"Tra il 1953 e il
1955 noi quattro, che ora ci siamo messi al comando di questa
impresa, abbiamo studiato insieme al Centro Sperimentale di
Cinematografia di Roma: il regista cubano Julio Garcia Espinosa, poi
vice ministro della cultura a Cuba, il regista argentino Fernando
Birri, padre del nuovo cinema latinoamericano, l’altro regista
cubano Tomas Gutierrez Alea, uno dei nostri più pregiati gioielli e
io, che sebbene desiderassi diventare, sopra ogni altra cosa, un
regista di cinema, non lo sono mai diventato". Queste parole
sono tratte dal discorso inaugurale della “Fondazione Nuevo Cinema
Latinoamericano” all’Avana, il 4 dicembre 1985, dal titolo Si
accettano donazioni.
Chi parla è Gabriel
Garcia Marquez, detto Gabo, scrittore, giornalista, professore e
intellettuale colombiano, leggenda della cultura latinoamericana (o
meglio trilateral-americana: ispanica, portoghese e caraibica) e
autore del best seller Cento anni di solitudine, premio Nobel
per la letteratura nel 1982, morto a Città del Messico giovedì 18
aprile, dopo una lungo e duro combattimento contro il cancro. Ma Gabo
è stato anche un importante cineasta, per quanto piuttosto
frustrato, come abbiamo letto. E più di Vargas Llosa, Octavio Paz,
Nestor Almendros e Jorge Semprun, compagni di strada via via sempre
più disillusi da aspetti discutibili del socialismo di Fidel Castro,
gli è sempre stato amico e si è voluto ‘sporcare le mani’ con
la rivoluzione, impegnandosi in prima persona per concretizzare un
grande utopia, altrove impensabile. La nascita di un cinema autonomo
dei tre mondi.
Senza cultura, niente
crescita. E senza riflessione complessa sulla propria storia non c’è
cultura. Altro che realismo magico: tutta la sua opera non è che ‘un
documentario’, come amava dire. Non si può comprendere la sua
scrittura senza collegarla profondamente alla storia politica della
Colombia e dintorni, dal massacro dei contadini ad opera della
multinazionale americana United Fruit del 1929 all’assassinio del
leader liberale colombiano Jorge Gaitan e di Omar Torrijos, militare
progressista e uomo politico forte di Panama dal 1968 al 1981,
colpevole di essere ‘ostile agli interessi Usa’ e dunque
eliminato dalla Cia.
Un progetto incompiuto di
Marquez era proprio quello di realizzare un documentario sul
nazionalista panamense. La magia è stata proprio la capacità di far
diventare questa storia e questi orrori un romanzo, Cento anni di
solitudine, di immenso successo popolare. Il sogno trentennale
dei quattro giovani cineasti sudamericani, innamorati ed eredi di
Rossellini e Zavattini, era infatti quello di difendere il diritto
all’auto-rappresentazione, di creare un ‘luogo di fusione’ tra
differenti culture e generazioni del continente e dare continuità e
spessore teorico all’altro cinema mondiale (“una cinepresa in
mano una idea in testa”) si era finalmente realizzato con la
Fondazione: “una prova in più della forza costituente che ha una
idea indistruttibile”, aggiunse Marquez in quel discorso.
La vita da studenti in
Italia, nella capitale neorealista, dei quattro amici non era certo
stata facile. Titon Alea mi ricordava la grande umiliazione
dell’orgoglio patriottico provato, da lui e da Espinosa, leggendo
sul “Messaggero”, a proposito del dilagare in occidente del cha
cha cha , di quella magnifica e contagiante “danza di origine
argentina”. “No. Era un ballo cubano”. Adoravano, però,
Cinecittà e la città eterna, quel gesticolare barocco dei romani,
il loro vivere pienamente la ‘terza dimensione’, contagiando di
teatro e ‘cinema’ tragico, comico e melodrammatico la vita delle
strade e delle piazze (lo sradicato Pasolini viveva quelle stesse
emozioni, e negli stessi mesi), anche se, nella loro qualità di
uditori al Csc, ebbero non poche difficoltà a lavorare sui set
professionali.
L’unica avventura di
Marquez fu di partecipare, come terzo assistente alla regia, a un
film di Alessandro Blasetti (deve trattarsi di Peccato che sia una
canaglia, 1955 o di La fortuna di essere donna, 1956). “La
cosa mi provocò grande allegria. Non tanto per una questione di
prestigio personale, quanto per il fatto di conoscere la protagonista
del film, Sophia Loren. In realtà il mio lavoro consistette più che
altro nel reggere una corda e impedire a passanti e curiosi di
disturbare le riprese”.
Tra le iniziative più
importanti e ambiziose della Fondazione ci fu la storica creazione
della “Escuela Internacional de cine y tv di San Antonio de los
Banos” a Cuba (a 30 km dall’Avana), aperta il 15 dicembre 1986 e
affidata inizialmente a Fernando Birri. Spartana per i mezzi (era
oltretutto il ‘periodo speciale’, tutto razionato, la grande
crisi succeduta al crollo del socialismo reale, con lunghe file ai
distributori di benzina, tranne per chi possedesse dollari), ma
ricchissima per competenza dei professori ed entusiasmo virale degli
allievi. L’ho visitata nel 1990 proprio su invito di Birri, allora
direttore, per presentare una rassegna internazionale di film
politici, visionare i saggi di laurea, di alto livello professionale
(uno era piuttosto ‘scottante’ e non fu facile vederlo. Era un
reportage su cosa succederà a Cuba quando muore Fidel… e tutti
rispondevano terrorizzati dall’incubo di una successione del
fratello, il ‘secchione’ e più dogmatico Raul…) e per
raccontare ai ragazzi qualcosa sul nuovo cinema e sulla nuova
televisione italiana (allora andava forte la ‘tv verità’ di
Guglielmi/Ghezzi) ed europea. Si toccava con mano l’emergere di una
generazione, colta, spregiudicata e originale, capace di rompere con
i padri solo lì dove si doveva, ma ambiziosa, tanto che aggredì
presto perfino Hollywood, e dalla porta principale, da egemoni
unghiuti (Inarritu, Roberto Rodriguez, Guillermo Del Toro, Walter
Salles, Cuaron, Lucretia Martel, Meirelles…stavano per esplodere).
Ho conosciuto Espinosa,
il teorico del cinema ‘imperfetto’, tuttora coinvolto nella
definizione di un terzo cinema, strumento in mano alle moltitudini in
lotta, né per assopire le masse (il cinema commerciale) né per
divertire le sole élites colte (il cinema d’autore), il
regista brasiliano Orlando Senna, che sarebbe diventato il direttore
della scuola dopo Birri, e giovani talentuosi come Bartolomeo Mariano
e Alice de Andrade, la figlia di Joaquim Pedro, una colonna del
cinema novo brasiliano. Il costo di iscrizione alla scuola (per tre
anni, vitto e alloggio a spese della Fondazione) è, oggi, di 15 mila
euro (ma copre solo il 15% delle spese, il resto proviene dalla
cooperazione internazionale). Purtroppo le iscrizioni sono state
sospese dall’attuale direttore, Rafael Rosal, nel settembre del
2013, per gravi problemi finanziari e dopo uno scandalo che ha
coinvolto tre dipendenti della scuola, accusati di appropriazione
indebita. 810, finora, gli allievi diplomati.
Chi conosce bene gli
scritti di Marquez sa che il cinema è sempre stato presente, in
campo, o nel fuori campo, nella sua prosa. Per il montaggio ‘magico’
della sua prosa, non in senso orientalista e esotico, ma proprio per
la sua inarrestabile potenza, realisticamente multi-stratificata; per
l’attività di rigoroso critico cinematografico svolta nel suo
periodo giornalistico; perché ha seguito nel 1985 Miguel Littin,
regista esiliato, nel suo viaggio-reportage clandestino nel Cile di
Pinochet, e perché, per esempio in Un giornalista felice e
sconosciuto, (Feltrinellli, 1974), non c’è pagina che non
ricordi film, star e avvenimenti cinematografici: la morte di Bogart,
le ‘nozze strane’ di Loren, la Lollo, Grace Kelly trasformata in
principessa, lo scandalo Rossellini & Ingrid Bergman, la
James-Dean-mania, Brigitte Bardot, Un re a new York di
Chaplin…
Gabriel Garcia Marquez,
nei suoi 87 anni, in realtà non solo ha diretto un cortometraggio,
La langusta azul, saggio scolastico a 8 mani del 1954. Ma ha
scritto, a parte racconti e romanzi saccheggiati da registi, oltre 50
tra soggetti, sceneggiature originali che sono diventati film e serie
televisive dirette da Francesco Rosi (Cronaca di una morte
annunciata), Ruy Guerra (Erendira), Luiz Arcoriza
(Pressagio), Arturo Ripstein (Tiempo de morir e Nessuno
scrive al colonnello), Shuji Terayama (Cent’anni di
solitudine), Jaime Humberto Hermosillo (Maria de mi corazon),
Miguel Littin (A viuva Montiel). Fernando Birri (Un hombre
muy viejo con unas alas enormes) e Titon Alea (Cartas del
parque) hanno collaborato nel 1988-1989 a una serie di sei film
per la tv tratti da Marquez e realizzati anche da Chavarri,
Hermosillo, Naranjo e Guerra). L’amore al tempo del colera
di Mike Newell, 2007, è solo uno dei più recenti…
Non solo ha recitato come
attore in quattro pellicole e ovviamente è stato intervistato in
numerosi documentari, ma nel 1985, per dare impulso al cinema
latinoamericano, e come emanazione del Festival del Nuovo Cinema
dell’Avana partecipò attivamente, attraverso la creazione della
Fondazione del Nuovo Cinema Latino-Americano (con sede nei sobborghi
dell’Avana, a Finca Santa Barbara), con l’aiuto e lo sprone di
intellettuali legati o simpatizzanti con la settima arte, come
Alfredo Guevara, e di governi non reazionari, come quello messicano,
a un progetto globale di sviluppo cinematografico (leggi
protezionistiche, banca dati, cine-annuario, dizionario dei termini
cinematografici in castigliano, rete di sale cinematografiche
destinate allo studio dei classici latinoamericani)… Cineasta
‘frustrato’, ma in prima fila nel recupero, archivio e restauro
di pellicole (al suo fianco Alquimia Pena, nata a Mayari, privincia
di Holguin, figlia di un combattente dell’Esercito Rebelde) nel
contribuire ad accordi di coproduzione, e nella creazione ed
edificazione (la maggior parte dei fondi proveniva dai suoi diritti
d’autore), in soli otto mesi, della Scuola di San Antonio de los
Banos che ha presieduto dal 1986 fino alla morte. E che resta,
nonostante le difficoltà attuali, la più grande e rinomata
accademia di cinema dei tre mondi (Asia, Africa e America Latina).
Centinaia di ragazzi, selezionati in Burkina Faso o in Bolivia, in
Vietnam o in Mozambico, scelti in base al merito, anche se
poverissimi, hanno coronato il loro sogno. Diventare registi o
professionisti del cinema. Che era anche il sogno di Gabriel Garcia
Marquez.
Ps. Il 4 dicembre 1985,
giorno di Santa Barbara, Gabriel Garcia Marquez iniziava il suo
discorso ricordando che tutto il progetto della Fondazione, sita nel
quartiere di Santa Barbara, era nato da un incidente … ‘ecologico’.
La villa, che ospiterà l’istituzione, era dominata da due enormi e
orribili torri di alta tensione, “che un funzionario senza cuore
aveva deciso di piantare proprio nel giardino di fronte all’edificio”
e che trasportavano una micidiale corrente (e un altrettanto
pericolosissimo inquinamento elettromagnetico) per 110 milioni di
watts, una potenza sufficiente a tenere accesi migliaia di televisori
e 23 mila proiettori 35mm. Fidel Castro viene avvisato del problema,
arriva e cerca di mascherare l’orribile “mostro” con palme o
altre piante, e proprio in quella occasione ha l’idea di fare di
quell’edificio la sede della Fondazione. In quel luogo Alea aveva
girato, nel 1979, un film storico/metaforico sulla rivoluzione
cubana, Os Sobreviventes. E sarebbe morto di cancro nel 1996, a soli
67 anni.
Pagina 99, 20 aprile 2014
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