inghilterra, Caterina de’ Medici, Giovanna III di Navarra. La nuova regina di Spagna era la personificazione stessa del nuovo potere al femminile, e regnava con prestigio pari a quello del marito. Perché, dunque, non avrebbe potuto farlo anche sulla scacchiera?
È all’incirca a quella data che risale la nascita degli scacchi moderni, come noi li conosciamo, con le caselle a due colori che permisero di rendere il gioco molto, molto più rapido. Casomai dovesse capitarvi di venire eletti al parlamento inglese, sappiate che, in quell’augusta sede, gli scacchi sono l’unico gioco permesso, in quanto gioco regale. E, sappiatelo, non è un caso se ancora oggi il ministro delle finanze inglese viene chiamato Cancelliere dello Scacchiere: nell’Inghilterra medievale si eseguivano i conti in tabelle simili a scacchiere.
Ma penso di avervi annoiato abbastanza con la storia. È decisamente ora di passare a storielle più facete. Lo sapevate, ad esempio, che Napoleone, uno dei più grandi geni militari della storia, era un pessimo giocatore di scacchi? E dire che avrebbe dovuto capirne molto, di strategia. Certo, li praticava, ma con scarsissimo successo. Scriveva George Walker nel 1840: “Le aperture non erano il suo forte….si spazientiva se il suo avversario ci metteva troppo a muovere. E se gli capitava di perdere, il grande soldato si indispettiva e diventava irritabile..”
Ovviamente, i suoi avversari lo lasciavano vincere facilmente, timorosi dell’ira che il più grande condottiero al mondo avrebbe dimostrato, se fosse stato sconfitto in un giuoco di strategia. Tutti lo lasciavano vincere. Tranne uno. Indovinate chi? Il sulfureo Talleyrand, ovviamente, ministro degli esteri, che se la rideva di tutti e non guardava in faccia nessuno. Già sulla scacchiera il grande condottiero dimostrava quei difetti (come ingordigia, presunzione, incapacità di fermarsi, eccessiva fiducia nelle sue capacità) che lo portavano inevitabilmente a perdere le partite. Un giorno, quelle stesse caratteristiche lo avrebbero portato a perdere tutto un impero. Talleyrand invece, calcolatore freddo e metodico, sarebbe morto di vecchiaia nel suo letto.
Lo sapete che, se un pedone riesce ad attraversare tutta la scacchiera fino ad arrivare all’ultima casella del campo avversario, può essere promosso? A qualsiasi cosa si desideri: regina, torre, alfiere. Ed ecco un’altra prova di quanto gli scacchi siano adattabili alla realtà della specie umana: Napoleone stesso, all’inizio, non era che “un piccolo caporale”. Ma si fece valere, attraversò le caselle una a una, e si guadagnò il titolo di imperatore. Negli scacchi, come nella vita, si può nascere umile pedone, per poi avanzare grazie ai propri meriti e alle proprie doti.
Sapete chi era Marcel Duchamp? Certo che sì. Tanto per esser semplici, era l’artista che “mise i baffi” alla Monna Lisa. Ebbene, cominciò ad appassionarsi agli scacchi a undici anni, nel 1898. Fascinoso, disinvolto, al culmine della sua carriera rinunciò a tutto per dedicarsi solo agli scacchi. Come se Obama ora vi dicesse “scusatemi, mollo tutto per andare a giocare a biliardino”. Nemmeno un grande amore lo allontanò da quest’ossessione. Disse un giorno, a proposito, Albert Einstein: “Gli scacchi ti tengono in catene…imprigionano mente e cervello limitando la libertà anche dei più forti”. Nel 1927 Duchamp sposò la giovane Lydia Sarazin-Lavassor. Passò l’intera settimana della luna di miele a studiare aperture, problemi di scacchi, chiusure. Poco stranamente, la novella sposa si sentì trascurata e umiliata e, una notte, incollò tutti i pezzi sulla scacchiera per vendetta.
Altrettanto poco stranamente, divorziarono tre mesi dopo.


dal sito “Asterischi”, 3 aprile 2014

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